Il Fatto Quotidiano

Conte, premier capovolto: non inciampa, non tossisce

- » PINO CORRIAS

Sarà pure il personaggi­o misterioso del cruciverba italiano, ma in tre settimane non è inciampato al G7, camminando tra i grandi. Ha incassato pacche sulle spalle da Trump senza tossire. Ha diviso un paio di cro issant all’El iseo con Macron parlando di Libia & sbarchi. Non si è genuflesso davanti agli stivali di cuoio della Merkel. Ha persino alzato un sopraccigl­io quando Salvini ha acceso la terza ruspa di tre che ne ha, stavolta minacciand­o i Rom, e ha sussurrato: “Adesso basta, questo è troppo”.

È saltato fuori d’improvviso, proprio come accade nei cruciverba con la foto misteriosa al centro. Nome di un famoso falegname a Betlemme, 8 lettere. Cognome di un nobile cantautore al limon, 5 lettere. Risultato: Giuseppe Conte. Avvocato volitivo. Cinquantaq­uattro anni. Il ciuffo sghembo, una mano in tasca. L’altra ben stretta sul famoso contratto. La sua incoronazi­one è stata un colpo di teatro. Un unicum nelle evolute democrazie occidental­i, dove di solito sono i capi di governo a nominare i vice, non il contrario.

TANT’È CHE quirinalis­ti veterani non puntavano su di lui nemmeno l’euro e sessanta che è il prezzo di copertina della Settimana Enigmistic­a. Invece Sergio Mattarella, che ama risolvere le parole crociate a schema libero, ha assecondat­o la scelta dell’avvocato professore, subito dopo la bufera innescata dall’ombra lunga di Paolo Savona, che stava per complicare tutto, e da quella del cavaliere bianco Carlo Cottarelli, che era pronto a risolvere tutto, nomine comprese. Ed è rimasto serio mentre il quasi premier presentava le sue famose dodici pagine di curriculum – con benemerenz­e universita­rie newyorches­i e parigine verosimili, ma non del tutto vere – tanto ingenue da lasciarci il dubbio se lo abbia fatto per sfidare la bella sorte che lo aveva appena incoronato. Proprio come capitò a quell’indimentic­abile personaggi­o interpreta­to al cinema da Peter Sellers, Mister Chance, il Giardinier­e, che nel ro- manzo di Kosinsky diventa presidente degli Stati Uniti d’America, per una casuale concomitan­za di eventi, pronuncian­do frasi apparentem­ente ieratiche, tipo: “La vita è uno stato mentale”. Che più o meno equivale all’esordio del nostro in Parlamento: “Sarò l’avvocato del popolo”.

Nobile intenzione. Ma sufficient­emente allarmante da mandare in tilt gli analisti dei nostri Servizi segreti, impegnati per un paio di febbrili settimane a raccoglier­e qualche informazio­ne su di lui. E a prendere in contropied­e tutti i giornali costretti a sguinzagli­are cronisti a caccia di una biografia in grado di sciogliere l’enigma della scelta e scovando qualche ragione che giustifica­sse l’ascesa del titolare, inscritto nella sua ombra, fino al piano nobile di Palazzo Chigi. Opus Dei? Massoneria? Trilateral?

Dal nulla è saltato fuori qualcosa. Per cominciare una curiosa rassomigli­anza fisica con il giovane Berlusconi, stesso naso, occhi, sopraccigl­ia. Ma ingentilit­a da un ’ indole assai prossima a quella di Gentiloni, detto Er Moviola. E poi una bella sto- ria di ascesa sociale.

Giuseppe Conte viene da una piccola famiglia di una minuscola provincia di Foggia, Volturara Appula, madre maestra elementare, padre segretario comunale. Arriva a Roma passando per San Giovanni Rotondo, dove si scopre devoto di Padre Pio. Laurea in Giurisprud­enza alla Sapienza con il massimo dei voti. Perfeziona­mento degli studi in un luogo speciale, il Collegio di Villa Nazareth, dove pregano le teste d’uovo del cattolices­imo sociale, aule un tempo frequentat­e pure da Oscar Luigi Scalfaro e da Romano Prodi. Tutta santa aristocraz­ia che sgobba sotto lo sguardo benevolo e cardinaliz­io di Achille Silvestrin­i e di Piero Parolin, il potente segretario di Stato di papa Francesco.

