Il Fatto Quotidiano

La “cura” Salvini è in grado di rimodellar­e l’elettore 5Stelle

- » MIRKO CANEVARO

Sembra opinione diffusa, tra chi non ha votato per il M5S, che chi li ha votati dovrebbe ora pentirsi, scusarsi, cospargers­i il capo di cenere. Dai social ai giornali è un profluvio di appelli tra l’indignato e il sadico: come vi siete permessi di non votare Renzi? D’Alema? Il risultato è un governo xenofobo a trazione Lega! A questi sberleffi non pare però corrispond­ere alcun profluvio di mea culpa da chi il M5S l’ha effettivam­ente votato, chiusura dei porti o no, censimento dei rom o no. Certo, negli ultimi sondaggi il M5S è calato di circa tre punti, quasi raggiunto– forse scavalcato–dalla Lega. Una (piccola?) parte del voto era effettivam­ente di protesta, veniva davvero da sinistra, e svanisce ora, prevedibil­mente, col Salvimaio. Ma questi non sono mai stati veri elettori del M5S.

COLPISCE, anzi, la portata limitata del calo, a fronte delle posizioni incendiari­e di Salvini: per i sondaggi il 79% dell’elettorato 5S è d’accordo con la chiusura dei porti. Ma l’elettorato 5S non era fluido? Non era in attesa di una sinistra vera per tornare all’ovile? Pare di no… Vuol dire allora che il M5S è in realtà sempre stato di dest ra – razzista e autoritari­o? Queste sono due letture comuni e speculari, predicate però su due errori di fondo. Il primo errore è pensare che il voto individual­e sia fatto transitori­o, senza influenza alcuna su ciò che l’elettore sarà disposto a credere e affermare in futuro. Il secondo è considerar­e le preferenze e i convincime­nti di ciascuno come dati, immobili. Dalla combinazio­ne di questi assunti nascono analisi per cui o l’elettorato 5S è caratteriz­zato da valori e convincime­nti intrinseca­mente di destra, e vota il M5S perché il M5S è fondamenta­lmente di destra, o è caratteriz­zato da valori e convincime­nti più progressis­ti, nel qual caso vota M5S per mancanza di un’alternativ­a credibile e più organicame­nte allineata ai suoi valori. Entrambe le analisi sono di volta in volta confermate e poi smentite dalle prese di posizione contraddit­torie del M5S (reddito di cittadinan­za e flat tax; porti chiusi e porti aperti; tolleranza zero per gli indagati altrui ma non per i propri), alle quali il suo elettorato si allinea senza troppa difficoltà. In realtà, il voto non è fenomeno transitori­o, ma investimen­to di medio- lungo periodo. Non solo perché nel movimento, nel candidato si investono le proprie speranze, ma nel senso che vi si investe sé stessi.

Dietro il voto c’è cioè un investimen­to psicologic­o, emozionale, sociale e morale, ci sono discussion­i con amici e famigliari, al bar e al calcetto, ci sono pronunciam­enti e prese in giro, prese di posizione forti e difese strenuamen­te. Tutto questo è socialment­e e psicologic­amente costringen­te. Cambiare idea comporta costi sociali e psicologic­i considerev­oli: comporta la sgradevoli­ssima ammissione, a se stessi e agli altri, di aver sbagliato, di essere stati degli stupidi.

CON QUESTO, non voglio dire che gli elettori del M5S siano degli stupidi. Intendo piuttosto che il consenso per un movimento non è mai davvero fluido: manifestan­dosi nel voto, si solidifica e si fa elemento costitutiv­o dell’identità di una parte consistent­e dell’elettorato, da preservare e difendere. E qui entra in gioco il secondo errore: l’idea che le preferenze e i convincime­nti di ciascuno siano fissi, organici. Ogni elettore, ogni individuo, è caratteriz­zato da una costellazi­one disparata di preferenze, convinzion­i e valori, talora coerenti e talora no. Non tutti hanno la stessa forza, la stessa preminenza nel definirne l’identità, e quando emergono contraddiz­ioni, le idee più deboli sono sacrificat­e a quelle più forti. È raro per l’elettore trovare una lista perfettame­nte allineata con l’intera sua co- stellazion­e di idee e preferenze. I partiti tradiziona­li di massa, come il Pci, coltivavan­o questo allineamen­to con una presenza egemonica ed educativa capillare. I partiti cosiddetti “populisti” sono invece un po’ come la Donna Prassede manzoniana: hanno poche idee ma ci sono affezionat­i. Aggregano cioè un elettorato eterogeneo e incoerente attorno a un centro simbolico di istanze, preferenze e valori (persino la figura di un leader) ristretto ma comune, ponendo in ombra tutto il resto. Così ha fatto il M5S, riunendo un elettorato eterogeneo intorno al grido “onestà!”, al riconoscim­ento del tradimento di una classe politica corrotta, alla percezione (innegabile) di un impoverime­nto capillare dal quale un’élite di sciacalli sta traendo vantaggio.

Tutto questo rende il governo Conte uno snodo chiave per il futuro del Paese, perché la stragrande maggioranz­a dell’elettorato 5S (e non solo) è investita nel voto che lo ha prodotto: quel voto è oggi alla base de ll’identità politica di una fetta consistent­e di italiani.

ALTRO CHEcosparg­ersi il capo di cenere; in nome di quella scelta questi italiani sono disposti a sacrificar­e molto, a scusare molto, a giustifica­re molto. Sono pronti a cambiare idea su molte cose, a ridisegnar­e priorità e collocamen­to su molte delle istanze più periferich­e al messaggio del M5S, comprese immigrazio­ne e flat tax. Questo primo governo 5S, cioè, non si limita ad appoggiars­i, nelle sue istanze e nelle sue politiche, a preferenze e priorità esistenti nell’elettorato 5S; ha il potere di modellare quell’elettorato a sua immagine. L’elettorato del M5S non era, di per sé né di destra né di sinistra. La xenofobia non era il suo elemento caratteriz­zante. Con la cura Salvini, potrebbe diventarlo.

Altro che cospargers­i il capo, per questo voto saranno disposti a giustifica­re molte cose

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