In Afghanistan dopo i talebani pure le alluvioni
Nella morsa L’offensiva di primavera degli integralisti continua a fare vittime, mentre un’ondata di maltempo ha cancellato il programma-bestiame nella zona di Herat
Dove non arriva la violenza di una guerra infinita e sottostimata ci pensa la natura. Timidi ruscelli durante la stagione secca si trasformano in colate di fango che travolgono tutto e tutti, alimentate da piogge torrenziali. Benvenuti nel cuore rurale e dimenticato dell’Afghanistan. Provincia occidentale di Herat, ad un tiro di schioppo dalle frontiere impervie con Iran e Turkmenistan. Un territorio montuoso e brullo, puntellato da minuscoli villaggi dove il tempo si è fermato.
Alcuni centri, come Gulran, Kuska Khuna e Adraskan, nel 2017 sono stati coinvolti in un progetto di rilancio dell’economia di sussistenza messo in piedi dalla ong bolognese Gvc, sotto la guida della sezione Aics (l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo) di Kabul: la donazione di 600 capre della pregiata razza Watani a 300 famiglie di quelle comunità. Un piccolo supporto ( circa 60 mila euro) nel mare magnum della cooperazione internazionale, una goccia dritta al punto e trasparente.
LE FAMIGLIE, selezionate dai capi villaggio attraverso le discussioni nelle shure, le “consu lt az io ni ”, avrebbero poi scelto la strategia più remunerativa: tenere le capre e farle riprodurre, venderne poi una parte o allargare l’allevamento. Piani spazzati via nei giorni scorsi da un’ondata eccezionale di maltempo che ha colpito la regione, provocando vittime e danni irreparabili: “Dieci giorni di pioggia senza sosta hanno causato un’alluvione senza precedenti. Ci sono state vittime civili, migliaia di animali sono morti tra cui le capre del nostro progetto. Le famiglie hanno perso tutto, la casa, i pochi raccolti, l’agricoltura è in ginocchio” lancia l’allarme Jailani Rahgozar, partner locale di Gvc per il progetto ad Herat.
Drammi lontani da noi, destinati a passare in silenzio, specie in un Paese dove ogni giorno si conta almeno un attentato. La stagionale “Offensiva di primavera” dei Talebani è, se possibile, ancora più cruenta del passato, con attacchi in molteplici zone di tutto l’Afghanistan. Soprattutto nella provincia di Farah, immediatamente a sud di Herat e dunque da Camp Arena, la base del contingente italiano Nato della missione Rs, Resolute Support. Nei primi giorni di maggio si pensava, addirittura, che la resistenza delle forze afghane stesse cedendo, non è stato così ma la minaccia resta altissima. Proprio ad Herat, la settimana scorsa, una bomba è esplosa ad un check point all’ingresso della città uccidendo cinque persone. Pochi giorni dopo è stata la volta di Ghazni, altra città strategica, a metà strada tra Kabul e le province del Belucistan e dell’Helmand in mano ai Talebani, dove un razzo ha colpito un liceo. Lo stesso giorno, a Kandahar, un’autobomba ha ucciso altre 16 persone. In precedenza attacchi a Jalalabad, nei dintorni di Kunduz, oltre agli scontri quotidiani a Lashkar Gah e le tensioni nella capitale. Una lista infinita a cui si devono aggiungere le brutali scorribande della costola di Isis in Afghanistan, l’esercito del Khorasan, nata nella provincia orientale di Nangharar.
Gli “studenti coranici” controllano circa il 45% del territorio afghano, segno che la missione Nato non sta producendo i risultati auspicati: il terrorismo non è stato debel- lato, la tenuta società del Paese è regredita e, al contrario, la produzione di papavero da oppio è schizzata in alto. Il 2017 è stato l’anno record, con 328 ettari di produzione, tradotto il 63% in più rispetto al 2016. Senza dimenticare gli oltre 100 mila profughi interni e le migliaia di rientro dopo le espulsioni da Paesi come Germania e Turchia. Sono queste le spine che dovranno affrontare il nuovo capo delle forze Usa e Nato in Afghanistan, il generale Austin Scott Miller, pronto a succedere al generale Nicholson, e il presidente dell’Afghanistan, Ashraf Ghani.
AL L’IN TERN O della missione-quadro della Nato galleggia il contingente italiano (il secondo dopo gli Stati Uniti) con i suoi 950 uomini impegnati ormai solo nella formazione dei soldati e della polizia afghana. Alla sezione militare e al corpo diplomatico si affianca l’apparato della cooperazione che poche settimane
fa ha visto un cambio della guardia: via Rosario Centola, al suo posto Mauro Ghirotti, reduce da missioni in Somalia, Etiopia, Darfur, Tunisa, Libano e Nord Corea. Un impegno, quello dell’Italia in Afghanistan, pari a 46 milioni di euro annui: “Siamo impegnati soprattutto nel settore infrastrutturale – spiega Ghirotti –. Il rifacimento della strada Kabul-Bamyan, la costruzione del bypass e l’adeguamento dell’aeroporto di Herat agli standard internazionali, la costruzione di strade rurali nel distretto Shindand e nel Bamyan. Opere, strategiche per collegare il Paese con il resto dell’Asia Centrale. Per quanto riguarda l’agricoltura e lo sviluppo rurale, abbiamo il progetto a supporto degli agricoltori nella provincia di Herat anche per favorire la commercializzazione dei loro prodotti”.
NEL 2017, proprio a causa della recrudescenza degli attacchi Talebani, anche nella capitale dove c’è la base di Aics, parte del personale fu costretto a lasciare l’Afghanistan: “Nonostante la situazione di sicurezza continui ad essere critica, tre giorni dopo il mio arrivo vi sono stati quattro attentati – aggiunge Ghirotti –, la nostra cooperazione ho trovato un quadro ottimo. Un programma avanzato e ben articolato, un dialogo strutturato con i partner nazionali e una sede, grazie anche al supporto concreto della nostra ambasciata, sicura e funzionale con del personale italiano e afghano preparato, motivato e capace di operare nel difficile contesto locale. Le condizioni sono molto cambiate in quest’ultimo quinquennio, la situazione non è stabile e dobbiamo quindi far riferimento alle indicazioni dell’ambasciata. Cerchiamo sempre di cogliere l’opportunità per operare sul campo, ma non è frequente come vorremmo. La salvaguardia dei cooperanti italiani e del nostro personale afghano è fondamentale. È difficile fare previsioni su cosa accadrà. La speranza è che l’offerta di dialogo del presidente Ghani, piuttosto coraggiosa, non cada nel vuoto e che il negoziato possa partire al più presto”.
Situazione instabile: la sicurezza è molto critica, spesso non riusciamo a operare sul campo
MAURO GHIROTTI Le ultime bufere hanno portato via tutto alle famiglie della zona: catastrofe
JAILANI RAHGOZAR