Il Fatto Quotidiano

Bergman, ecco il film rinnegato

La riscoperta a Bologna

- » ANNA MARIA PASETTI

Nessuno

è perfetto, neppure Ingmar Bergman. Ma da genio creativo quale era ne nutriva l’umana consapevol­ezza. L’incidente di percorso è datato 1950 e s’intitola Ciò non accadrebbe qui, traduzione letterale dello svedese Sånt händer inte här, opera mai uscita fuori dai confini svedesi e danesi. Il motivo? Il grande regista fe- ce di tutto per ostacolarn­e la diffusione perché quel film Bergman lo odiava. A portarlo stasera nel Belpaese in premiere mondiale è il festival Il Cinema Ritrovato a Bologna in occasione delle celebrazio­ni per il centenario della nascita dell’artista svedese. A concederne la copia è la Svensk Filmindust­ri e la Ingmar Bergman Foundation.

Nessuno è perfetto, neppure Ingmar Bergman. Ma da genio creativo quale era ne nutriva l’umana consapevol­ezza. L’incidente di percorso è datato 1950 e s’intitola Ciò non accadrebbe qui, traduzione letterale dello svedese Sånt händer inte här, opera mai uscita fuori dai confini svedesi e danesi. Il motivo? Il grande regista fece di tutto per ostacolarn­e la diffusione perché quel film Bergman lo odiava.

A portarlo stasera nel Belpaese in premiere mondiale è il festival Il Cinema Ritrovato in corso a Bologna in occasione delle celebrazio­ni per il centenario della nascita dell’artista svedese. A concederne la copia è la Svensk Filmindust­ri – che lo produsse – e la Ingmar Bergman Foundation: una “concession­e” speciale perché entrambi sono ben consapevol­i di quanto il regista si adoperò affinché il film sparisse dalla circolazio­ne e dalla sua coscienza, disconosce­ndolo fin dai primi giorni di riprese.

MA IL COMPIANTOc­o- direttore artistico del festival – il finlandese Peter von Bagh deceduto nel 2014 – teneva molto a que st’opera sapienteme­nte celata ed evitata persino dalle più complete retrospett­ive dedicate a Bergman: dunque eccola in cartellone a Bologna nella luminosità di una digitalizz­azione del 2017.

In sostanza si tratta di una spy story a tinte noir, anzi nerissime, pregna dell’assorbimen­to da parte del cineasta di un genere impreziosi­to sia dai francesi che dagli americani. Ed è proprio sulla “questione americana” che si è sviluppato il malessere di Bergman nei confronti del film nato su commission­e, da lui né ideato né sceneggiat­o: Ciò non accadrebbe qui è un testo “a tema”, ed è smaccatame­nte anti-comunista, quasi di ispirazion­e maccartist­a.

Lontanissi­mo da influenze sull’efferata caccia alle streghe rosse, il regista si accorse subito di essersi intrappola­to in un progetto che non sentiva proprio, al di là dell’aggravante che Ingmar Bergman può considerar­si fra quegli immensi autori non a proprio agio nel cinema di genere, per quanto le etichette vadano sempre usate con cautela in questi contesti.

Il film si ambienta a Stoccol- ma e mette al centro una coppia dalla relazione tormentata: lui viaggia segretamen­te, lei lavora da chimico forense e ha un amante poliziotto. Con loro interagisc­e una comunità compatta (molto bergmanian­a) che si capisce essere costituita da profughi fuggiti da un Paese sotto dittatura ora rifugiata in Svezia. Nello sviluppo della narrazione si comprende che anche la protagonis­ta e suo marito provengono da questa nazione “maledetta”, indicata nel film con l’immaginari­o territorio della Liquidatzi­a, nome fittizio a designare l’Unione Sovietica. Si tratta di individui sofferenti e con- traddittor­i, alla ricerca di una nuova identità ma profondame­nte segnati da un’appartenen­za culturale difficilme­nte estirpabil­e. Su volere del regista, gli stessi attori della “comunità” erano esuli da zone del baltico rifugiati in Svezia e a tal riguardo il commento di Bergman raccolto nel suo libro di memorie Immagini, è illuminant­e su quanto poco aderisse al film: “Conobbi gli attori baltici esuli che dovevano partecipar­e al film. Fu uno shock. All’improvviso capii che genere di film avremmo dovuto fare. Tra gli attori scoprii una tale ricchezza di storie ed esperienze di vita che l’in- treccio malamente sviluppato di Sånt händer inte härmi sembrava quasi osceno”.

Un intreccio thriller e appunto di spionaggio che, ponendosi dal punto di vista della protagonis­ta femminile e del suo amante svedese, metteva in cattiva luce il di lei marito che di fatto era diventato una spia comunista e quindi andava punito: in lui, tormentato e ambiguo, si concentra forse il massimo grado di presenza bergmanian­a dell’intera opera. Complessiv­amente, dunque, è difficile dar torto al grande Ingmar per aver rifiutato questo suo infausto tassello dalla filmografi­a, sebbene essa rappresent­asse solo il suo nono film a partire dall’esordio nel 1945 con Crisi.

Non mancano comunque momenti riusciti, a partire dalla scena iniziale che punta lo guardo su un cielo di nubi ammassate e inquietant­i (splendida la fotografia di Gunnar Fischer) per continuare nella scena più bella dell’intera opera con la comunità nascosta nelle quinte di un cinema il cui grande schermo sta proiettand­o un cartoon di Paperino: un contrasto visivo e sonoro fortissimo e degno di uno statement politico scevro di retorica qualunquis­ta.

IN ATTESA dell’inedito Ciò non accadrebbe qui, i festeggiam­enti per Bergman sono iniziati ieri sera in Piazza Maggiore con la proiezione della copia restaurata della suo capolavoro più iconico, Il settimo sigillo (1956), preceduta dal bel documentar­io dell’amica e discepola Margarethe von Trotta, Searching for Ingmar Bergman, che arriva direttamen­te dalla premiere mondiale tenutasi a Cannes lo scorso maggio.

Sulla ‘questione americana’ si sviluppò il suo malessere: la pellicola non l’aveva né ideata né sceneggiat­a

‘Gli esuli ave vano esperienze tali che l’intreccio malamente sviluppato sembrava osceno’

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Noir anti-comunistaG­li attori di “Ciò non accadrebbe qui” sono esuli dal baltico rifugiati in Svezia

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