Il Fatto Quotidiano

Ingroia, lettere e minacce Saviano, la scorta rimane

Ai ministri L’ex pm, rimasto senza protezione a maggio, ha scritto a Minniti e Salvini ricordando le molte minacce, anche recenti, ricevute dalla mafia

- » GIANNI BARBACETTO

Dopo 27 anni di vita sotto scorta. Dopo due settimane dalle sentenze di condanna al processo sulla trattativa Stato- mafia. Antonio Ingroia, che dell’indagine sulla trattativa è stato l’iniziatore, è lasciato senza protezione. Lo ha denunciato il magistrato Nino Di Matteo. “Ingroia è in pericolo, perché Cosa nostra non revoca le sue condanne a morte”.

A decidere la soppressio­ne della scorta all’ex magistrato, oggi avvocato difensore di collaborat­ori di giustizia, è stato agli inizi di maggio l’Ucis, l’ufficio centrale interforze per la sicurezza personale, d’intesa con le prefetture di Roma e di Palermo. Ingroia ha reagito in silenzio, cercando di spiegare le sue preoccupaz­ioni con alcune lettere inviate al ministero dell’Interno.

LA PRIMA LETTERA, del 16 maggio 2018, è per il ministro Marco Minniti e il capo della Polizia Franco Gabrielli. “Lo scrivente, pur nel rispetto delle competenze e della responsabi­lità degli Organi preposti alla verifica e alla valutazion­e della sussistenz­a dei presuppost­i per il mantenimen­to o la revoca del sistema di protezione già disposto, non può nascondere di essere rimasto sorpreso”. Ingroia ricorda che “nel 2009, Domenico Raccuglia, il boss allora latitante, vicino a Matteo Messina Denaro”, venne arrestato “nei pressi della mia casa di campagna, a Calatafimi, mentre stava preparando un attentato nei miei confronti”.

Più recentemen­te, “appena cinque anni fa, il collaborat­ore di giustizia Marco Marino ha riferito al procurator­e aggiunto Giuseppe Lombardo di Reggio Calabria che Cosa nostra e la ’Ndrangheta nel 2011 stavano preparando un attentato per uccidermi in relazione alle indagini sulla trattativa Stato-mafia, facendomi saltare in aria con venti chili di esplosivo”.

Non solo le indagini del passato come magistrato, ma anche l’attività presente come avvocato mettono a rischio Ingroia. Per esempio, la difesa “del collaborat­ore di giustizia Armando Palmeri” nel processo di Reggio Calabria sulla ’Ndrangheta stragista.

LA SECONDA LETTERA, del 4 giugno, è mandata al nuovo ministro dell’Interno, Matteo Salvini. “Il collaborat­ore di giustizia Carmelo D’Amico ha riferito di specifici e concreti progetti omicidiari con- cepiti nei confronti dello scrivente e del pm Di Matteo, temporanea­mente accantonat­i solo in quanto all’epoca di difficile realizzazi­one”.

Ecco che cosa dichiarava D’Amico nel 2015: “I servizi segreti volevano morto prima il dottore Ingroia, poi non ci sono riusciti. Questo lo hanno trattato i servizi segreti, hanno mandato l’ambasciata a Provenzano, non ci sono riusciti. Perché Provenzano non voleva più le bombe e quindi il dottore Di Matteo o prima il dottore Ingroia dovevano essere uccisi tramite, tanto per dire, agguati, solo con un agguato, non con le bombe. E quindi aspettavan­o questo, praticamen­te questo, da un momento all’altro”.

Quanto a Totò Riina, continua Ingroia,

“faccio riferiment­o all’i nte rcet tazi one ambientale registrata il 26 agosto 2013 nel carcere di Milano-Opera.

Riina, parlando con un altro detenuto, definiva la mia persona il Re dei cornuti , espression­e gergale di ostilità, molto diffusa nel mondo criminale, con la quale si manifestav­a il disprezzo e l’odio del Capo dei capi nei miei confronti”.

LA TERZA LETTERA, del 21 giugno, è ancora per il ministro Salvini e per il sottosegre­tario all’Interno Carlo Sibilia ( del Movimento 5 Stelle). Chiede “una rivalutazi­one aggiornata della situazione di pericolo cui lo scrivente ritiene di essere attualment­e an- cora esposto”. La “improvvisa e totale rimozione di ogni dispositiv­o di protezione potrebbe essere interpreta­to dalle organizzaz­ioni mafiose e in particolar­e dai boss che ho più perseguito in questi anni – da Matteo Messina Denaro ai fratelli Graviano agli stessi corleonesi facenti capo a Leoluca Bagarella, nonché ai capi della ’ Ndrangheta – un segnale di abbandono e di isolamento da parte dello Stato nei confronti di chi per almeno 25 anni è stato percepito, a torto o a ragione, come un simbolo della lotta alla mafia, quale uomo delle Istituzion­i e servitore dello Stato”.

“Paradossal­e e grottesca”, conclude Ingroia, la nuova misura di protezione decisa il 20 giugno: un “controllo dina

mico a orari convenuti ch e consiste nell’assistenza, da parte dell’equipaggio di una volante della polizia, in occasione della mia uscita e rientro da casa, misura intuitivam­ente del tutto inutile”.

Lo scrivente, pur nel rispetto di competenze e responsabi­lità degli organi preposti alla sicurezza, non può nascondere di essere sorpreso Un segnale di isolamento nei confronti di chi è stato percepito come un simbolo di lotta alla mafia

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Ansa La toga e il Viminale Antonio Ingroia e, in basso, l’ex ministro Minniti e il capo della Polizia Gabrielli
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