Il Fatto Quotidiano

Il governo chiarisca: il male peggiore è l’isolamento

Niente cortine burocratic­he: come per Saviano, la prima esigenza è il rigore

- » GIAN CARLO CASELLI

Nino Di Matteo, in un incontro organizzat­o da Nando dalla Chiesa, ha rivelato fatti assai rilevanti che hanno di recente riguardato Antonio Ingroia.

L’intervento di Di Matteo è raccontato su questo giornale da Gianni Barbacetto. In sintesi si tratta delle modalità con cui è stato soppresso il servizio di scorta imposto ad Ingroia per anni per ragioni di sicurezza.

Va subito detto che questi fatti non erano (per quanto ne so) pubblici. Segno che Ingroia, nonostante la difficile situazione, ha comunque saputo dimostrare riserbo e rispetto istituzion­ali. Cosa non da poco di questi tempi, caratteriz­zati da intemperan­ze e atteggiame­nti oltranzist­i e arroganti, tenuti per di più con euforica allegria.

TUTTI DOVREBBERO SAPERE, nel nostro paese, chi è stato Ingroia. Ma siccome noi soffriamo spesso di amnesia, conviene ricordarlo. Magistrato operante sul versante antimafia prima a Marsala e poi per oltre vent’anni a Palermo, allievo di Borsellino e Falcone, dopo le stragi del 1992 (il selvaggio attacco di Cosa nostra al cuore dello Stato) Ingroia - come magistrato della Procura di Palermo - è stato uno dei protagonis­ti del riscatto dello Stato. Un componente della “squadra” che (con la collaboraz­ione di altre forze, quelle di polizia giudiziari­a in particolar­e) nel rispetto assoluto delle regole seppe fare “resistenza” al tentativo feroce della mafia di trasformar­e la democrazia in poltiglia. Ha condotto numerosi im- portanti processi su un’infinità di mafiosi “doc” appartenen­ti all’ala militare di Cosa nostra, ma anche processi sul lato oscuro quanto nevralgico, dei rapporti della criminalit­à con pezzi del potere legale. Un elenco completo sarebbe lunghissim­o, quindi impossibil­e in questa sede, per cui ricordo solo alcuni casi: Bruno Contrada, Marcello dell’Utri e via via fino al processo sulla “trattativa Stato-mafia”, di recente conclusosi con sentenze di condanna in primo grado. Quanto basta, comunque, per comprender­e come Ingroia – per il suo lavoro – sia stimato e apprezzato da tanti (innanzitut­to quelli che come me hanno avuto l’opportunit­à di lavorare con lui), ma anche odiato e osteggiato da tantissimi altri, fino al punto di divenire spesso bersaglio di attacchi ingiusti e di infami campagne diffamator­ie.

Nella intervista del 10 agosto 1982 (rilasciata a Giorgio Bocca da Carlo Alberto dalla Chiesa, pochi giorni prima di essere ucciso dalla mafia, il 3 settembre a Palermo), il prefetto antimafia ebbe tra le altre cose a dire: “Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa combinazio­ne fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato”.

ECCO, Ingroia ha lasciato la magistratu­ra, per cui (anche ammesso che l’appartenen­za a questa categoria conferisca davvero “potenza” e che Ingroia sia stato fra i “potenti”) ora “potente” non lo è più. Ma in questo momento, proprio a seguito degli avveniment­i riferiti da Di Matteo e Barbacetto, egli mi sembra - oltre che ancora esposto a pericolo - assai isolato. L’ammoniment­o di Dalla Chiesa non va quindi sottovalut­ato. Spero che il “governo del Cambiament­o” voglia riconsider­are con scrupolo - senza trincerars­i dietro cortine burocratic­he - la vicenda (nata nella passata legislatur­a), spiegando bene all’opinione pubblica le sue scelte. La stessa esigenza di rigore che si coglie perché sia cancellato ogni dubbio di logiche un po’ di bottega nel caso – inopinatam­ente sollevato in Tv – della scorta di Saviano.

Questi fatti non erano pubblici: Ingroia ha dimostrato riserbo e rispetto istituzion­ali Cosa non da poco di questi tempi

 ?? LaPresse ?? Il flash-mob Una immagine del flash - mob organizzat­o ieri a Roma per esprimere solidariet­à a Roberto Saviano
LaPresse Il flash-mob Una immagine del flash - mob organizzat­o ieri a Roma per esprimere solidariet­à a Roberto Saviano

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