Poveri voi ragazzi, costretti a temini da inserto culturale
Poveri ragazzi, avete tutta la nostra simpatia. Vi viene inflitto un tormento inutile, che tornerà nelle vostre notti in forma di incubo e non vi abbandonerà più come senso insieme della vostra inadeguatezza e della violenza della vita. E per soprammercato, di ritorno da quel massacro, col sonno addosso e ancora l’immotivata paura nel cuore per ciò che avete scritto, dunque per l’irreparabile, vi toccano le nostre paturnie di sadici scuolesenti, tutti a elogiare la scemenza ministeriale che vi è toccata quest’anno, con predilezione per quei temini da inserto culturale tutti incentrati sul “senso civico” e la “critica sociale” che da un po’ di anni a questa parte vi toccano in sorte.
Il tema d’italiano alla maturità è la macchia di Rorschach della Nazione, la cartina di tornasole dell’Italia mentale, che in quelle quattro-cinque tracce deposita tutte le sue nevrosi, i suoi tic, i suoi birignao, i suoi complessi di colpa, il suo analfabetismo funzionale (Tullio De Mauro diceva che affligge due terzi della popolazione), e in quel suo saper leggere e scrivere ma non comprendere davvero, si sente in diritto di piegare il vostro legno ancora tenero al suo afflato per il politicamente corretto.
COME SE VOI foste una versione migliore di noi stessi, bambolotti insufflati di genio italico, miniature di futuri statisti, e doveste svolgere i vostri/nostri compitini di impegno morale con destrezza, come piccoli balilla educati alla democrazia. Giusto per citare qualche tema degli ultimi anni: i versi “ecologici” di Giorgio Caproni, il rapporto padre-figlio (tema renzian-recalcatiano), la premio Nobel Malala e la sua frase “Le penne sono le nostre armi più potenti”, come se la classe dirigente volesse davvero che le vostre penne fossero potenti, e non fosse sempre stato lo scopo della scuola così come voluta dalla politica la pastorizzazione di ogni talento, la sterilizzazione di ogni differenza.
Se fossi stata commissario d’esame e un maturando avesse scritto per tema uno degli articoli che gli “operatori culturali” hanno dedicato ai temi di quest’anno (tutti in brodo di giuggiole per il tema sulla solitudine, con la poesia di Alda Merini famosa perché molto condivisa su Facebook), forse non l’avrei bocciato, ma gli avrei consigliato di non cedere al desiderio di essere come tutti, lo avrei incoraggiato a conquistarsi la sua voce, piuttosto che quella condivisa dal gregge dei mezzi-colti, a rendere la sua penna un’arma potente e non una protesi da inzuppare nell’acquasantiera del concesso, del decente, del presentabile.
PER SCADERE nella volgare attualità: le tracce sono state decise dal Miur della diplomata media Fedeli (motivo per cui sarebbe più corretto, in omaggio a lei e a chi le curava il sito, chiamarle “traccie”). Lasciando stare la faccenda dei titoli senza i quali ella si è arrogata questo diritto (forse in virtù della massima di Oscar Wilde: un esame è una domanda fatta da uno scemo a cui un saggio non saprebbe rispondere), è buffo che una delle tracce tiri in ballo la Costituzione, quella che il partito della Fedeli voleva cambiare, e nel suo articolo 3, quello che riguarda la libertà e l’uguaglianza dei cittadini e che da decenni viene sistematicamente negato e calpestato a partire proprio dalla scuola, da ultimo dalla Buona scuola renziana, un obbrobrio aziendalista e classista che non era venuto in mente nemmeno a Berlusconi.
Sempre De Mauro: le “diseguaglianze (sociali) danno luogo a diseguaglianze di trattamento che producono risultati diseguali, da cui nascono diseguali capacità di orientarsi nei percorsi scolastici… da cui si determinano diseguali possibilità di inserimento nel lavoro e nella vita sociale”.
Coraggio, ragazzi: lottate per ottenere la vostra voce e pretendere libertà e uguaglianza, ché noi presto, come con Sanremo, ci stancheremmo di parlare di voi e passeremo ad altro.
La prova d’italiano alla maturità è la cartina di tornasole dell’Italia mentale, che in quelle quattrocinque tracce deposita tutte le sue nevrosi, i suoi tic, i suoi birignao, i suoi complessi di colpa