Due navi cariche di profughi ancora ferme
Lifeline rimane nelle acque di Malta, un mercantile al largo di Pozzallo (Ragusa)
Paga pegno anche il mercantile Alexander Maersk, fermo da più di 24 ore, con 113 migranti a bordo, davanti a Pozzallo (Ragusa). Il ministero dell’Interno fino a ieri sera non aveva autorizzato l’ingresso in porto. Una lunghissima attesa, interrotta solo da un intervento della Guardia costiera italiana che ha portato a bordo un medico per i casi più urgenti. La nave era stata aiutata dalla Lifeline, ancora ferma vicino a Malta, in un salvataggio di migranti due giorni fa nelle acque internazionali davanti alla Libia. Per Lifeline è intanto scattata la solidarietà umanitaria, con due Ong – Sea Watch e Sea Eye – partite con i loro mezzi da Malta per portare aiuto e viveri ai 234 naufraghi a bordo.
Malta prosegue nella chiusura dei porti ai migran- ti e anche il governo italiano rimane fermo nel blocco per le Ong. Ieri, sempre su Twitter, Matteo Salvini ha ripetuto la sua linea: “Certe navi si devono scordare l’It a l ia , stop al business dell’immigrazione clandestina! La musica è cambiata”, sottolineando, tra l’altro che alcune navi delle Ong erano proprio a Malta dove spesso fanno soste e rifornimenti. Il comandante della Lifeline, Klaus Peter, ha replicato su Radio Capital: “Se Salvini vuole arrestarmi può venire personalmente a prendermi. Vorrei invitare il signor Salvini a fare un viaggio con noi. Solo così si potrà rendere conto dello scenario drammatico in mare. Su questa nave nessuno guadagna un soldo. Siamo tutti volontari”.
LA SORTE della nave sembra appesa alla linea anti Ong. Il quadro più ampio dei flussi di migranti nel Mediterraneo – che dal 1993 ad oggi ha visto 34.361 morti in mare – è sempre più complesso. Tra l’Italia e la Libia si gioca l’intera partita tra gli Stati, tra diritto internazionale e strategie per bloccare partenze e arrivi. Salvini oggi o domani sarà a Tripoli. Nei giorni scorsi la Guardia costiera italiana – che dal 2013 coordina i salva- taggi – ha emesso un avviso di navigazione: “Ai sensi della convenzione Solas (Safety of life at sea) i comandanti di nave che si trovano in mare nella zona antistante la Libia, dovranno rivolgersi al Centro di Tripoli e alla Guardia costiera libica per richiedere soccorso”. La questione, al di là dell’esistenza o meno di un centro di coordinamento libico, è lo sbarco, ovvero il place of safety, il luogo sicuro per i naufraghi. Per l’Alto commissariato Onu (Unhcr) per i rifugiati la Libia non può essere considerato tale perché non ha aderito alla Convenzione di Ginevra. “In Libia operano le agenzie Onu ed è un Paese riconosciuto internazionalmente”, replicano dal ministero diretto da Toninelli, che si è espresso a favore di un hotspot a Tripoli. Ma l’agenzia Onu documenta una situazione disastrosa: su più di 50 mila aventi diritto alla protezione internazionale registrati, solo 1.600 sono stati evacuati. Solo i casi estremi liberati dai centri di detenzione e in parte trasferiti in Niger e Romania, zone “di transito”. I Paesi europei occidentali, tra i quali Italia e Francia, ne hanno accolti al momento solo poche centinaia con i corridoi umanitari. E sull’idea di un hotspot in Libia il commissario Ue Avramapoulos è stato netto: “Sono contrario a una Guantanamo bay per migranti, è contrario ai valori europei”.
L’avviso da Roma ”Chiamare Tripoli per i soccorsi davanti alla Libia”, ma per l’Onu non è un porto sicuro