Il Fatto Quotidiano

“Come cambia il potere e i segreti delle maratone”

Il direttore del Tg di La7: “Dormo 4 o 5 ore per notte Stanchezza? Il nostro non è un lavoro usurante. E poi non so cosa sia lo stress”

- » ALESSANDRO FERRUCCI @A_Ferrucci

Quando Enrico Mentana parla, spesso non guarda in viso. Non è scortesia. O timidezza. Ma come spiega lui stesso, “sono multitaski­ng”, vuol dire che risponde alle domande, poi con un quarto di occhio controlla il match dei Mondiali di calcio (e commenta), con un altro quarto monitora il computer e il susseguirs­i di notizie, quindi legge gli articoli per il telegiorna­le della sera, scrive i titoli, arrivano i messaggi sul cellulare, poi allo scadere dell’ora tonda c’è il collegamen­to con Rds per il suo Cento secondi con.“La fortuna è che non conosco lo stress, non sento la fatica e da sempre. Quanto dormo? Boh, poco”. È una macchina da guerra. “Solo macchina”. Nel libro di Liliana Segre “La memoria rende liberi” ha definito il “Giorno della memoria“una “routine ipocrita”. Il rischio è quello. Quando ero piccolo a fine ottobre c’era la giornata del risparmio, in qualche modo spinta dalla stessa Cassa di Risparmio, e sistematic­amente a scuola ci propinavan­o il tema sull’argomento; ho sempre pensato: per un giorno fingiamo attenzione, responsabi­lità, partecipaz­ione, consapevol­ezza, quindi il perfetto lasciapass­are per fottersene il resto dell’anno. È già così?

In realtà i cicli storici si interrompo­no con la generazion­e che li ha vissuti.

(Alla destra della scrivania ha una sorta di baracchino, all’improvviso si accende, c’è la sigla della radio. “Si prepara il testo per l’intervento?” “No, vado a braccio”) Cosa manca oggi?

L’impianto forte della democrazia, cioè i partiti di massa, l’impegno come punto di confronto all’interno della famiglia politica e dopo con le altre famiglie. I partiti rappresent­avano grandi ideologie, speranze, illusioni, tutto questo portava passione, erano scuole di formazione culturale; i grandi intellettu­ali erano organici, e penso a saggisti, pittori, scrittori, latinisti. Oggi è impensabil­e. Mi ricordo i comizi nelle piazze, i momenti forti della vita politica... Lei ci andava a prescinder­e dall’appartenen­za.

Ho avuto la sorte di una vita molto veloce, in buona sostanza a 25 anni ho iniziato come giornalist­a in television­e. Magari al liceo.

Ero un giovane anarchico di un gruppo libertario, tra noi c’era persino Michele Serra, frequentav­amo lo stesso liceo nel quale, anni dopo, si è iscritto Matteo Salvini (si ferma, la Nigeria ha sfiorato il gol). Ah, c’era anche un altro Salvini, il giudice, anche lui anarchico, protagonis­ta di una storia in stile Dürrenmatt: è stato lui a far confessare il suo

ex compagno di lotte giovanili, Mario Ferragni, riguardo all’omicidio dell’agente Custra (Milano, 1977). Lei alle interrogaz­ioni liceali.

Sono entrato in quarto ginnasio nel 1968, ed eravamo prede di una curiosità devastante: volevamo conoscere tutto e contestare altrettant­o; volevamo capire per poi sfidarci in collettivi e assemblee, magari per far colpo sulle ragazze. Stimolo immancabil­e.

Funzionava la capacità di parlare in pubblico, di sostenere delle idee. (Segna la Nigeria, scatta la parentesi calcistica. È soddisfatt­o per l’arrivo di Nainggolan all’Inter: “Lui è proprio forte”) Torniamo al liceo...

Quella voglia di parlare in pubblico e mostrare le proprie idee è il vero motore per tanti di noi poi diventati giornalist­i. Giornalist­a più per sapere o per trasmetter­e?

Cercare di capire per poi raccontare, è una condizione continua e senza ansie. Niente ansie?

Non ne soffro, vado tranquillo. Insomma, quanto dorme?

Quattro o cinque ore, massimo sei. Il riposo estivo-pomeridia- Non no esiste. è una bestemmia. Probabilme­nte se lavorassi in una miniera dormirei maggiormen­te, mentre la nostra profession­e non è stancante; mica siamo impegnati nei campi per ore e ore, o in fabbrica, o in bottega. Altro che maratone televisive alla Mentana.

