Giuseppe Iorio
Giuseppe
Iorio è la gola profonda di Report (Rai3) che nella puntata del novembre 2014 ha aperto la strada all’inchiesta sullo sfruttamento nel mondo della moda italiana: i big, andando a delocalizzare all’estero, hanno provocato la morte di centinaia di laboratori artigianali.
Si sente un pentito?
No, piuttosto un Caronte. Dopo aver lavorato per oltre 30 anni per aziende e multinazionali che trattano le grandi firme del Made in Italy (Moncler, Vuitton, Versace, Ittierre e altri) quando ho capito che qualcosa stava cambiando non ce l’ho fatta a rimanere in silenzio. Ma voglio fare una precisazione.
Quale?
Non sono io che ho acceso il faro sulla pratica dello spiumaggio e sui maltrattamenti sulle oche per la produzione dei piumini Moncler. Io ho solo portato le telecamere in una delle fabbriche del “Re della piuma” d el o c al i z za t e nell’Est Europa dimostrando che anche se non è illegale produrre all’estero, è inaccettabile l’avidità di questi imprenditori che per risparmiare poche decine di euro, su capi d’abbigliamento che vengono vendute a centinaia di euro, stanno affossando un’eccellenza italiana.
Cosa è cambiato dopo la puntata di Report? Niente. Non è stata presa un’iniziativa né politica né commerciale. Stiamo parlando di un settore che continua a nutrirsi di ombre, la manodopera nascosta nei laboratori nell’Europa più profonda, e le mille luci delle vetrine scintillanti dove vengono esposti dei capi che rappresentano il Made in Italy, fiore all’occhiello della nostra economia, mentre tolgono dignità e speranza agli artigiani.
Fumo negli occhi ai clienti.
Una volta passato il messaggio che un abito firmato è un oggetto del desiderio, il “creativo” si garantisce una sorta di impunità: non importa più di cosa sia fatto quel capo e dove sia stato realizzato. Ma questo desiderio di indossare la griffe,