Il Fatto Quotidiano

“Fermiamo la Brexit”, ma Corbyn non si vede

Regno Unito Nella Capitale manifestaz­ione imponente: chiesto un referendum sull’accordo finale dell’uscita dall’Ue

- » SABRINA PROVENZANI

Nel

secondo anniversar­io del referendum che ha deciso l’uscita del Regno Unito dall’UE, Londra si colora, per un giorno, del giallo e del blu della bandiera europea. Sono decine di migliaia - per gli organizzat­ori 100 mila - i manifestan­ti che sfilano dal Pall Mall al Parlamento in un sabato di sole, slogan e speranze. Attivisti anti-Brexit, tanti europei, qualche britannico residente al di la della Manica e tornato per l’occasione.

È una marcia attesa da mesi: a organizzar­la, un gruppo eterogeneo di associazio­ni e gruppi anti Brexit raccolti sotto l’ombrello People’s Vote. Il voto della gente. La gente, per la verità, su Brexit ha già votato a favore, seppure con un margine ristretto. Ma i Remainers di tutti gli schieramen­ti chiedono un nuovo referendum, stavolta sull’a ccordo finale, se mai il governo May e Bruxelles riuscirann­o a emergere da uno stallo che, a nove mesi dalla data ufficiale di uscita, non sembra avere soluzione.

SUL PALCO si avvicendan­o Vince Cable, anziano e carismatic­o segretario dei Lib-Dem; Gina Miller, che per prima, in forma privata, ha sfidato in tribunale il governo sull’articolo 50; Anne Soubry, che sul fronte anti-Brexit è la più coraggiosa e determinat­a parlamenta­re Tory. E i ragazzi di Our Future Our Choice, gruppo di pressione nato a febbraio scorso da una consideraz­ione di buon senso: i giovani sono il gruppo demografic­o che più degli altri ha votato contro Brexit, ma anche quello che ne subirà gli effetti più pesanti. Brexit can be stopped, Brexit può essere fermata, è lo slogan centrale. Da chi? Dalla volontà popolare, che dovrebbe imporsi, con la forza dei numeri e dei fatti, sul governo e su un Parlamento che però, solo la scorsa settimana, ha bocciato un emendament­o che avrebbe garantito ai legislator­i un certo controllo sugli esiti del negoziato. Di fronte a prospettiv­e economiche da incubo per decenni, 65 milioni di britannici non possono affidarsi ad un governo irresoluto e a poche centinaia di parlamenta­ri: devono potersi esprimere direttamen­te su un accordo che determiner­à il loro futuro. Problema: per quello che valgono, i sondaggi non fanno pensare che una nuova consultazi­one invertireb­be la rotta: gli ultimi segnalano un timido trend anti Brexit.

Per cambiare le cose ci vorrebbe l’appoggio del Labour di Jeremy Corbyn, che invece non solo alla marcia non si fa vedere - dov’è Corbyn? gridano i manifestan­ti - ma continua a punire ogni fuga in avanti dei suoi parlamenta­ri anti-Brexit.

Quanto agli scenari economici, venerdì un colosso come Airbus ha anticipato che, in caso di uscita da mercato unico e unione doganale senza alternativ­e potrebbe lasciare il Regno Unito, con le immaginabi­li ricadute sui 14 mila dipendenti e i 100 mila dell’indotto. Non è l’unica so-

Il tradimento Remainers delusi dai Labour: il suo leader punisce i parlamenta­ri che si espongono sulla questione

cietà a minacciare il trasloco.

La risposta dei ministri del governo? Liam Fox, al commercio con l’estero, ha chiarito che Londra non sta bluffando quando sventola lo spettro della rottura dei negoziati. David Davis, del dicastero per Brexit, ha assicurato che il governo sarà pronto in caso di mancato accordo. Quando al solito Boris Johnson, in un editoriale sul S un ha scritto che Theresa May deve garantire una fu ll British Brexit. E, secondo il Telegraph, la scorsa settimana, ad un evento pubblico per il compleanno della Regina, avrebbe liquidato i timori degli industrial­i britannici con un oxfordiano Fuck business. “Che vadano a farsi fottere”.

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Ansa “Possiamo fermarla” Corteo a Londra: per gli organizzat­ori c’erano 100 mila persone
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