“La lotta alla mafia è diventata la mia questione di identità”
Arianna Zottarel è la vincitrice del festival “Trame” con un libro dedicato al gruppo criminale di Felice Maniero
Che meraviglia vedere le emozioni dei giovani. Anche se qui ero parte in causa. Perché la giovane di cui parlerò è stata mia allieva. E perché l’opera che è stata premiata porta la mia prefazione. Ma ho provato a guardare il piccolo, minuscolo film che vi racconterò come se avessi dovuto auscultare i respiri di una generazione che sogna. Perciò, a sua insaputa, ho passato quasi un pomeriggio a studiare Arianna in trasferta. A Lamezia Terme, la città in cui da anni si svolge “Trame”, il primo festival dell’editoria antimafiosa inventato in Italia, luogo di appuntamento fisso per studiosi e giornalisti, politici e magistrati. Ecco, Arianna Zottarel appartiene all’a no n im at o dell’antimafia, almeno per il pubblico di Lamezia. Eppure è giunta qui da protagonista proprio perché anonima.
PERCHÉ ha partecipato al primo concorso promosso da “Trame” per gli autori di un’opera prima. Premiamo un giovane, hanno pensato i promotori. Poesie, fumetti, racconti o saggi inediti, tutti in gara. Arianna ha vinto con “La mafia del Brenta”. Ha presentato una rielaborazione della sua tesi di laurea sulla celebre “Mala del Brenta” cresciuta in Veneto tra gli anni ottanta e novanta. La guidava un bandito di nome Felice Maniero, capace di spargere il terrore, ma anche di corrompere professionisti e funzionari e agenti pubblici. E perfino di guadagnare consensi popolari a Campolongo Maggiore e dintorni, in provincia di Venezia, il quartiere generale della banda. La chiamavano “m al a ” ma era “mafia” bella e buona, come spiegarono poi i giudici che la condannarono. Solo che in Veneto era politicamente scorretto usare quel termine per un’organizzazione guidata da un veneto, senza sangue siciliano o calabrese, e senza una storia di soggiorni obbligati alle spalle. Per questo Arianna, veneta purosangue (“sono venuta a Milano per amore”), dopo avere letto qualcosa in proposito ha pensato che le cronache d’epoca e le prime ricostruzioni storiche non la soddisfacevano, che i vizi e le debolezze civili della sua terra andavano indagati senza pregiudizi. E ci ha fatto la tesi, poi ci ha lavorato sodo ancora un anno. Atti giudiziari letti di diritto e di rovescio, nuove interviste sul posto, incontri anche con ex banditi, uno dei quali sarebbe poi stato riarrestato. Bisognava vederla nel sole basso di Lamezia, mentre si aggirava tra palchi e vie, prima della presentazione, infilata in programma tra nomi come Caselli e Gratteri, Enzo Ciconte e John Dickie. Era venuta dalla Milano cosmopolita, eppure sembrava che fosse proprio Lamezia il paese delle sue meraviglie. Quasi ogni nome in cartellone le ricordava libri letti o consultati.
Disciplinata nei gesti eppure con il fiato al galoppo, eccola accomodarsi su una poltrona accanto al direttore artistico del festival, Gaetano Savatteri, e all’editore Lillo Garlisi. E poi eccola fotografata nella veste di vincitrice, imbarazzata a sciogliersi nel suo accento veneto.
Prima di parlare ha confidato sottovoce “Sto malissimo, stamattina ho pure pianto, mi calmerò, stia tranquillo, ma sono felice e spaventata insieme, lei lo sa che non mi piace essere al centro delle attenzioni, se potessi mi nasconderei”.Poi però è stata costretta a parlare. E nessun nascondino è stato più possibile. Così ecco la piccola, bella storia, “sono di Treviso ma ho fatto le scuole a Venezia”, e il suo progetto: “Attraverso questa storia ho voluto rivedere tutte le cose che conoscevo della mia terra con occhio diverso”. L’onesta ammissione, “ci sono altre storie scritte bene”, ma anche la rivendicazione della sua novità, “ma mancava una cornice capace di rispondere ai miei perché”. Arianna ha raccontato se stessa e il libro mentre il pubblico la seguiva con simpatia. E ha indicato il problema per lei più grande: “Mi colpisce il conflitto culturale che esiste tra il Veneto e il resto d’Italia nel rileggere questa storia”. Già, la rimozione, la classica brutta bestia (il “drago”) che incontra chiunque si accinga a studiare o combattere il fenomeno mafioso. Il Veneto che si credeva innocente. Ma anche una narrazione nazionale che cede spesso al fascino del ban- dito soprannominato “Faccia d’angelo”. Ha spiegato che per lei la lotta alla mafia è diventata una questione di identità. Di amore per il proprio paese e di speranza di vedere sconfitti un giorno i poteri illegali. Applauso. Gli occhi di Arianna luccicavano. Non ci sono solo i premi televisivi, o i vernissage di moda, a fare emozionare i giovani. Ci riesce anche un piccolo premio editoriale sulla mafia. Per fortuna.
VENETA DOC È venuta dalla Milano cosmopolita, eppure sembrava che fosse proprio Lamezia il paese delle sue meraviglie