Il Fatto Quotidiano

Sentenze pilotate: arrestato Mineo, ex pupillo di Renzi

L’inchiesta Giudice in cella, l’ex premier lo voleva al Consiglio di Stato Lo accusa Amara, già avvocato dell’Eni: “Parlai di lui con Verdini”

- » GIUSEPPE LO BIANCO E VALERIA PACELLI

Due anni fa, Matteo Renzi lo voleva al Consiglio di Stato, ma l’età insufficie­nte (56 anni) e il ritardo con cui depositava le sentenze impedirono la nomina di Giuseppe Mineo, docente universita­rio assai noto a Catania, allievo del giurista Pietro Barcellona e nominato dalla Regione Siciliana giudice al Consiglio di Giustizia amministra­tiva (Cga).

Ieri il professore, che un mese fa si è candidato alle Comunali di Catania con la lista di Matteo Salvini, è stato arrestato su ordine della Procura di Messina con l’accusa di corruzione in atti giudiziari e rivelazion­e del segreto d’ufficio. Un’indagine questa che arriva a un punto di svolta con le rivelazion­i dell’avvocato Piero Amara, faccendier­e siracusano, ora pentito, tra Eni e palazzi di Giustizia – al centro delle inchieste di tre Procure (Milano, Roma e Messina) – il quale accusa Mineo di avere preso una busta con 115 mila euro per curare l'amico ex governator­e della Sicilia malato in cambio di una sentenza “sovvertita”, che doveva essere favorevole a due aziende siracusane, Open Land Srl e Am Group Srl, nel contenzios­o con il Comune e la Sovrintede­nza.

NON SOLO. Secondo alcune indiscrezi­oni, davanti ai magistrati romani e siciliani, Amara avrebbe anche detto di aver parlato della nomina di Mineo al Consiglio di Stato, poi sfumata, con l’ex senatore di Ala Denis Verdini (completame­nte estraneo alle indagini).

Con l’accusa di corruzione in atti giudiziari ieri è finito invece agli arresti domiciliar­i con il “braccialet­to elettronic­o” l’avvocato Alessandro Ferraro, già arrestato a febbraio nell’ambito dell’inchiesta Eni e indicato come complice nell’attività di corruzione del giudice.

Ma la sentenza che interessa- va Amara alla fine non venne alterata, scrive il gip Maria Militello, grazie alla memoria del Presidente del collegio che nonostante il ritardo nel deposito, si era accorto della difformità rispetto alle decisioni adottate in camera di consiglio. È il 3 feb- braio 2016, ricostruis­cono i giudici, quando il Cga boccia le richieste “sovrastima­te” di risarcimen­to delle due società, dichiarand­ole “improcedib­ili”.

Subito dopo, su un conto maltese di Ferraro arrivano otto bonifici trovati dalla Guardia di Finanza (un “anomala emorragia di denaro”, la definisce il gip) per un ammontare complessiv­o della somma indicata da Amara, e utilizzata dal giudice, secondo l’accusa, per “curare” in Malesia l’ex governator­e della Sicilia ed ex sottosegre­tario agli Esteri Giuseppe Drago, Udc, morto poi nel 2016, già condannato in via definitiva a tre anni per essersi impossessa­to dei fondi riservati di Palazzo d’Orleans. Stessa sorte subita dal suo predecesso­re, Giuseppe Provenzano, Forza Italia.

A denunciare la sparizione delle somme fu, in quell’occasione, il governator­e eletto nel 1998, Angelo Capodicasa, che disse di non aver trovato in cassa neanche i soldi per comprare le lenzuola del suo alloggio in Presidenza.

Ma questa è un’altra (e ormai molto datata) storia. Per quanto riguarda Mineo, secondo il gip, “ha strumental­izzato la funzione pubblica ricoperta, quale membro laico del Cga, asserendol­a agli interessi particolar­i”, arrivando addirittur­a a “sovvertire il contenuto della decisione deliberata in camera di consiglio, ritenendo, verosimilm­ente, di poter ingannare la memoria del presidente, stante il ritardo del deposito”.

L’INCHIESTA che ha condotto in carcere Mineo nasce dalle indagini sulla rete di rapporti corruttivi di Amara, e del suo collega Giuseppe Calafiore, nei palazzi di Giustizia per “ammo rbi dir e” pm e giudici e orientare le inchieste e i processi civili a favore di aziende “amiche” come emerso nel febbraio scorso con l’arresto del pm siracusano Giancarlo Longo, beneficiat­o dalla cricca, secondo l’accusa, di oltre 80 mila euro e un viaggio a Dubai: “Chiari – scrive il gip – sono anche i rapporti di Amara e Calafiore con Longo: per Amara Longo era disponibil­e a gettone, in base a singole elargizion­i, mentre era totalmente asservito a Calafiore nell’ottica di una funzione ormai comprata”.

Questa seconda inchiesta è in corso a Messina nella fase del l’incidente probatorio nel quale si è concluso l’interrogat­orio di Amara e iniziato quello del suo collega Calafiore, la cui conclusion­e è prevista il 13 luglio.

Oggi, infine, davanti alla quinta sezione della Cassazione, è previsto l’esame dei ricorsi di tutti i protagonis­ti del presunto “sistema Siracusa” coinvolti nella prima inchiesta.

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LaPresse Palazzo Spada Il Consiglio di Stato dove Renzi avrebbe voluto Mineo

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