È saltato il tappo
Il ministro vedrà la figlia del giudice, proposta una pratica al Consiglio superiore
In due mesi e mezzo, due sentenze di Corte d’Assise - Palermo sulla Trattativa e Caltanissetta nel Borsellino-quater - hanno clamorosamente riaperto un capitolo che qualcuno temeva e qualcun altro sperava definitivamente chiuso: quello dei mandanti esterni delle stragi del 1992 che costarono la vita fra Capaci e via D’Amelio a Falcone, a Borsellino e ai loro angeli custodi. Forse è un caso che queste due sentenze (la prima è solo il dispositivo, la seconda sono le motivazioni di un verdetto del 2017) giungano proprio all’indomani delle elezioni che hanno scacciato dall’area di governo i partiti-cardine della Seconda Repubblica, nata sul sangue delle stragi: FI e Pd. Ma non c’è dubbio che il governo giallo-verde, in gran parte estraneo all’establishment che avviò la prima trattativa con la mafia nel 1992 e si riciclò al seguito di B. fino a chiuderla nel 1994, abbia fatto saltare il grande tappo che per 25 anni ha coperto tante verità indicibili. Quando avremo anche le motivazioni sulla Trattativa, potremo leggere insieme i due verdetti (di primo grado) per unire i puntini rimasti finora isolati e intravedere il disegno complessivo di quella stagione terribile. Ma molte cose sono già chiare oggi, anzi lo erano anche prima del timbro di autenticità delle due Corti.
Il 30 gennaio 1992 la Cassazione (collegio non presieduto, per la prima volta, dal giudice Carnevale detto “l’Ammazzasentenze”) conferma le condanne del maxiprocesso a Cosa Nostra istruito da Falcone e Borsellino. E scatta la campagna terroristica pianificata mesi prima dalla Cupola corleonese e dai suoi consulenti istituzionali, con due obiettivi: punire i politici che non hanno mantenuto le promesse e rimpiazzarli con una classe dirigente più affidabile per Cosa Nostra. Viene ucciso Salvo Lima, proconsole mafioso di Andreotti in Sicilia e primo di una lista di “traditori” veri o presunti da eliminare. Gli altri sono i dc Andreotti, Mannino e Ignazio Salvo e i socialisti Martelli e Andò. Che però, dopo pedinamenti e appostamenti, verranno risparmiati (Salvo a parte) proprio grazie alla trattativa, che li renderà più utili da vivi. Andreotti viene colpito politicamente con l’assassinio di Falcone (dirigente del suo governo) proprio mentre sta per essere eletto presidente della Repubblica ( al suo posto, passa Scalfaro). All’indomani di Capaci, il Ros di Subranni e Mori chiede a Ciancimino di fare da tramite con Riina per una trattativa basata su un do ut des: fine delle stragi in cambio della linea morbida dello Stato. Ma Borsellino si mette di traverso. Indaga in segreto sui retroscena della strage.
“Ho
chiesto un incontro al ministro Bonafede e mi è stato risposto che non erano previste trasferte a Palermo. Quindi dovevo andare io al ministero, ma non posso muovermi dalla Sicilia e visto anche la richiesta di un incontro telefonico mi è sembrato poco elegante richiedermi di andare a Roma”, si era lamentata Fiammetta Borsellino nel primo pomeriggio. A stretto giro è arrivata una “lunga telefonata’’ del ministro che ha parlato di “un grosso equivoco”. La sua richiesta a Fiammetta, spiegano in via Arenula, era in realtà una dimostrazione di “vicinanza” a lei come a tutti i familiari delle vittime, un modo per dimostrare che il ministero della Giustizia “spalancava le porte”.
IL BOTTA e risposta tra il Guardasigilli e la figlia del giudice ucciso in via D’Amelio mette fine, almeno per ora, a una polemica in embrione sullo sfondo delle richieste della Borsellino, che da un anno chiede che
vengano accertate le responsabilità di chi, poliziotti e magistrati, depistò le indagini sull’attentato del 19 luglio di 26 anni fa. Lo ha ribadito ieri a Bonafede, titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati, che però prima di assumere una decisione, ci risulta, attende di conoscere le valutazioni del procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, titolare anch’egli dell’azione disciplinare, e del Csm.
A Palazzo dei Marescialli ieri si è riunita la Prima commissione che ha acquisito le motivazioni del Borsellino quater. Era presente, pur non facendo parte della commissione, anche il consigliere Piergiorgio Morosini, gip a Palermo del processo sulla trattativa Stato mafia, che ha proposto l’apertura di un’istruttoria per sentire “chi ha promosso il processo di revisione a Caltanissetta” che ha portato alla luce il depistaggio attraverso il falso pentito Scarantino. E cioè l’ex procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato. I componenti della commissione, che in questo caso potrebbero procedere solo per incompatibilità funzionale nei confronti di toghe che esercitano ancora le funzioni di pm, decideranno dopo la lettura della sentenza.
SUL FRONTE delle indagini, intanto, il funzionario di polizia Gioacchino Genchi, che nell’estate del ’92 lavorò nel gruppo Falcone-Borsellino a fianco di Arnaldo La Barbera, intervistato dal Tg3 rivela: “Venni sospeso dalla polizia,
nel 2009, cinque giorni dopo avere deposto in gran segreto a Caltanissetta’’ sul valore delle dichiarazioni di Mutolo. A Borsellino, Mutolo aveva parlato di “magistrati e investigatori di Palermo’ ’, dice oggi Genchi, ed il giudice poi ucciso in via D’Amelio era “impegna-
to nella ricerca dei riscontri’’. Non ebbe il tempo, perché un’autobomba lo spazzò via insieme a cinque agenti della scorta. Le parole del funzionario che Berlusconi definì “il più grande scandalo della Repubblica’’, sostenendo che nel suo archivio segreto avesse
350 mila intercettazioni pur non avendo mai intercettato nessuno, rilanciano l’ipotesi di una “talpa’’ alla Procura di Caltanissetta allora impegnata nelle nuove indagini sulla strage dopo che Spatuzza aveva smentito Scarantino.