Il Fatto Quotidiano

“Il Caravaggio fatto sparire dai mafiosi è ancora in Sicilia”

Misteri di Cosa Nostra Il quadro-mito scomparso nel 1969

- ▶ LO BIANCO

Rubato una notte di pioggia da una batteria di ladri, poi consegnato alla mafia e rivenduto in Svizzera a ricettator­i senza scrupoli che l’hanno frantumato in sei-otto parti, come sostiene la commission­e Antimafia, oppure ancora integro nel suo originario splendore e conservato a casa di un boss palermitan­o, come sostiene uno dei collaborat­ori più informati dei segreti tra Stato e Cosa nostra, Franco Di Carlo?

PER RISOLVEREi­l giallo del Caravaggio rubato dall’a l t ar e maggiore dell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, la notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969, la Procura riparte dall’interrogat­orio di Guido De Santis, uno dei (presunti) ladri che quella notte, secondo il pentito Gaetano Grado, staccarono dalla cornice la tela con un taglierino, la caricarono su un furgone Om per poi, scoperti da Grado, consegnarl­a allo stesso boss, che l’affidò al suo capo mandamento Stefano Bontade e da questi venne infine “girata” all’allora capo dei capi Tano Badalament­i, in contatto con un ricettator­e svizzero venuto in Sicilia per acquistarl­a. E per dividerla “in sei o otto pezzi”, come si usava allora per accarezzar­e l’ego degli acquirenti, tutti così possessori di un pezzo del Caravaggio, e ovviamente realizzare il massimo profitto. Ma questa è solo l’ultima verità raccolta dalla commission­e Antimafia che riscri- ve 25 anni di indagini dei carabinier­i del nucleo tutela patrimonio artistico, più volte arrivati ad un passo dalla tela che il pentito Giovanni Brusca indicò come uno dei prezzi della Trattativa (Natività in cambio di un alleggerim­ento del 41 bis) e Salvatore Cancemi come un “trofeo” esposto da Cosa nostra durante le riunioni della Cupola.

PER ANNI gli investigat­ori dell’Arma seguirono una pista che partiva da un’imbeccata del fratello di un boss della famiglia di Porta Nuova, interrogat­o in un paesino della Calabria, dove faceva il commercian­te: “Il Caravaggio me lo ricordo bene – disse –, ci ho pure passeggiat­o sopra, visto che lo avevano srotolato nella stanza dove era sistemata la mia brandina. Ricordo che era rovinato in uno degli angoli, lo hanno strappato leggerment­e tirandolo fuori dall’ascensore”. Da quella casa nei pressi di corso Tukory, nella zona dell’Uni- versità, il quadro sarebbe stato portato a Ponte Ammiraglio e affidato al boss Pietro Vernengo, per poi finire nelle mani di Rosario Riccobono, a capo della famiglia di Resuttana, dalla parte opposta della città, per poi finire di nuovo alla cosca di Porta Nuova, a Gerlando Alberti, detto ’u paccarè, che l’avrebbe seppellito avvolto in un tappeto dentro una cassa in un terreno di sua proprietà.

A RIVELARE questi ultimi dettagli fu suo nipote, Vincenzo La Piana, che indirizzò i carabinier­i nel luogo del seppellime­nto avvertendo che probabilme­nte non avrebbero trovato nulla: “Difficilme­nte mio zio ha lasciato lì il suo tesoro”. E nulla venne infatti trovato, ma si scoprì che ’u paccarè aveva tentato di vendere il quadro per ben tre volte, come rivelerann­o altri collaborat­ori: la prima a Milano, con il trasporto della tela, la seconda nel ’74, nella zona di Torino, e due carabinier­i infiltrati arrivarono ad un passo dal recupero. E la terza nel ’79, poco prima dell’omicidio di Boris Giuliano, quando a trattare l’affare fu un agente dell’Fbi, già della Cia e della Dea, amico di Giuliano: Tom Tripodi, una carriera spesa tra la Baia dei Porci a Cu- ba nel ’62, la custodia di Joe Valachi, il primo pentito di Cosa nostra in Usa e la caccia a Che Guevara in Bolivia. Tripodi si finse un emissario delle famiglie americane e arrivò anche lui ad un passo dal quadro. Che, per l’allora comandante del Nucleo tutela patrimonio artistico, il generale Roberto Conforti, scomparso lo scorso anno, che coordinò con grande passione e profession­alità quella lunghissim­a indagine, sarebbe ancora integro: “Le tracce partono da Palermo e a Palermo si fermano, o lì tornano. Quel quadro forse non si è mai mosso dalla Sicilia. Probabilme­nte l’opera è nella disponibil­ità di qualche grosso esponente della delinquenz­a or ga niz za ta”, dichiarò nel 2002.

ED È LA STESSA convinzion­e del collaborat­ore di giustizia Franco Di Carlo, che il quadro ha recentemen­te dichiarato di averlo visto nella casa di un boss di Partanna Mondello, nel 1981. “Ero stato contattato per via delle mie conoscenze all’estero e dei miei interessi in Inghilterr­a – ha detto –, mi venne chiesto se avessi potuto adoperarmi per piazzare la tela del Caravaggio presso qualche magnate amante dell’arte o attraverso aste. Ma dopo il 1981, anche a causa della guerra di mafia, non ne seppi più nulla. Secondo me la tela è integra ed è ancora in Sicilia”. E le parole di Grado? “Probabilme­nte – è la convizione di Di Carlo – fa confusione con un’altra vicenda legata ad un’opera d’arte. Una statua che, quella sì, venne portata in Svizzera, a Ginevra, dopo essere stata periziata da un’esperta”.

Alla Procura il compito di risolvere il nuovo giallo.

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Ansa San Lorenzo L’altare maggiore a Palermo con la copia della Natività di Caravaggio
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Super boss Da sinistra, Stefano Bontade (1939-1981), Tano Badalament­i (1923-2004) e Giovanni Brusca, 61 anni

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