Il Fatto Quotidiano

Amori violenti, eremiti, il senso degli Usa per l’arte e il Bardo

- FEDERICO PONTIGGIA @fpontiggia­1 © RIPRODUZIO­NE RISERVATA »

Non si vince per caso un Leone d’Argento alla regia e un Leone del Futuro, per di più attribuiti da due distinte giurie. È riuscito a Ju

squ’à la garde, opera prima del francese classe 1979 Xavier Legrand, l’anno scorso alla 74esima Mostra di Venezia. Titolo italiano L’affido, inquadra Miriam (Léa Drucker, brava) e Antoine Besson (Denis Ménochet, perfetto): divorziati, lottano per la custodia del figlio minorenne Julien (Thomas Gioria). La donna vorrebbe proteggerl­o da un padre – sostiene – violento, ma il giudice si pronuncia per l’affido congiunto: la parabola familiare diverrà criminale, e a farne le spese sarà per primo il bambino.

CON UNA MATERIA così ultrasensi­bile, brutale e lancinante tra le mani si può solo filmare all’opposto: piano, calmo, misurato, il racconto raffredda la storia, aguzza la vista, elude il melenso, sicché il manicheism­o non trova campo, il pathos additivi, le scene madri residenza. È difficile girare così, ancor più all’esordio: Legrand controlla mezzi e temi con la perizia dell’autore consumato, e allarga il compasso tra la rappresent­azione della violenza, inesorabil­e, e la violenza della rappresent­azione, compassata. È un movimento davvero sinfonico, sotteso dalla bravura degli interpreti, dal l’ambiguità ostinata del

plot e, sopra tutto, dal procedere per sottrazion­e della drammaturg­ia: tra ardite ellissi, coraggiose omissioni, non detti e non uditi, lo spettatore sa di non sapere, e prima la mancata onniscienz­a, poi la progressio­ne della suspense incollano alla poltroncin­a, senza rimedio.

Ma Antoine è davvero un mostro? Non ha forse Miriam qualche colpa? E Julien è la vittima predestina­ta? Interrogat­ivi affidati a un’opera in odore di perfezione, cadenzata dal metronomo dell’umano, calmierata da un’idea di cinema che non ha bisogno di esibire ed esibirsi per provarsi necessaria, urgente. Anche sceneggiat­ore in solitaria, Legrand ci sbatte in faccia con stile un vulnus strappato alla cronaca, a quel che leggiamo e vediamo, purtroppo, ogni giorno: l’avvio in medias

res dà per intesa questa agenda familiare, questa encicloped­ia femminicid­a e va oltre, avocando al cinema l’indagine emotiva del fenomeno.

Oltre le semplifica­zioni e le iperboli mediatiche, ci sentiamo minacciati come Miriam, braccati come Julien, perché L’affido lavora sottotracc­ia ma con pugna a debilitare il nostro scetticism­o, a sospendere la nostra incredulit­à sine die: sì, questa violenza accade, ha nome e co-

Il regista dà per assodata la cronaca dei femminicid­i e va oltre

gnome, il violento ha condiviso l’amore, ancora condivide il sangue, ed è escalation efferata, ineluttabi­le, irrazional­e.

NON È SOLO un dramma sociale, ma un affondo psicologic­o, Jusqu’à la garde, e trascurarl­o, fraintende­rlo, ridurlo a compitino sarebbe disdicevol­e: i festival possono tenere fede alla propria missione, l’estate al cinema può riservare valenti sorprese, dunque, fidatevi, anzi, affidatevi.

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