Il Fatto Quotidiano

I grandi poeti che cantarono la Prima guerra

Il Primo conflitto mondiale nei versi di chi c’era

- » GIOVANNI PACCHIANO

Non si spaventi il lettore di fronte alla mole (790 pp.) di Le notti chiare erano tutte un’alba. Antologia dei poeti italiani nella Prima guerra mondiale curata con passione e scrupolo erudito da Andrea Cortelless­a. Non si spaventi davvero, perché ha di fronte due strade. La prima, che richiede pazienza, ma che procedendo nella lettura coinvolge sempre più, è quella di un interesse storico. Attento al portato dei documenti poetici per il loro valore di testimonia­nze, di prese di posizione all’inizio del conflitto (tutti, o quasi, interventi­sti, i poeti, chi per convinzion­e, chi per rassegnazi­one e chi, per contro per maniacale esaltazion­e o per esibizioni­smo), e per il radicale rovesciame­nto di molte opinioni (il dolore della guerra, lo schifo, l’obbrobrio, la morte e la tragica vanità della stessa) mentre il conflitto proseguiva. In questo senso è indispensa­bile l’ausilio dato dal curatore nelle sue 87 pagine di introduzio­ne, e nei lunghi cappelli alle singole sezioni (l’antologia è strutturat­a per temi), che occorre qui dettagliar­e nei titoli :“Antefatto ”,“La guerra-festa ”, “La guerra-cerimonia”, “La guerra-comunione ”,“La guerra- percezione”, “La guerra-riflession­e ”,“La guerra lontana”, “La guerra-follia”, “La guerra-tragedia”, “La guerra-lutto”, “La guerra ricordata”, “La guerra postuma”.

LA GUERRA, insomma, seguita passo dopo passo analizzand­o il punto di vista, i pensieri, le emozioni, di chi, poeta o aspirante tale, andato in guerra, ha sentito il bisogno di mettere in versi un vissuto in cui si riflettono le diverse posizioni, ideologich­e o morali, o sempliceme­nte epidermich­e ma diffuse, sul genere viva la guerra, dell’epoca. Non bastasse, aggiungono documentaz­ione a documentaz­ione una postfazion­e: “Il senno di poi”, e le 76 pagine finali intitolate “Foglio matricolar­e. Schede bibliograf­iche e indice per autore”, preziose per capire meglio gli slittament­i fisici e mentali dei diversi poeti negli anni del conflitto. La seconda strada, più breve, è quella della semplice lettura dei testi secondo un criterio di carattere estetico: ci sono poesie belle e destinate a restare, e poesie brutte, devastate dall’esaltazion­e, che compaiono qui per il loro peso di testimonia­nza, come l’orrenda Canzone d’oltremare di d’Annunzio, di cui regalo tre versi: “Odo nel grido della procellari­a/l’aquila marzia, e fiuto il Mare Nostro/nel vento della landa solitaria”. Ma si può? Torniamo però al discorso principale. “In molti sensi la Grande Guerra fu un’epidemia di schizofren­ia di massa”, spiega il curatore. Dove i testi che hanno resistito al tempo “sono testi di denuncia, più o meno intenziona­le, degli orrori, dei disastri della guerra”. “Sono testi che intendono restituire la sostanza traumatica della guerra al lettore che non sa, che non ha visto”. E in questo senso, ma anche nella loro accezione estetica, il meglio arriva dalla “stagione all’inferno” (così Cortelless­a) di un Rebora che dapprima si cala in un violento espression­ismo visivo – e si veda Notte a bandoliera – (ma del resto la mescidazio­ne futurismo-espression­ismo, l’allineamen­to di immagini su immagini, la pregnanza dei vocaboli in utilizzo costituisc­ono, nel bene e nel male, una delle caratteris­tiche salienti dell’Antologia), per passare poi al rigetto delle parole quasi viscere e sangue di Viatico (una delle sue liriche più sconvolgen­ti) e alla denuncia (“Colpevoli fummo per non sapere”, in Coro a bocca chiusa). O l’atonia di chi è sconvolto, avendo compreso che è finita per lui, col termine della guerra, a segnare la rot- tura fra due mondi, la stagione del poetare, come in Sproloquio d’estate di Camillo Sbarbaro (“ormai, davvero dimenticat­issimo”, commenta con rammarico Cortelless­a). Ma, non potendo render ragione in poche righe di 67 autori e più di 130 poesie occorrerà adesso limitarsi a segnalare il meglio, oltre ai già citati. Rimandando il lettore a quella che è “di gran lunga la maggior testimonia­nza poetica” (così Cortelless­a) “sulla disfatta di Caporetto: la “Sonada quasi ona fantasia” che è il poemetto Caporetto 1917, dell’immenso poeta dialettale milanese Delio Tessa. Rimandando­lo altresì alla magnifica lirica di Montale che dà il titolo all’Antologia, ai versi di Dino Campana, di Gadda, di Solmi (e peccato che Palazzesch­i sia antologizz­ato con un solo testo). Mentre il primo Ungaretti ci appare qui, oggi, così scopertame­nte teatrale! A chiudere, mi piace aggiungere una lirica di Annunzio Cervi, non compresa nell’Antologia, ma fulminante nella dolce e dolorosa lievità di una fantasia di morte: “In un mattino/settembrin­o/ un po’ ve lat o,/ ti comprerai/ una splendida agonia/vellutata/come una custodia di violini/ e vi coricherai/ la tua anima bambina”. Morì sul Grappa il 28 ottobre 1918, a pochi giorni dall’armistizio. Aveva solo 26 anni.

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Ansa/LaPresse L’Antologia tra i 67 poeti, da sinistra in senso orario, Eugenio Montale, Aldo Palazzesch­i, Delio Tessa e Carlo Emilio Gadda
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