“La cannabis leggera fa male”. Ma è vero?
Potrebbe essere vietata per legge
■ I negozi che la vendono sono nati in assenza di regole. Adesso i tecnici del ministero affermano come non ci siano studi attendibili su eventuali controindicazioni del prodotto. È il “principio di precauzione”
Il Consiglio Superiore della Sanità ha messo la cannabis leggera, quella che contiene una percentuale di sostanza psicotropa (Thc) inferiore allo 0,2%, di fronte a un bivio: nei prossimi mesi si capirà se sarà vietata o finalmente regolamentata. Vendita e consumo finora sono stati possibili perché non c’è una legge che li vieti né una che li consenta. È chiaramente permessa solo la coltivazione seppur in mancanza di una filiera controllata, tassata e normata, come invece per il tabacco. Chi è nel mercato della canapa chiede regole e chiarezza entro cui muoversi, proprio mentre l’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità, valuta la declassificazione della sua pericolosità.
IL PARERE al Consiglio superiore di sanità (Css) era stato richiesto a febbraio dal segretariato generale del ministero della Salute. È arrivato ad aprile: nel testo, l’organo consultivo raccomanda “che siano attivate (...) in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita”. La pericolosità non può essere esclusa: “Per le caratteristiche farmacocinetiche e chimico-fisiche, Thc e altri principi attivi inalati o assunti con le infiorescenze di cannabis sativa possono penetrare e accumularsi in alcuni tessuti, tra cui cervello e grasso, ben oltre le concentrazioni plasmatiche misurabili”. Impossibile quindi sapere quanto ne è stata assunta e quindi valutare “gli effetti psicotropi che questa possa produrre, sia a breve che a lungo termine”. Mancano, poi, studi approfonditi. “Non è stato valutato il rischio al consumo in relazione a età, presenza di patologie, stati di gravidanza/ allattamento, interazioni con farmaci, effetti sull’attenzione”.
LA COLTIVAZIONE di canapa industriale in Italia è prevista dalla legge 242/2016 che, secondo il Css, non include “la produzione delle infiorescenze (da cui si ricava la cannabis light, ndr) né la libera vendita”. Il 22 maggio scorso, però, è stata emanata una circolare interpretativa del ministero dell’Agricoltura che supera il parere perché stabilisce che “pur non essendo citate espressamente dalla legge n. 242 del 2016 né tra le finalità della coltura né tra i suoi possibili usi, le infiorescenze rientrano tra le coltivazioni destinate al florovivaismo, purché derivino da una delle varietà ammesse”. Citazione che vulgata vuole mancante per volere del centrodestra durante la discussione della legge in commissione. Ieri il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha fatto sapere di attendere il parere dell’avvocatura di Stato.
IL MERCATO. I negozi che vendono cannabis light “per uso tecnico” (perché non esiste la vendita destinata specificamente al fumo) nascono al ritmo di uno a settimana. Luca Morola, fondatore di Easy Joint, la maggiore azienda specializzata nella cannabis leggera in Italia e che nell’ultimo anno si è fatto carico della sensibilizzazione sul tema e di una vera e propria operazione di lobbying a livello istituzionale, spiega che ci sono almeno 700 aziende agricole che la coltivano con cui ha contatti e che potrebbero quindi tranquillamente essere il triplo. La sola Easy Joint serve almeno 500 punti vendita, gli sono arrivate 450 richieste di apertura di punti vendita in franchising (ne ha concesse solo sei) e secondo l’unico studio sul potenziale di mercato pubblicato al momento, il valore attuale è di circa 50 milioni di euro. La coltivazione della canapa occupa circa 5mila ettari, tra indoor e outdoor. “Siamo nati perché sembrava non ci fosse possibilità di vendere le infiorescenze della canapa industriale - spiega - e abbiamo voluto creare massa critica”. I pareri sono percepiti come importanti punti di svolta: “Mi auguro che dopo quello dell’avvocatura, la ministra abbia tutti gli elementi per aprire un tavolo tecnico. Bisogna riconoscere esistenza e resistenza di questo mercato”.
CLAUDIO Prevatiello è il rappresentante nazionale del settore floravivaismo per Anga, Giovani di Confagricoltura: “La filiera della canapa è in forte crescita ed è molto più vasta della cannabis light, per la quale sarà l’avvocatura di Stato a stabilire se ci sia una base normativa per il divieto”. Il timore è che stigmatizzarla danneggi tutto il mercato della canapa, dall’estrazione di altri principi alla biofibra. “Perciò è ancora più importante normare in fretta”. A febbraio i principali sindacati agricoli italiani erano alla Camera a chiedere leggi certe. Intanto hanno avviato un percorso di autoregolamentazione con linee guida depositate la settimana scorsa che saranno adottate a breve. Anche se è ammessa solo la coltivazione dei semi autorizzati dall’Ue, manca infatti una filiera di controlli sulla produzione. E sulle polemiche di chi sostiene avvici-
ni alle sostanze illegali? “Se il principio attivo drogante, perché sia tale, deve essere a un certo valore significa che studi e analisi riconosciuti hanno stabilito sia così - conclude Marola di Easy Joint - tanto che questi limiti sono stati recepiti e stabiliti per legge da Italia e Ue”.