UN EUROPEISMO ANTI-SISTEMA PER SALVARCI
La scomoda verità è che buona parte della critica di Savona all’e ur o non è molto distante da quanto scrive l’economista premio Nobel Joseph Stieglitz. O quanto, in camera caritatis, ammettono eminenti rappresentanti del cosiddetto establishment europeo. È un segreto di Pulcinella: l’Eurozona, senza riforme, è insostenibile e destinata alla disintegrazione. Ignorare questo fatto, così come gioirne, è da irresponsabili.
PER LE NOTE ragioni economiche: un ’ uscita cancellerebbe con un tratto di penna i risparmi degli italiani e farebbe crollare la capacità di export della nostra industria. Ma, soprattutto, per ragioni politiche. Mai come oggi, infatti, la gabbia da superare sarebbe proprio quella nazionale. Dalla gestione delle migrazioni allo scandalo dell’evasione fiscale delle grandi multinazionali; dalle sfide tecnologiche, che vedono l’Europa assente nella corsa fra Usa e Cina all’intelligenza artificiale, fino alla guerra commerciale di Trump. Sono, queste, sfide che solo una politica continentale potrà governare. Paradossalmente, recuperare sovranità passa per la creazione di una grande democrazia europea.
Abbiamo bisogno di una politica capace di riformare la zona euro e offrire una visione per l’Europa di domani. Ci sono tre condizioni perché questo accada. La prima è che le élite di governo, in modo particolare in Germania, si rendano conto che il re è nudo. Che non sono perversioni “populiste” a dichia- rare questa Europa insostenibile. E che ficcare la testa nella sabbia è la strada maestra alla disintegrazione. Come cantava il poeta irlandese WB Yeats, “Tutto va in pezzi / e il centro non tiene”. Il governo Conte è un risultato dei Nein della cancelleria Merkel a ogni proposta di riforma. La seconda condizione, necessaria per la prima, è che le for- ze politiche italiane superino l’infantilismo che le ha sempre condannate all’irrilevanza. Non serve a nulla dire che si andrà ai tavoli europei “per prendere i soldi” per il reddito. I tavoli europei non sono un bancomat. Questa è la strategia fallimentare che fu di Matteo Renzi: chiedere scampoli di flessibilità. Molto più utile sarebbe mettere sul tavolo con forza la necessità di un sussidio di di so ccu paz io ne europeo. O, ancora, è senz’altro ragionevole mettere il veto sulla proposta di riforma del Trattato di Dublino, il sistema che regola la gestione degli arrivi dei migranti in Europa: si tratta di un’inutile proposta di riforma al ribasso. Ma qual è la controproposta e quali gli alleati? Si dovrebbe partire dalla recente e ambiziosa risoluzione del Parlamento europeo in cui si chiede una comune politica migratoria, stabilendo un asse forte con il governo italiano sulla questione (certo, le parole razziste che escono dal Viminale complicano l’operazione). O, infine, andrà Giuseppe Conte al Consiglio europeo di giugno semplicemente per sbattere i piedi o risponderà alle proposte di una riforma micragnosa dell’Eurozona con una visione di ampio respiro, in alleanza con Emmanuel Macron e Pedro Sanchez?
LA TERZA CONDIZIONE è che questa strategia non sia basata esclusivamente nel rapporto tra Stati – la diplomazia intergovernativa foriera di stagnazione politica e mancanza di visione – ma si appoggi su un rinnovato protagonismo dei partiti, dei sindacati e dei movimenti europei. Non ci sarà cambiamento se non riusciremo ad accompagnare alla spinta propulsiva di alcuni governi una mobilitazione europea vera e una capacità di convincere ampi settori, a partire dalle forze produttive e dai media, dei cosiddetti paesi centrali. Riusciremo ad accorgerci che il re è nudo? E si riuscirà ad andare oltre il dito impudico e accusatorio e tessere un vestito nuovo? È lecito dubitarne. Ma la storia non è mai scritta. È compito di chi la vive, se non si vuole fare solo avanspettacolo, provare a cambiarla. Ma con serietà.
COSA FARÀ CONTE? Uscire dalla moneta unica è impensabile, ma è da irresponsabili non cercare di riformare l’Eurozona (senza sbattere i piedi)