La “cura” Salvini è in grado di rimodellare l’elettore 5Stelle
Sembra opinione diffusa, tra chi non ha votato per il M5S, che chi li ha votati dovrebbe ora pentirsi, scusarsi, cospargersi il capo di cenere. Dai social ai giornali è un profluvio di appelli tra l’indignato e il sadico: come vi siete permessi di non votare Renzi? D’Alema? Il risultato è un governo xenofobo a trazione Lega! A questi sberleffi non pare però corrispondere alcun profluvio di mea culpa da chi il M5S l’ha effettivamente votato, chiusura dei porti o no, censimento dei rom o no. Certo, negli ultimi sondaggi il M5S è calato di circa tre punti, quasi raggiunto– forse scavalcato–dalla Lega. Una (piccola?) parte del voto era effettivamente di protesta, veniva davvero da sinistra, e svanisce ora, prevedibilmente, col Salvimaio. Ma questi non sono mai stati veri elettori del M5S.
COLPISCE, anzi, la portata limitata del calo, a fronte delle posizioni incendiarie di Salvini: per i sondaggi il 79% dell’elettorato 5S è d’accordo con la chiusura dei porti. Ma l’elettorato 5S non era fluido? Non era in attesa di una sinistra vera per tornare all’ovile? Pare di no… Vuol dire allora che il M5S è in realtà sempre stato di dest ra – razzista e autoritario? Queste sono due letture comuni e speculari, predicate però su due errori di fondo. Il primo errore è pensare che il voto individuale sia fatto transitorio, senza influenza alcuna su ciò che l’elettore sarà disposto a credere e affermare in futuro. Il secondo è considerare le preferenze e i convincimenti di ciascuno come dati, immobili. Dalla combinazione di questi assunti nascono analisi per cui o l’elettorato 5S è caratterizzato da valori e convincimenti intrinsecamente di destra, e vota il M5S perché il M5S è fondamentalmente di destra, o è caratterizzato da valori e convincimenti più progressisti, nel qual caso vota M5S per mancanza di un’alternativa credibile e più organicamente allineata ai suoi valori. Entrambe le analisi sono di volta in volta confermate e poi smentite dalle prese di posizione contraddittorie del M5S (reddito di cittadinanza e flat tax; porti chiusi e porti aperti; tolleranza zero per gli indagati altrui ma non per i propri), alle quali il suo elettorato si allinea senza troppa difficoltà. In realtà, il voto non è fenomeno transitorio, ma investimento di medio- lungo periodo. Non solo perché nel movimento, nel candidato si investono le proprie speranze, ma nel senso che vi si investe sé stessi.
Dietro il voto c’è cioè un investimento psicologico, emozionale, sociale e morale, ci sono discussioni con amici e famigliari, al bar e al calcetto, ci sono pronunciamenti e prese in giro, prese di posizione forti e difese strenuamente. Tutto questo è socialmente e psicologicamente costringente. Cambiare idea comporta costi sociali e psicologici considerevoli: comporta la sgradevolissima ammissione, a se stessi e agli altri, di aver sbagliato, di essere stati degli stupidi.
CON QUESTO, non voglio dire che gli elettori del M5S siano degli stupidi. Intendo piuttosto che il consenso per un movimento non è mai davvero fluido: manifestandosi nel voto, si solidifica e si fa elemento costitutivo dell’identità di una parte consistente dell’elettorato, da preservare e difendere. E qui entra in gioco il secondo errore: l’idea che le preferenze e i convincimenti di ciascuno siano fissi, organici. Ogni elettore, ogni individuo, è caratterizzato da una costellazione disparata di preferenze, convinzioni e valori, talora coerenti e talora no. Non tutti hanno la stessa forza, la stessa preminenza nel definirne l’identità, e quando emergono contraddizioni, le idee più deboli sono sacrificate a quelle più forti. È raro per l’elettore trovare una lista perfettamente allineata con l’intera sua co- stellazione di idee e preferenze. I partiti tradizionali di massa, come il Pci, coltivavano questo allineamento con una presenza egemonica ed educativa capillare. I partiti cosiddetti “populisti” sono invece un po’ come la Donna Prassede manzoniana: hanno poche idee ma ci sono affezionati. Aggregano cioè un elettorato eterogeneo e incoerente attorno a un centro simbolico di istanze, preferenze e valori (persino la figura di un leader) ristretto ma comune, ponendo in ombra tutto il resto. Così ha fatto il M5S, riunendo un elettorato eterogeneo intorno al grido “onestà!”, al riconoscimento del tradimento di una classe politica corrotta, alla percezione (innegabile) di un impoverimento capillare dal quale un’élite di sciacalli sta traendo vantaggio.
Tutto questo rende il governo Conte uno snodo chiave per il futuro del Paese, perché la stragrande maggioranza dell’elettorato 5S (e non solo) è investita nel voto che lo ha prodotto: quel voto è oggi alla base de ll’identità politica di una fetta consistente di italiani.
ALTRO CHEcospargersi il capo di cenere; in nome di quella scelta questi italiani sono disposti a sacrificare molto, a scusare molto, a giustificare molto. Sono pronti a cambiare idea su molte cose, a ridisegnare priorità e collocamento su molte delle istanze più periferiche al messaggio del M5S, comprese immigrazione e flat tax. Questo primo governo 5S, cioè, non si limita ad appoggiarsi, nelle sue istanze e nelle sue politiche, a preferenze e priorità esistenti nell’elettorato 5S; ha il potere di modellare quell’elettorato a sua immagine. L’elettorato del M5S non era, di per sé né di destra né di sinistra. La xenofobia non era il suo elemento caratterizzante. Con la cura Salvini, potrebbe diventarlo.
Altro che cospargersi il capo, per questo voto saranno disposti a giustificare molte cose