Solo Grillo (isolato) parla del vero tema: il futuro del lavoro
La politica cometalk showpermanente non è una novità, ce l’ha regalata Silvio Berlusconi. Già molti anni fa Giovanni Falcone veniva sbeffeggiato in un talk show Mediaset perché la mafia non l’aveva ancora ammazzato, proprio come oggi in un talk show Rai Giorgia Meloni dubita che sia tra le priorità della camorra far fuori Roberto Saviano, insultato da social- maree urlanti proprio perché è ancora vivo, quindi è un impostore. Tale barbarie non è causa ma effetto dell’incapacità di una comunità nazionale di affrontare i suoi problemi veri. Le provocazioni di Matteo Salvini sono gravi ma non serie. Va invece segnalata, dopo aver ignorato i balbettii con cui il M5S crede di contenere o assecondare il suo alleato, la sempre più appartata riflessione di Beppe Grillo. Ormai fuori dalla battaglia politica quotidiana, continua a proporre dal suo blog pensieri sui prossimi decenni. Le sue suggestioni possono sembrare strampalate. Però la proposta di trasformare l’Ilva in un non meglio definito parco ci parla di Taranto nel 2050. E l’idea di un “reddito universale di base” (“non una soluzione che funziona da sola”, avverte lui stesso) ha poco a che fare con quella specie di “assalto ai forni” che purtroppo molti esponenti pentastellati e loro elettori hanno in mente.
IL COMICO GENOVESE è l’unico esponente politico (di destra, di sinistra, di sopra o di sotto) che affronti il tema su cui dovremmo concentrare i residui neuroni nazionali: la trasformazione del mercato del lavoro, cioè della nostra società. C’è “la paura che l’automazione possa sostituire i lavoratori e portare a una grave disoccupazione, [che] risale ad almeno 200 anni fa, alle rivolte luddiste in Inghilterra”. È vero, il timore per due secoli si è sempre rivelato infondato ma adesso, argomenta Grillo, potrebbe avverarsi. Sul punto gli economisti non vanno mai oltre l'ottimismo di maniera, tipo “il mercato ritroverà i suoi equilibri”. Eppure c’è un inghippo storico e logico. Trent’anni fa, quando i robot hanno cominciato a invadere le fabbriche, gli esperti erano certi che la macchina avrebbe liberato l’uomo dalla schiavitù del lavoro e regalato alle masse (occidentali) un sacco di tempo libero a parità di reddito. Si vaticinavano grassi affari per il business del divertimento e del turismo. È andata così: quando i robot entrano nelle catene di montaggio della Fiat, gli Agnelli entrano nell’azionariato di Alpitour. E quando Sergio Marchionne rivela che gli operai Fiat avranno molto tempo libero, però da disoccupati, gli Agnelli vendono Alpitour.
Di mezzo ci sono la globalizzazione e l’obbligo di competere disperatamente. Paesi come Cina, India e lo stesso Brasile, che l’Occidente sfruttava per garantire il benessere crescente e i suoi equilibri sociali, oggi competono e ci battono. I benefici dei robot vanno tutti al taglio dei costi, e quindi dell’occupazione, e arrivano (solo in parte) ai lavoratori sotto forma di beni di consumo a basso prezzo. La Panda costa sempre meno ma sono meno anche i lavoratori in grado di comprarla. Sulla strada della rovina l’Italia è all’avanguardia, il resto dell’Europa seguirà presto. La globalizzazione ha perfezionato il frictionless capitalism teorizzato da Bill Gates, con il quale però adesso è lecito il sospetto che il mercato autoregolato non funzioni più; e che avesse ragione il premio Nobel Joseph Stiglitz quando ipotizzò che la “mano invisibile” di Adam Smith non esista e risulti perciò invisibile.
Se qualcuno lasciasse perdere le battute su Twitter e i pop-corn e cominciasse a ragionare sui temi che (detto senza offesa per i professionisti) solo Grillo affronta, si potrebbe fare ancora qualcosa per evitare il baratro.