Magnini e doping, chiesti 8 anni di squalifica: “Dài, lo fanno tutti”
Il nuotatore intercettato mentre preparava le Olimpiadi
■Michele Santucci, altro inviato della truppa azzurra in Brasile, ha dubbi su una sostanza. Ma il più esperto compagno di squadra lo tranquillizza sull’ambiente
Intercettazioni e pagamenti su carte prepagate. La richiesta di squalifica - ben otto anni - avanzata dalla Procura antidoping Nado Italia nei confronti di Filippo Magnini, ex campione del nuoto italiano ed ex compagno di Federica Pellegrini, nasce da un’indagine degli investigatori specialisti del settore: il Nas - Nuclei Antisofisticazioni e Sanità - dei Carabinieri. Coinvolto anche un altro nuotatore della nazionale azzurra, Michele Santucci, per il quale è stata richiesta una squalifica di 4 anni.
E I DUE, Santucci e Magnini, sono stati più volte intercettati dal Nas, a circa sei mesi dalle olimpiadi di Rio de Janeiro. In una delle telefonate, Santucci è piuttosto scettico sull’utilizzo della sostanza dopante, ma Magnini lo tranquillizza: “Guarda - gli dice in sintesi - che tanto fanno tutti così”. È una delle intercettazioni chiave dell’intera vicenda. Una vicenda che vede la svolta nel dicembre 2015, quando, in seguito al sequestro, in un centro fisioterapico di Pesaro, di alcune sostanze dopanti, la procura e gli investigatori decidono di indagare sul dietologo Guido Porcellini e sul suo collaboratore Antonio De Grandis. Il Nas dei carabinieri incastra i due, che finiscono sotto processo, mentre i due sportivi, sotto il profilo penale non subiscono alcuna ripercussione perché non esiste alcuna prova che abbiano acquistato le sostanze in questione. Gli atti finiscono però alla procura sportiva. Nel corso delle indagini, infatti, si scopre innanzitutto che, attraverso internet, Porcellini e De Grandis avevano messo in piedi un traffico di ormoni della crescita con la Cina. Gli investigatori del Nas, però, scoprono anche dell’altro. Tra i presunti clienti ci sono anche dei nuotatori agonisti di livello mondiale: gli specialisti dello Stile libero, in nazionale, Magnini e Santuc- ci. Siamo tra fine 2015 e inizio 2016, ovvero nel pieno della fase di preparazione delle olimpiadi di Rio de Janeiro. Agli atti, nelle intercettazioni, anche le conversazioni con le quali Porcellini non soltanto stabilisce e consiglia quali sostanze fossero necessarie per migliorare le prestazioni, ma anche le modalità e i tempi di assunzione per raggiungere i risultati prefissati. Di più: secondo il Nas e la procura di Pesaro, infatti, erano proprio Magnini e Santucci a commissionare l’acquisto dei farmaci. E per questo avrebbero pagato alcune migliaia di euro Porcellini. Nessuna prova, però, che i due abbiano mai ricevuto il materiale dopante.
Di certo, Magnini è presente durante la perquisizione a Porcellini, durante la quale i farmaci proibiti vengono sì ritrovati in studio, ma non nella disponibilità diretta del nuotatore. Ma non è finita. Dalle indagini emerge anche altro. Magnini, per portare a termine l’operazione, si rivolgeva a una perso- na molto vicina a Federica Pellegrini, che è totalmente estranea alla vicenda. È Emiliano Farnetani, fisioterapista di Magnini e Pellegrini, che viene individuato per due obiettivi. Il primo: individuare i laboratori di analisi nei quali, per evitare di far rilevare la positività alla sostanza dopante, bisognava depositare gli esami del sangue. Il secondo: a Farnetani sarebbe stato affidato il compito, mai portato a termine, di trasferire il farmaco proibito nei paese estero dove Magnini e Santucci avrebbero ultimato la preparazione atletica in vista delle olimpiadi. Dopo aver saputo della richiesta di squalifica, Magnini ha definito il tutto come una “evidente ingiustizia”.
“DOPO TUTTA la collaborazione prestata nelle indagini in questi otto mesi di strazio per me”, ha detto Magnini, “leggo il mio nome ancora sbattuto in prima pagina, accostato alla parola doping, nonostante la Procura della Repubblica di Pesaro abbia già chiuso il caso dichiarandomi totalmente estraneo ai fatti. Questa indagine è vergognosa”, ha continuato, sostenendo che si basa “su fatti che ho smentito”. Magnini parla di “gravi manomissioni”, di “accuse prive di fondamento”, di “indagine-farsa”. “Mai prima d’ora - continua - era comparso il binomio Magnini-doping, se non per le mille battaglie proprio contro il doping alle quali ho prestato la mia immagine e la mia anima”. Nonostante le due audizioni in procura antidoping, però, Magnini non deve aver minimamente convinto l’accusa, considerato che la squalifica di 8 anni è la massima pena prevista. Anche perché le intercettazioni registrate dal nas dei Carabinieri sono parecchie e a volte parecchio esplicite. E se dire “così fan tutti” a Santucci, due anni fa, poteva bastare a tranquillizzare il compagno di nazionale, oggi suona come un atto d’accusa difficile da smontare.