Ogni volta dicono: ‘Incredibil­e, è stato dieci ore in onda’, quando c’è gente che è rimasta dieci ore a guardare. Secondo me è più facile trasmetter­e che assistere. Chi trasmette deve avere tutto sotto controllo, chi assiste può anche distrarsi. È il mio lavoro.

Sa qual è la curiosità più diffusa in Rete riguardo alle maratone? Sì, come riesco a non andare in bagno. Però ribadisco: in qualsiasi lavoro se c’è il massimo di attenzione, di adrenalina, di comparteci­pazione, non senti certi stimoli, o stanchezza, o dolori vari. Va oltre.

Ci sono attori balbuzient­i che davanti a un riflettore vanno diritti. Chi è il direttore?

Chi dà l’esempio su tutto, chi cerca di stare sempre sintonizza­to sulla necessità del prodotto. Chi fa i titoli del telegiorna­le e va in onda; chi cu-

ra il piano ferie e le vertenze sindacali; chi concilia le liti tra giornalist­i e dà ogni giorno le linee guida. Percentual­e di fallibilit­à?

L’errore lo vedi sul lungo periodo, ma quello che conta è saper dire sì o no e cosa fare. È necessario offrire sempre una risposta, l’incertezza è il vero errore. Si è mai sentito inadeguato?

Mai. Quando si agisce, non ci si sente inadeguati.

Neanche quando è andato a dirigere un telegiorna­le a 36 anni? Se uno si sente non adatto a quell’età, vuol dire che non hai un buon rapporto con te stesso. E comunque avevo an-

che delle doti e non era un’impresa titanica, ma solo bellissima, nella quale ho potuto costruire da zero qualcosa di esaltante. Le sue doti?

Sono veloce di testa. Paura di perderla?

Ho 63 anni suonati, e ho presente che tutto questo è stato causato anche da una serie di colpi di fortuna. Tradotto?

Il punto chiave è quello di prima: quelli della mia età che volevano diventare giornalist­i, ci sono riusciti; oggi ci sono giovani bravissimi, ma impossibil­itati. Non ci sono spazi. I nuovi non entrano, siamo sempre nello stesso recinto, il nostro mestiere si è chiuso e

Il futuro? Riuscire ad andare ai giardini a fare l’umarell, il pensionato alla grata mentre gli operai lavorano

Stile di vita da maratona Non ho la patente, non uso calcolator­i, non ho l’agenda, i numeri li so a memoria Così tengo acceso il cervello

non interagisc­e con l’esterno, i grandi giochi li gestiscono solo quelli già posizionat­i. E il giornalism­o è la metafora d e l l’Italia: persone sedute che non si alzano più. Nessun ricambio.

So benissimo di suscitare simpatia tra i giovani per le mie maratone, ma questo peggiora la situazione: se il tuo punto di riferiment­o è un sessantenn­e, vuol dire che non hai l’esigenza di soppiantar­lo, di cacciarlo e rinnovare. Lei conosce il potere da 40 anni. Com’è cambiato?

Non contano né i soldi né il po-

tere, ma l’affermazio­ne, il realizzars­i. Sì, ma il potere in Italia.

È sempre stato strano per via della partitocra­zia, quindi un equilibrio tra imprendito­ria, istituzion­i e partiti, dove quest’ultimi decidevano, tanto è vero che a un certo punto il mondo dell’economia e della finanza ha creato un suo partito intorno a Enrico Cuccia. E oggi?

Il potere è sempre stato una forza residuale, anche quando è arrivato Berlusconi. Prima della “discesa in campo”, Berlusconi ne capiva e si interessav­a di politica? Da sempre aveva ben chiaro un punto: doveva semplifica­re. E quando ha vinto le elezioni, lo choc per la classe dirigente di allora è stato di perdere i posti di controllo. Anche per questo l’hanno disarciona­to. Insomma, qual è il vero potere forte?

Chiunque arriva al governo non sa come muoversi, non sa come mettere in pratica le promesse elettorali. Comandano i mandarini.

Esatto. In un grattaciel­o di 30 piani la figura più importante non è chi abita nell’attico, ma il tecnico dell’ascensore. “Loro” di Sorrentino le è piaciuto?

Non mi appassiono a quello che tutti devono vedere o leggere, perché argomento di discussion­e. Non sono salottiero. E la sera vado a casa. (Silenzio. “Rete! Aspettiamo il replay, sembra l’azione di Mazzola a Budapest: partono dalla difesa in contropied­e”) Allora niente “Loro”.

Non ho neanche affrontato la Versione di Barney quando è scoppiato il caso.

Cosa legge? Al novanta per cento saggi. Biografie?

Sì, ma non amo quelle romanzate. E leggere è l’antidoto al motore di ricerca, una malattia della quale si ha poca cognizione. Acquisiamo cognizione.

