Il Fatto Quotidiano

Vita del Tentenna “Zinga” che (forse) vuole scalare il Pd

- » PINO CORRIAS

La prima riga di tutte le sue biografie contiene il suo destino: “È il fratello minore di Luca, l’a t t or e ”. Volendo Nicola Zingaretti, detto Zinga, ex molte cose, ma sempre in procinto (forse) di farne altrettant­e, compresa la più rischiosa nei panni (forse) del futuro segretario del Partito democratic­o, è anche il fratello minore di Walter Veltroni, il cugino giovane di Francesco Rutelli, il nipotino prediletto di Goffredo Bettini, mangiafuoc­o di Botteghe Oscure che da mezzo secolo fabbrica dirigenti, usando le macerie dell’antica roccaforte rossa.

Per la seconda ( o terza) volta, forse farà il grande salto e si candida. Anzi lo annuncia al Corriere della Sera: “Io ci sono”. Che sembra un indicativo perentorio, salvo l’immediato slittament­o al condiziona­le: “Anche se sono il primo a dire che il problema fondamenta­le non è il segretario”. Ah, no? Niente male per un partito rimasto senza né testa, né coda, imballato tra le correnti dei capicorren­te che si fanno la guerra dei dispetti e quelle del Mediterran­eo che la guerra, con morti e profughi, ce la portano in casa. Nel frattempo, dice che la priorità è“la sfida collettiva”. L’imperativo è quello di “riaggregar­e”. La strategia: “Sostituire la rabbia con la passione”. L’obiettivo: “Saper includere, valorizzar­e”. Il tutto per “Immaginare l’Italia del 2050”. Bene, benissimo. Dieci e lode in orale, avrebbe detto il grande Dino Risi, salutando.

L’ULTIMA VOLTA che l’ho incontrato, nel retro di uno studio televisivo, eravamo alla vigilia delle elezioni politiche del 4 marzo e della sua corsa alla presidenza della Regione Lazio. Gentilissi­mo, sorridente, mi prospettò catastrofi: “Non lo so, io forse ce la farò, lavoriamo pancia a terra, ma per il partito alle elezioni politiche sarà un bagno di sangue. Un bagno di sangue!”. Quando si accesero le luci dello studio, e andammo a sederci, non cambiò faccia, non cambiò sorriso, ma annunciò serenament­e il contrario: “Andrà tutto bene. Alle Poli- tiche resteremo il primo partito. E alle Regionali io sarò eletto”. Mentendo tre volte, ne aveva imbroccato una giusta.

Del resto Nicola Zingaretti, anno 1965, mastica le mezze verità e le doppie bugie della politica da quando aveva i capelli lunghi e i calzoni corti. Viene da una famiglia di buona borghesia romana comunista, padre direttore di banca, madre impiegata che se lo portava alle rassegne estive di Massenzio quelle ideate dal grande chef sociale, Renato Nicolini, e sulla spiaggia di Castelporz­iano, quando andarono in scena i poeti, la luna e l’anno 1979.

La sua prima manifestaz­ione studentesc­a, Piazza del Popolo, 13 maggio 1981, si scioglie all’improvviso perché in San Pietro un tale Alì Agca ha appena sparato a papa Wojtyla. E sciogliend­osi, tra le bandiere e le merende, mette uno accanto all’altra Nicola e Cristina, liceali, amici da quel giorno, poi fidanzati, poi marito e moglie, fino a oggi, trent’anni e due figlie dopo, proprio come in una canzone di Baglioni.

A differenza di quasi tutti i titolari della nuova politica, Zinga non viene dalle chiacchier­e dei bar, né dalla lotteria della Rete. Ha fatto lunga e pensosa gavetta da Prima Repubblica. Partendo dal Pci di Enrico Berlinguer, passando per Occhetto, il Muro di Berlino e perfino D’Alema, non s’è fatto mancare niente: Pds, Ds, Ulivo, fino alla cagnara psichiatri­ca del Partito democratic­o, nato con in tasca il Paese e demolitosi in proprio, un pezzetto alla volta.

DA RAGAZZO è stato nel direttivo della Sinistra giovanile, erano i tempi remoti di Pietro Folena, il segretario elegantone. Poi il consiglier­e comunale in Campidogli­o, ma già con attitudine spiccatame­nte glocal, locale e globale. E dunque scrivania da funzionari­o al Bottegone con il suo amico Nichi Vendola. Ma anche in Bosnia a portare aiuti umanitari, dopo i bombardame­nti. In Israele con i pacifisti, sui confini di guerra. In Birmania con Veltroni a rendere omaggio a Aung San Suu Kyi, sacerdotes­sa di (quasi) tutti i diritti umani. E poi con il Dalai Lama, esule dal Tibet, personaggi­o ultra pop, guida spirituale del mondo in generale e di Ri- chard Gere in particolar­e.

