L’allarme fascismo scompare per 48 ore In trincea solo il pugnace partigiano Delrio
E Meloni litigano sul seguente quesito: l’esecutivo è o no di destra?
L’immoto Enzo Moavero Milanesi, talmente fermo nei banchi del governo che persino il riportone sembra scolpito nel legno, ieri ha scoperto che la sua nomina a ministro degli Esteri ha le radici nella tragica Primavera di Praga, mezzo secolo fa.
A fargli scoprire questa inedita nota biografica è il patriota Fabio Rampelli, sanguigno deputato di Fratelli d’Italia, incline al giochino dei gradi di separazione. A Rampelli, infatti, non va giù la presenza dell’élite tecnocratica in questo governo e ricorda come tutto cominciò nel 2011 con Giorgio Napolitano e Mario Monti (Moavero Milanesi era in quell’esecutivo). Napolita- no “l’uomo che si schierò contro Jan Palach e il popolo cecoslovacco che combatteva per la libertà contro il comunismo”. Dal sacrificio di Jan Palach a Moavero un solo filo.
Anche dal comunismo al fascismo il passo può essere breve ma prima c’è la definizione di destra. Ed è uno spettacolo imperdibile vedere litigare l’opposizione persino sul colore ideologico della maggio- ranza grilloleghista.
IL PRIMO scienziato della politica a esprimersi è l’ossuto reggente del Pd, Maurizio Martina: “Questo è un governo di destra e dovete avere l’onestà, il coraggio e la chiarezza di dirlo”. La destra di Le Pen e Orban, ovviamente.
Ma a Martina reagisce con zelo nazionalista Giorgia Meloni, dei citati Fratelli d’Italia, ospiti indesiderati di questa maggioranza: “Se questo fosse stato un governo di destra, la destra italiana ne avrebbe fatto parte”.
Chi ha ragione, dunque, in questo sapido duello scientifico: Martina o Meloni?
A Montecitorio, il dibattito sulla fiducia è finalmente più acceso e movimentato, rispetto all’altro giorno in Senato.
Ma nessuno sale ancora in montagna coi fucili per difendere la democrazia repubblicana. Questo il punto. Nico Stumpo, colonna di Liberi e Uguali, però avverte: “Io sono il più vicino all’uscita ( siede all’ultimo posto dell’estrema sinistra dell’emiciclo, ndr) e sarò il primo a fuggire se cade qualcosa. Ma questi possono solo cadere su se stessi”.
IL CENTRALE quesito, “il fascismo è alle porte?”, striscia come un serpente tra i corridoi e il Transatlantico, finanche alla buvette tra democratici tramezzini, ma incontra un ostacolo insormontabile: come fare “l’opposizione responsabile” (Renzi dixit a Palazzo Madama) e allo stesso tempo imbracciare i fucili e gridare al regime? È una sorta di ossimoro riformista e radicale che attanaglia come un sol uomo decine di deputati del Pd.
Vigilanza dem Il rischio regime latita in Aula, poi l’ex ministro la butta lì: “Popolo? In suo nome pure i genocidi”
David Ermini, già avanguardia renziana, incrocia il cronista che gli pone la domanda. Risposta: “Questo può diventare fascismo ma non sono fascisti i loro elettori”. Ah, ecco! È la fatidica distinzione che risale già ai tempi del berlusconismo, con le polemiche tra girotondini e riformisti.
In ogni caso, il fascismo la- tita nei resoconti ufficiali per un giorno e mezzo fin quando non si alza sul far della sera il capogruppo democratico Graziano Delrio: “In nome del popolo, in questo Paese, sono stati commessi omicidi orrendi, sono state fatte leggi razziali, in nome del popolo e della nostra Europa sono stati commessi genocidi, genocidi”. Conte si colloca tra Mussolini e Hitler, ma Delrio non ha terminato e sconfina al di là dell’oceano: “Tutti i grandi dittatori lo fanno in nome del popolo, che siano sudamericani, europei o di qualsiasi altro Paese”. Conte, l’avvocato Conte, fino a un mese fa assoluto sconosciuto, oggi incarna la somma di tutti i totalitarismi del Novecento.
FASCISMO ma anche pauperismo e giustizialismo e la perla più bella la regala l’azzurro Francesco Paolo Sisto: “Un Paese che sta diventando un battello sul Mississippi del giustizialismo. Voi questo volete proporre: un fiume di giustizialismo”.
Perché non il mare?