“La violenza va narrata Questa oggi è la mia fede”
La scrittrice e la famiglia di mormoni
Avolte succede che un libro interpreti un’epoca, pur trattando apparentemente d’altro. È il caso de L’educazione di Tara Westover, ospite stasera del Festival delle Letterature di Roma, il cui tema del 2018 è “il diritto e il rovescio”. Opera prima della trentenne autrice statunitense, tradotta in 53 Paesi, Educated– meglio si comprende nel titolo originale – interpreta #MeToo pur “essendo stata scritta prima della diffusione dei movimenti contro gli abusi fisici e psicologici sulle donne”, chiarisce Westover. Cresciuta in una famiglia di mormoni sulle montagne dell’Idaho, inesistente all’anagrafe fino all’età di nove anni, Tara non ha mai frequentato la scuola, né visto medici, né esplorato altro che i campi e il picco della “Principessa indiana”. Tara si è educata da sé. E dopo anni di abusi e violenze da parte di suo fratello, si emancipa scrivendo tutto, in un mémoire “che renda meno pesante la solitudine a chi ha avuto la mia stessa esperienza”. Tara ha perdonato la sua famiglia. “Ma perdono non significa riconciliazione”, chiarisce con lo sguardo fiero, ora che ha ricostruito tutto, anche le memorie della sofferenza.
Lei sostiene che questo non sia un libro pro o contro la religione. Ma è contro la radicalizzazione del pensiero. La fede, così come le persone può essere meravigliosa o terribile. L’importante è evitare di demonizzarla o utilizzarla come capro espiatorio per non guardarsi dentro.
Il libro sembra quasi un thriller psicologico, con ricordi di avvenimenti che in realtà non sono mai esistiti. È frutto di una ricerca?
Sì, ho intervistato molti membri della mia famiglia. Ho riletto i miei diari, la mia posta elettronica, e ogni volta che ho trovato discrepanze incolmabili, ho messo delle note a piè di pagina. Volevo che il libro affrontasse la questione dei diversi ricordi, perché sono una parte importante nell’evoluzione dei miei rapporti familiari. La frattura tra me e i miei genitori è stata in parte dovuta al fatto che mio fratello fosse violento, ma soprattutto al fatto che i miei genitori non mi hanno creduta quando gliel’ho rivelato. Ma il problema vero è che loro mi credono e mi credevano anche allora. Proprio per questo mi hanno allontanata. Il diverso modo di ricordare è il fulcro del libro: così come le violenze e gli abusi fisici e la maniera in cui ci relazioniamo con le vittime. Se fossi stata una bugiarda, i miei si sarebbero preoccupati per me, e non mi avrebbero accusato di essere pazza o posseduta. Dopo il #MeToo, nel macrocosmo, c'è chi ha avuto que- sto stesso atteggiamento punitivo nei confronti delle vittime. Cosa pensa del fatto che le donne abbiano denunciato “tardi”?
Mi spaventa vedere quanto sia stato facile normalizzare certe cose. Per molto tempo le donne hanno semplicemente dovuto adattarsi a vivere nel mondo così com’era, pensando che quasi non avesse senso parlare di certi argomenti. Anch’io la pensavo così: credevo che la famiglia fosse questo, che la vita fosse questa e che non avesse senso parlarne. Ma, tornando alla fede: è la speranza in qualcosa di migliore. Quindi parlare e cercare di cambiare le cose credo sia una forma di fede. Ma è altrettanto importante avere fiducia nelle istituzioni, nello Stato di diritto e nel sistema giudiziario.
Come ha fatto una persona come lei, che viveva in un mondo così chiuso, a fare lo scatto per emanciparsi?
Ci sono stati una serie di piccoli passi: l’educazione mi ha cambiata. Quando a 22 anni studiavo a Cambridge e tor- navo a casa: avevo una vita del tutto diversa, leggevo cose diverse e interagivo con persone diverse. Credo che la forza di distruzione che aveva portato a normalizzare la violenza si sia indebolita man mano che avevo accesso a modi di pensare alternativi.
Nel suo libro, da un lato c’è suo padre e le sue credenze, dall’altro sua nonna che prova a portarla via di casa. Mia nonna era abbastanza “mainstream”, voleva che andassimo a scuola. Per questo era in contrasto con mio padre, suo figlio. Ma a quell’età non c’era nessuno di cui mi fidassi di più che i miei genitori. Perché ha scritto un libro così intimo?
Volevo offrire una storia che parlasse della perdita della famiglia. Non un manuale su come affrontarla, ma un modo per far sentire meno sole le persone che ci passano. Io mi portavo dietro uno stigma. Mi chiedevo: ‘ Come faranno a credere che io sia una brava persona, se mia madre non crede che io lo sia’. Avevo bisogno di qualcuno che mi dicesse: ‘Queste cose accadono, è successo anche a me’.
Un #MeToo...
Quando si subisce una violenza, sapere che anche qualcun altro ci è passato è fondamentale.