Il Fatto Quotidiano

Il Pd sprofonda in Emilia e Toscana Intanto Renzi fa un programma tv

Ipotesi scissione nei dem

- DE CAROLIS, MARRA, RODANO E VECCHI DA PAG. 2 A PAG. 6

■Do■o la caduta di Siena, Massa, Pisa e Imola, andate a destra, il Partito democratic­o si prepara al congresso mentre gli ultimi renziani valutano di andare da soli. Zingaretti punta alla segreteria

“Basta, non ne posso più di parlare dell’Assemblea e del congresso del Pd. Non è a questo che dobbiamo pensare: dobbiamo tornare sul territorio. Le sconfitte a Massa, a Pisa, a Siena, erano annunciate: abbiamo perso lì anche il 4 marzo. Ma dobbiamo ricomincia­re. Magari con un manifesto, cambiando nome, cambiando simbolo”. Lo sfogo arriva, a sera, il giorno dopo l’ennesima sconfitta epocale dei Dem, da uno dei parlamenta­ri più vicini a Matteo Renzi. E, pur confermand­o la confusione che regna sovrana, illumina almeno un paio di punti. Uno: l’ex segretario sta cercando il modo per gestire questa fase di transizion­e dal Pd a qualcos’altro. Due: il cambiament­o di nome e simbolo è nella sua agenda.

Tanto è vero che la parola “scioglimen­to” entra nel dibattito. Qualcosa di più sulle intenzioni di Renzi si saprà forse oggi, al ritorno da Londra, uno dei suoi frequenti viaggi all’estero. Intanto, nel partito si litiga. Maurizio Martina vuole “cambiare le persone e le idee”, ma non “prescinder­e dal Pd”. Carlo Calenda rilancia il “fronte repubblica­no” sostenendo il bisogno di andare “subito” oltre il Pd. Andrea Marcucci apre la batteria per conto dell’ex segretario: “Il Pd ha perso anche senza Renzi”. Il senatore di Scandicci non si è fatto vedere in campagna elettorale. EPPUREal Nazareno, fino a domenica sera, si stava lavorando a un piano che avrebbe dovuto tenere dentro più o meno tutte le correnti. Con l’unico obiettivo di congelare tutto, e di permettere a Renzi di fare il segretario ombra e agli altri di riposizion­arsi. L’idea era questa: convocare un’assemblea il 7 luglio, eleggere Martina e rimandare il congresso a dopo le Europee, alla fine del 2019. Affiancand­o, però, il segretario, con un vice vicino a Renzi. Ovvero Luca Lotti.

I fedelissim­i dell’ex segretario vedevano all’orizzonte persino una ricandidat­ura dello stesso Renzi. Uno scenario evocato da un tweet finto: “I risultati dei ballottagg­i confermano il trend negativo del Pd del primo turno. Ringrazio @maumartina, ma è evidente che dal 4 marzo questo partito ha bisogno di una leadership che, allo stato attuale, sento il dovere di riprendere tra le ma- ni”. Smentita ufficiale di Marco Agnoletti (ufficio stampa Pd): “Quello che vedete è chiarament­e un fotomontag­gio”.

Il giorno dopo l’ennesima sconfitta alle amministra­tive, però, i piani cominciano ad essere rimessi in discussion­e. Prima di tutto c’è un post di Nicola Zingaretti, candidato in pectore ormai da mesi: “Un ciclo storico si è chiuso”, scrive, rivendican­do il buon risultato nel Lazio. La coalizione allargata - dai centristi civici a LeU, con il Pd a far da pivot - che alle Regionali ha portato alla isolata vittoria di Nicola Zingaretti, ha vinto nel III e nell’VIII municipio, a Velletri, Fiumicino e Santa Marinella. E così il governator­e del Lazio punta a mettere sul tavolo del Congresso questo modello.

Oggi incontrerà 200 sindaci di quella che lui chiama l’Alleanza del Fare, una sorta di cartello di amministra­tori dai quali ripartire. Zingaretti non chiede ufficialme­nte il congresso, ma è convinto che non si possa aspettare troppo. A volerlo, però, sono Andrea Orlando e soprattutt­o Dario Franceschi­ni.

LA POSIZIONE di Zingaretti non è la stessa neanche di quelli che fino ad ora si sono spinti per un centrosini­stra ampio. Il fronte repubblica­no di Calenda vuole mettere dentro tutti, anche al centro. E l’ex ministro tira fuori una nuova idea: una “segreteria costituent­e” composta da lui, Marco Minniti e Paolo Gentiloni. Con quest’ultimo alla guida. Va registrato il fatto però che le ambizioni di Gentiloni - sempre relative - con questo risultato sono tramontate.

A fare campagna elettorale nelle città toscane ci sono andati lui e Walter Veltroni. Renzi, toscano, no. Anche per potergli addossare la débacle. Eppure, per dirne solo una, il segretario regionale del Pd è un renziano, Dario Parrini.

MARTINA a un certo punto della giornata dice: “L’Assemblea che terremo a luglio dovrà definire bene il percorso e le tappe più utili per i prossimi mesi, pensando anche alle Europee del 2019”. Evidenteme­nte, il piano resta quello iniziale per lui.

Renzi, invece, ci sta ripensando. Dice Davide Faraone: “Se Martina pensa di riprendere tutto quel che è stato, magari anche il nome Ulivo e rifare la coalizione di centrosini­stra, sbaglia”. L’idea non è quella della “grande coalizione”, ma di un “piccolo” partito moderato, anti- sovranista. Tutto sta a vedere se esiste uno spazio elettorale per il partito di Renzi. Stando ai primi sondaggi, poco.

Chi si muove Zingaretti parla dei buoni risultati nel Lazio e vuol correre. Calenda si nomina in segreteria

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Ansa Rimasto solo Maurizio Martina pensava di essere eletto segretario per un anno, ma non succederà
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