Il Fatto Quotidiano

La maturità serve ancora a qualcosa per gli studenti?

- ▶ FILIPPOMAR­IA PONTANI E DANIELA RANIERI

Con ogni esame di maturità si propone la vecchia questione dell’utilità di far tradurre da una linguamort­a un brano di duemila anni fa. Le repliche, per lo più difensive, spesso non centrano il bersaglio, adducendo la supposta perfezione ineguaglia­bile dei classici, o la loro natura di pietra angolare della "nostra" cultura. La versione scelta quest’anno, un passo dall’Etica Nicomachea di Aristotele, fornisce un buon esempio. È un testo abbastanza semplice, non fosse per un fastidioso problema filologico (il genitivo boethèias – lo ricordino i commissari - è quasi incomprens­ibile, e invale la lezione boètheia o boethèi), e per un’ellittica citazione di Omero (“due che vanno insieme <l'uno prima dell'altro vede cos'è meglio>”).

IL BRANO, che apre il libro VIII dedicato all’amicizia, offrirebbe infiniti spunti a chi volesse studiare lo sviluppo di quel concetto da Cicerone ad Agostino a Montaigne, a chi volesse indagare le radici dell'idea di carità in san Tommaso, o anche - sul piano più politico - a chi volesse rivendicar­e l’importanza dell’amicizia tra i cittadini nella tenuta degli Stati, da Jean Bodin a Paul Ricoeur. Tuttavia, il solo atto di confrontar­si con le nude parole del filosofo antico ha un valore in sé, che nessuna traduzione e nessun discorso storico-culturale possono sostituire: i maturandi del 2018 forse non dimentiche­ranno la paronomasi­a con cui Aristotele denuncia l’inutilità della prosperità ( euetería ) se non si può grazie ad essa fare del bene ( euerghesía); si ricorderan­no di queste righe che predicano la necessità dell'affetto quando un loro vecchio avrà bisogno di cure, anzi di terapie ( presbytèro­is pros therapèian); saranno sull'avviso quando qualcuno dirà loro che una comunità si fonda solo sulla giustizia ( dikaiosyne) e non anche sull’amicizia che diviene concordia ( omònoia, come la grande piazza di Atene, e quella di Parigi) e previene la stasis, che non è qui la “stasi” ma il conflitto intestino.

I diciottenn­i di oggi potranno ricordarsi della frase con cui l’antico filosofo estende il concetto di amicizia oltre gli animali e “quelli della stessa razza”, e ne fa una questione universale: “si può vedere nelle peregrinaz­ioni come ogni uomo sia per l’uomo un essere familiare e amico”. Il testo ha qui due neutri, oikèioneph­ilon, nel senso che l’uomo che incontra l’uomo durante un viaggio o un vagabondag­gio è per sua natura una “cosa” amica, una “realtà” familiare e d’aiuto - concetti non proprio obsoleti; e da qui partiranno Derrida e Levinas per la loro teoria dell’ospitalità. Teorie, punti di vista, filosofie: non verità indiscutib­ili, ma basi per pensare.

IL CONFRONTOc­on il greco e il latino offre un’esperienza intellettu­ale unica, qualunque cosa si decida di fare nella vita, e uno strumento inesauribi­le di comprensio­ne e critica del mondo circostant­e. In tal senso, questo tipo di prova non è più inattuale del funzioname­nto delle macchine per mattonelle o del concetto di “qualità” in àmbito turistico e alberghier­o. Il punto vero di questi esami, come dell’intero processo educativo, sta nel riempirli di senso, per chi li sostiene e per chi li somministr­a. E questo senso non si recupera con le predelle alle cattedre, con l’obbligo di alzarsi in piedi quando entra il professore, o con simili nostalgich­e corbelleri­e: si recupera dando una vera centralità all’istruzione - umanistica, scientific­a e tecnica - nel discorso pubblico; mostrando come questa roba, con gli aoristi e i sillogismi e gli asintòti, tocchi da vicino il mondo in cui viviamo; dando reale dignità agli edifici in cui il sapere viene trasmesso (dai banchi ai cessi); dotando gli istituti di attrezzatu­re aggiornate e favorendo il legame con il mondo del lavoro là dove esso ha un senso e non dove serve come foglia di fico; selezionan­do gli insegnanti che sanno, e non quelli che fingono di sapere.

È una scommessa difficile, e la stiamo perdendo; ma è anche la più importante.

l punto vero di questi esami, come dell’intero processo educativo, sta nel riempirli di senso, per chi li sostiene e per chi li somministr­a

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Professore Filippomar­ia Pontani è professore associato di Cultura classica alla Cà Foscari di Venezia

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