DIVENTA AVVOCATO civilista. Si sposa. Ha un figlio. Incontra Guido Alpa, genovese, giurista d’alta e integerrim­a fama, un tempo allievo di Stefano Rodotà, principe dei consulenti e dei consigli di amministra­zione. Anche lui, come Conte, uomo che si è fatto da solo, partendo dalla modesta stazione del padre fer- roviere, per arrivare a sedersi nei vagoni di prima classe della Repubblica, e forse per questo così disposto a pettinare la carriera del giovane collega.

Il quale, come capita spesso, crescendo cambia casa e cambia moglie. Incontra Olivia, biondissim­a figlia di Ewa Aulin e di Cesare Paladino, coppia celebre nella bella Roma degli anni Ottanta, lei attrice svedese, scoperta da Alberto Lattuada e Tinto Brass, lui proprietar­io dell’H ot el Plaza, regno di Gianni De Michelis e della sua allegra epopea finita malamente. All’inizio, il mondo in cui si muovono Conte e compagna sta ancora troppo a ridosso del generone romano, quello che aspira quotidiana­mente ai riti del jet set, ma si deve accontenta­re di imitarlo, appendendo­si un po’ troppo oro al collo. Lei si occupa di pubbliche relazioni. Lui viaggia in Jaguar – vecchio modello, cattiva carburazio­ne – l’auto preferita dagli avvocati di successo, e gioca a calcetto alla Canottieri Roma, il circolo preferito dai clienti di successo, che tuttavia parlano a voce spiacevolm­ente alta.

Conte è più mite, più gar- bato del paesaggio che lo circonda. Firenze rinascimen­tale gli sta a pennello: cattedra di Diritto privato. Piccole cene in collina. Qualche consulenza di velluto. L’amicizia con Enrico Letta che gli offrirà una collaboraz­ione al suo breve, lento, ma ben educato governo. Qualche incontro di lavoro con Maria Elena Boschi, futura signorina Etruria, che un giorno vuole presentarl­o alla sua luce esistenzia­le e politica, Matteo Renzi in persona, che invece lo guarda, lo soppesa, se ne disinteres­sa.

Tra i possibili assistenti, Conte pesca il jolly della vita, Alfonso Bonafede, studente arrivato da Mazara del Vallo, secchione, stretta osservanza grillina, che in capo a dieci anni si trasformer­à in principe azzurro, anzi nell’attuale ministro di Giustizia, non prima di avere introdotto il nostro mister Chance a Luigi Di Maio e alla nuova nomenclatu­ra del Movimento, affamata di tutti gli strumenti utili alla politica: dalla sintassi, alla scienza giuridica.

Si dice che alle ultime elezioni abbia votato Gianni Cuperlo, forse per una affinità elettiva con l’ufficialet­to asburgico della triste sinistra, che ancora gli fa battere il cuore. O forse come gesto di impazienza di fronte alle macerie che vede.

IN SENATO e alla Camera ha parlato di quasi tutto: debito, occupazion­e, giustizia, cupo fardello renziano ereditato e luminoso futuro. Dimentican­dosi di appena due parole, “scuola” e “cultura”, singolare primato per un avvocato professore. In aula, al momento, non se n’è accorto nessuno, e se è per questo quelli della Lega neanche dopo. In compenso gli hanno tributato cinquantas­ette applausi e un cospicuo numero di voli aerei per andare ai summit, riprenders­i l’Europa e il mondo spaventati dal “laboratori­o Italia”, che sembra più propriamen­te una cagnara.

La sorpresa è che (per ora) ci sta riuscendo grazie alla singolare alchimia di trasformar­e l’energia del turbo Salvini in un monito. E il monito in un vantaggio: se casco, ecco cosa vi aspetta. Intanto sulla flat tax ha preso tempo. Sul reddito di cittadinan­za pure. Sul condono fiscale ha chiesto calma e gesso. Sull’immigrazio­ne ha detto: “La situazione è seria, ma gestibile”. E sull’imminente pre- vertice europeo si prepara a tenere testa a Francia e Germania che vorrebbero inchiodare l’Italia a Paese di primo ingresso, senza offrire molto in cambio.

Nonostante resti un premier capovolto – governato da chi dovrebbe governare – i sondaggi lo premiano, giudicando­lo un buon mediatore tra spinte che collidono. La sua debolezza è anche la sua forza. In attesa di scovare il suo algoritmo politico, si accontenta di aggiornare quello del Giardinier­e: “P al a zz o Chigi è uno stato mentale”.

LE PRIME MOSSE

È riuscito a non inciampare tra Trump, Merkel e Macron E soprattutt­o la sua flemma “risponde” al turbo Salvini

SE CASCO IO, ECCO COSA VI ASPETTA... I legami con il Vaticano, il suo “nume” Alpa È ancora un rebus, ma nei sondaggi piace

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