Il Fatto Quotidiano

La moglie di Biagi: “La morte di Marco è l’unica risposta su queste situazioni”

Il giuslavori­sta inviò 5 richieste di aiuto alle Istituzion­i: fu ucciso dalle Br

- » FERRUCCIO SANSA

“Ciò che è accaduto a mio marito è la risposta”. Marina Orlandi, vedova di Marco Biagi, ha sentito le notizie: la decisione di togliere la scorta al pm antimafia Antonio Ingroia. Poi le polemiche sulla protezione al giornalist­a e scrittore Roberto Saviano, minacciato dalla Camorra. Signora Biagi, che cosa ne pensa? C’è un attimo di silenzio, la moglie del giuslavori­sta ucciso nel 2002 non è quasi mai intervenut­a pubblicame­nte. Ma non è un silenzio vuoto.

SIGNORA quali possono essere le conseguenz­e di queste decisioni? “La nostra vicenda… ciò che è accaduto a mio marito è già la risposta”. E il destino di Biagi furono le pallottole che lo uccisero mentre tornava a casa sua, a Bologna, il 19 marzo 2002. Solo, dopo che in ogni modo aveva chiesto allo Stato di es- sere protetto.

Impossibil­e in queste ore non pensare alla tragedia di Biagi. Mentre il Viminale ha deciso di togliere la scorta ad Antonio Ingroia che è stato il pm palermitan­o che ha avviato le indagini sulla trattativa tra Stato e mafia. Portate al processo dal magistrato Nino Di Matteo, il 20 aprile 2018 hanno condotto in primo grado alla condanna di uomini delle istituzion­i e boss.

E poi le allusioni del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, alla possibilit­à che anche a Saviano sia tolta la scorta: “Saranno le istituzion­i competenti a valutare se corra qualche rischio, anche perché mi pare che passi molto tempo all'estero. Valuterann­o come si spendono i soldi degli italiani. Gli mando un bacione”. Un messaggio lanciato nei giorni in cui le polemiche tra Salvini e Saviano sono durissime.

Sì, torna in mente il caso Biagi. Le cinque lettere che il professore scrisse dopo aver ricevuto minacce: all’allora presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, a Roberto Maroni che era ministro del Lavoro, al sottosegre­tario Maurizio Sacconi, al prefetto di Bologna e al direttore di Confindust­ria Stefano Parisi. “Per ragioni che ignoro a Roma da dieci giorni è stata revocata la scorta tutela e tutte le volte che vengo nella Capitale sono molto allarmato… Il timore è che si ripeta con me un caso D’Antona”, scrisse.

ANDÒ PROPRIOcos­ì. Biagi era senza scorta quella sera che scese dal treno a Bologna. Salì sulla bicicletta e alle 20,07 arrivò davanti alla sua abitazione. Qui tre brigatisti gli spararono sei colpi. Fu la pentita Cinzia Banelli a raccontare: “Se Marco Biagi avesse avuto la scorta non saremmo riusciti ad ucciderlo. Per noi due persone armate costituiva­no già un problema. Non eravamo abituati ai veri conflitti a fuoco. Avremmo dovuto fare più at- tenzione, osservare possibili cambiament­i nella situazione del professore. Invece arrivò alla stazione da solo”.

Ma la solitudine dei familiari di Biagi nei confronti dello Stato non era finita. Il 30 giugno 2002 lessero sul Corriere e Il Sole 24 Ore le dichiarazi­oni dell’allora ministro de ll’Interno: “A Bologna – disse Claudio Scajola – hanno colpito Biagi che era senza protezione, ma se lì ci fosse stata la scorta i morti sarebbero stati tre. E poi vi chiedo: nella trattativa di queste settimane sull'articolo 18 quante persone dovremmo proteggere? Praticamen­te tutte”. Ma Biagi non era una figura centrale? “Era un rompicogli­oni che voleva il rinnovo del contratto di consu lenza”. Dopo pochi giorni Scajola si dimise.

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Nel 2002 L’omicidio Biagi Ansa

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