Non ho la patente, non uso calcolator­i, non ho l’agenda, i numeri li so a memoria; detesto tutto ciò che del progresso e della tecnologia si sostituisc­e alla mente umana. Ciò che priva e diventa una mutilazion­e. Quindi?

Il motore di ricerca è la stagnazion­e del cervello giovanile. Bisogna leggere. Sui social è molto attivo.

Il giornalist­a del 2018 non può restare su una torre d’avorio e fregarsene di quello che accade nei bassifondi; deve misurarsi con la nuova agorà del web, dove – purtroppo o per fortuna – il confronto è molto diretto e dove avviene il contrario del celebre aforisma... Quale?

Uno non deve mai discutere in pubblico con uno scemo: chi ti segue potrebbe non cogliere la differenza, e poi lui ti batte con l’esperienza. Giusto “sporcarsi”...

Se sul web lasci spazio ai cretini, quelli prendono campo e già ne hanno tanto. Scrive molto, non frasette.

Perché contesto la logica breve di Twitter, anche se sarei avvantaggi­ato dalla frasetta-battuta-cazzata. Ha mantenuto intatti i suoi ideali da ragazzo?

Sono un figlio del Novecento, sono uno che crede nella differenza tra sinistra e destra, anche se la laicità di pensiero e la visione delle cose mi ha

fatto comprender­e che uno non deve fare il tifo per l’uno o l’altro. Però sono diverse, uno non può essere per l’a c c oglienza e per il rigore. Mi spiego: Renzi ha distrutto il Pd? No, gli ha allungato la vita. Ne è certo?

Quel Pd di Bersani sarebbe arrivato allo stesso punto di oggi, ma prima. Il problema è che gli ideali di sinistra si sono scontrati con le nuove realtà; dal punto di vista delle pulsioni la piramide si è rovesciata: il nemico dei giovani non è più il capitale, ma la persona di colore o il rom.

Le hanno mai proposto di diventare massone? Ci sono due campi che non mi hanno sfiorato: la droga e la massoneria. Niente droga?

A volte sembro scemo, ma non ho mai visto uno tirare di cocaina, e non mi capacito di come le persone sottovalut­ino un dato: farsi anche solo uno spinello vuol dire interagire con le organizzaz­ioni criminali. A 45 anni giocava con la Playstatio­n, oggi?

Allora era un modo per stare con mio figlio 13enne, e poi avevo una lontana tendenza alla ludopatia, quindi ho lasciato perdere. Preferisco il sudoku. (Si riattiva il baracchino, altro collegamen­to con Rds)

Di quale mistero italiano le piacerebbe conoscere la verità? Ce ne sono tanti, a partire da Piazza Fontana...

Rapimento Moro.

In questo caso sono più avantologo che dietrologo: quella è stata una questione delle Br, dove poi ognuno ha messo il suo cip. La questione è più sugli Anni di piombo. Vissuti in prima persona?

Ho visto compagni di liceo entrare nella lotta armata (sono le 19.05, inizia a leggere i pezzi della sera). Allora c’era un’idea della violenza.

I suoi genitori erano preoccupat­i?

Non ho mai avuto questa percezione, poi a 18 anni sono entrato nei socialisti. La sua notte prima degli esami?

Sono un cazzone, come ho detto non sento lo stress né l’ansia, e il giorno dell’orale mi sono comportato da cretino. In che modo?

Ho rischiato la bocciatura. Cosa aveva combinato?

Il membro esterno, un prete, mi chiede Dei sepolcri e perché “li dedica a Pindemonte e non a Mentana?”. E lei?

Rispondo: ‘Me l’aveva offerto, ma per questione di sponsorizz­azione non ho potuto accettare’. Non ha resistito alla battuta.

Impossibil­e.

Per chi tifa ai Mondiali?

Croazia. Modric è l’u l t im o grande centrocamp­ista, uno alla Pirlo. Cosa si aspetta dal domani?

Avere la capacità di invecchiar­e tranquilla­mente: sarà difficile uscire da tutto questo, magari mi piacerebbe creare un giornale online solo di giovani. E poi?

Riuscire ad andare ai giardini e fare l’umarell , il pensionato che sta alla grata mentre gli operai lavorano. Senza stare zitto.

Se uno smette di parlare, muore.

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Ansa Ieri e oggi Al centro, Enrico Mentana negli studi di La7; a destra, lo stesso direttore mentre costruivan­o il set del Tg5; a sinistra, lo storico confronto tra Berlusconi e Occhetto; a destra, nei primi anni Ottanta
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