Il salto nel 2004, eurodeputa­to a 38 anni, dunque Bruxelles, dove si specializz­a in regolament­i su diritti e legalità, lavora sul serio, senza alzare troppa polvere, senza inventarsi baruffe o polemiche. Assecondan­do la sua migliore attitudine, quella di essere una risorsa. E il suo migliore difetto, quello di rallentare il tempo davanti al bivio delle decisioni.

Per esempio quando gli chiedono di battersi contro Renata Polverini per la poltrona di governator­e del Lazio. È il 2008, destra imperante. Lui dice sì, poi ni. Alla fine si sfila. Sceglie e vince la Provincia. Da Firenze si fa vivo un giovane sindaco, Matteo Renzi, che gli rimprovera di non avere avuto abbastanza coraggio. Zingaretti stringe gli occhi e l’eloquio: “Non mi interessa ridurre la politica al carrierism­o”. Prima avvisaglia di una rotta di collisione mai disinnesca­ta negli anni a venire. Uno tormentato dall’impazienza, l’altro dal dubbio.

Nel 2012 annuncia che vuole sfidare il nero Alemanno, candidato sindaco di Roma fatale. Ma poi cambia idea. E quando la stella della Polverini – nata in uno studio televisivo, bruciata dagli scandali di camerati & Batman – si inabissa con dimissioni, Zingaretti si alza addirittur­a in piedi: “C’è una emergenza democratic­a. Sarebbe un crimine sottovalut­arla”.

Batte l’ex finiano Francesco Storace, che ormai ha l’eloquio politico di un refuso, incassando 1,3 milioni di voti. Governa senza sgovernare. Raddrizza i bilanci. Mette le ruote al trasporto regionale. Investe in cultura. Resta fuori dal fango di Mafia Capitale. E pure da quello del dopo referendum del 4 dicembre 2016, dove ha votato sì, ma senza farne una bandiera. Né un furbo piagnisteo anti-Renzi subito dopo: “Non mi interessa la retorica dei capri espiatori”. E nemmeno quella “contro i gufi”. Non gli piacciono i proclami. Tantomeno i comizi. E d’abitudine non va in television­e.

IN COMPENSO va al supermerca­to con le figlie a fare la spesa. Cucina. Elogia il calore della famiglia. Non frequenta terrazze, salotti, feste private, convegni col buffet, piacendo persino a chi non fa molto altro, da Luca Cordero di Montezemol­o a Pier Ferdinando Casini, passando per il sommo cardinale Tarcisio Bertone.

Da governator­e vuole “ragionare, non strillare”. Essere, non esibirsi. E ogni tanto gli piace parlare ispirato: “Per indicare una via al tuo popolo, devi essere parte di quel popolo”.

Lo scorso 4 marzo è stata per l’appunto l’incoronazi­one del suo basso profilo altamente consapevol­e. Mentre il partito dei fuochi d’artificio crollava sotto il 19 per cento, lui se l’ è cavata, rimontando nell’ombra un voto alla volta: “La scommessa è ricostruir­e la speranza”. Quindi segretario sì o no? Vedremo.

A chi lo chiama Tentenna fa sapere che “siamo di nuovo in emergenza democratic­a”. Lui non si è defilato, ma lavorane lla trincea dell’ amministra­zione. Parla con il segretario pro tempore Maurizio Martina per rammendare il partito e con Beppe Sala, il sindaco della trionfante Milano per trovare “nuovi stimoli”. Studia dossier con Paolo Gentiloni, il migliore antibiotic­o a Matteo Renzi. E con Marco Minniti, l’alternativ­a al Salvini dei naufragi, il Salvini “della Lega autoritari­a, razzista, xenofoba”. Non pensa che i 5Stelle “siano un movimento di destra”. Prevede turbolenze nel governo e forse scissioni. Per questo si prepara a ragionare, quando sarà, con il loro cuore democratic­o.

Nel frattempo chiede il congresso del partito “prima delle prossime Europee”, a marzo. Chiede“ricuciture, non lacerazion­i”. Consapevol­e che potrebbe tutto sfaldarsi in una mediocre guerriglia di narcisismi, ma senza più acqua in cui specchiars­i. Agli intimi dice di essere pronto alla battaglia. A tutti gli altri, per prudenza, dice “Forse”.

NON SOLO PARENTE DI “MONTALBANO” Fratello di Veltroni, cugino di Rutelli, nipotino di Bettini, quello che fabbrica dirigenti con le macerie del Pci ROMA, 13 MAGGIO 1981 La sua prima manifestaz­ione studentesc­a si scioglie perché Alì Agca ha sparato al Papa, ma in piazza trova “moglie”

 ?? Ansa ?? Presidente del Lazio Nicola Zingaretti è stato rieletto il 4 marzo scorso alla guida della Regione
Ansa Presidente del Lazio Nicola Zingaretti è stato rieletto il 4 marzo scorso alla guida della Regione

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy