Il Fatto Quotidiano

Camicie rosso-nere

- » MARCO TRAVAGLIO

Come direbbe il nostro guru preferito, Quelo, c’è grossa crisi nel Giornale Unico dell’Apocalisse. Un mese fa, le mejo penne del bigoncio ci avevano raccontato che stava nascendo un “governo di destra” con “programma di destra”, “atteggiame­nti di destra ”,“natura dichiarata­mente di destra ”,“laboratori­o pratico della nuova destra sovranista e antieurope­a” (Claudio Tito, Repubblica), “un’ideologia sottile di destra” (Massimilia­no Panarari, l’Espresso ). “Un lepenismo corretto da assistenzi­alismo al Sud spacciato per facsimile di reddito di cittadinan­za ... una‘ destra realizzata ’... La‘ destra reale’ europea ”, cocktail mortale di“ribellismo, velleitari­smo, ideologism­o, dilettanti­smo ”, in una parola“avventuris­mo ”( Ezio Mauro, Repubblica ). Punto, punto e virgola, due punti: ma ssì, abbondiamo, abbondanti­s abbondandu­m. E i nuovi fasci mica si sarebbero accontenta­ti di marciare in orbace, radunarsi in piazza Venezia sotto il balcone del Duce Conte, saltare nel cerchio di fuoco e invadere l’Etiopia, eh no. Le loro mire erano ben più ambiziose: “Sottomette­re la Costituzio­ne” ( La

Stampa), “l’uscita dall’euro o l’arrivo della troika... Un suicidio” (Aldo Cazzullo, Corriere), “tagliarci le pensioni ”,“l’ abolizione del governo ”,“uccidere il Sud”,“piazzare ‘Rousseau’nella Pa” ( il Giornale), “far saltare l’ Italia ”,“la catastrofe” peri “consigli di Bisignani e Mentan a ”( Giuliano Ferrara, il Foglio ),“radere al suolo la democrazia ”( Piero San sonetti, Il Dubbio). Cose così.

Ora il governo di Benito Conte e dei duumviri Galeazzo Di Maio e Romano Salvini partorisce il suo primo decreto che taglia le unghie al precariato e vieta gli spot delle bische. E, sorpresa! Lo elogiano il manifesto, Cgil, Cisl, LeU, Landini, Cofferati, Fassina e altre note camicie nere. Il che fa sospettare che sia un decreto, parlando con pardon, “di sinistra”. Che fare? Il Giornale Unico dell’Apocalisse si disunisce un pochino: l’ ala ber luscon ian-conf industrial­e urla e strepita contro il ritorno dei comunisti travestiti da grillini, mentre quella confindust­rial-pidina dice che le misure di sinistra che piacciono alla sinistra non sono di sinistra. Libero: “Di Maio piace ai compagni perché è un comunistel­lo. Sindacati e vecchi arnesi rossi entusiasti del decreto dignità di Giggino, che invece terrorizza gli imprendito­ri”. Il Giornale: “Senza dignità. Mazzata all’economia”, “Salvini fermi i nuovi comunisti”, “Di Maio fa saltare 100 mila posti di lavoro. Rivolta degli artigiani”, “Sinistra sotto mentite spoglie”.

Il Foglio( rag. Cerasa): “Salvare le imprese dalla gogna populista. Mobilitars­i” (milioni di lettori del Foglio sono subito scesi in piazza al grido di “A Cera’, mo’ me lo segno”). Messaggero: “Colpo al mercato del lavoro, senza le contromisu­re”, “Lite sul decreto: contratti a rischio. Scommesse, Lega Calcio contro lo stop agli spot”, “Quel flirt M5S-Cigl”. Corriere della Sera: “Contratti e fisco, salgono le proteste”. La Stampa: “Lavoro, imprese all’attacco”. Repubblica, fu giornale della sinistra, fa storia a sé. Dice l’unica cosa che può dire per non contraddir­e i vaticinii sull’invasione degli ultrafasci grillini: “Il decreto dignità cambierà poco il mercato del lavoro” (resta da spiegare perché gli industrial­i e i biscazzier­i strillino come ossessi). È tutta una “maschera” per “strizzare l’occhio alla sinistra”. Ma non quella vera, quella Doc, eh no: quella è una specialità della casa, ben custodita sotto chiave nella banca del seme di Largo Fochetti, anche se nelle urne nessuno l’ha notato. Questa a 5Stelle è una “sinistra qualunquis­ta” che si alterna nel “gioco delle parti” con la “destra populista” (Claudio Tito). Cioè con la Lega, a cui peraltro Repubblica si affida speranzosa perché faccia a pezzi il decreto Dignità: “Lega all’attacco: ‘Pronti a cambi in Parlamento’”. E che il decreto non sia di sinistra lo dimostra un dettaglio decisivo, subito sgamato dall’acuto Tito: “Di Maio dimentica di dire che il suo testo non ripristina le garanzie sui licenziame­nti fissate dall’articolo 18”. In effetti, siccome nessuno aveva mai annunciato il ripristino dell’art. 18 nel decreto Dignità, Di Maio non aveva precisato di non averlo ripristina­to. Ma Tito se l’aspettava, dunque andava avvertito per tempo. Ora, già che c’è, Di Maio dovrebbe pure avvisarlo di non aver riaperto le case chiuse e di non aver reintrodot­to il delitto d’onore. Sennò poi non si aspetti la clemenza di Tito, che è merce rara.

Quando Renzi l’articolo 18 lo abolì, diversamen­te da quando voleva farlo B., Re p ubb li c a scrisse che era cosa buona e giusta e moderna, come tutto ciò che faceva Renzi, mentre l’articolo 18 era cattivo e ingiusto e reazionari­o. Ora che, in ben 30 giorni di governo, Di Maio non l’ha ancora ripristina­to, l’articolo 18 torna a essere buono e giusto e moderno, per un motivo semplice e anche coerente: Di Maio è cattivo e ingiusto e reazionari­o a prescinder­e, anche quando indossa la “m aschera” della sinistra (quella “qualunquis­ta”). Ma alla fine il Giornale Unico dell’Apocalisse ritrova la sua rocciosa coesione esaltando, compatto come falange macedone, il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Il quale è sempre dipinto come un saggio d’altri tempi, una personcina ammodo, prudente, competente, attenta ai conti e all’Europa. Come se non fosse l’elemento più importante del governo dopo Conte, Di Maio e Salvini. E quasi che fosse il capo dell’opposizion­e e non un ministro scelto da Salvini per le sue critiche all’euro, suggerito dal putribondo Savona dopo il gran rifiuto di Mattarella. Qualcuno, pensando di fargli un gran compliment­o, s’è addirittur­a spinto ad accostarlo a quel genio di Padoan. Roba da querela.

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