MAFIA E PRESCRIZIONE OLTRE LA PROPAGANDA
Il neo ministro di Giustizia Alfonso Bonafede ha preannunciato che la sua priorità è la lotta alla mafia (e alla corruzione); poi, qualche giorno dopo, ha dichiarato che “la riforma della prescrizione è una priorità”. Quanto alla prima delle “priorità”, ben pochi sono i poteri in merito assegnati al Guardasigilli rispetto a quelli che competono al ministro degli Interni che, però, ha tra le sue priorità quella di convincere i cittadini – in una permanente campagna elettorale imperniata sullo slogan “Prima gli italiani” – che la loro sicurezza è posta in pericolo più dagli immigrati che non dalla (italiana) criminalità organizzata che ha occupato, oramai, quasi l’intero territorio italiano.
REGIONI COME LA SICILIA, la Puglia, la Calabria, la Campania sono state, e sono tuttora, “devastate” dalle organizzazioni criminali e, cioè, “mafia”, “sacra corona unita”, “’ndrangheta” e “camorra” che, da anni, hanno sistematicamente assoggettato le popolazioni a estorsioni, intimidazioni, violenza, omicidi nel contesto anche del traffico di droga (apportatrice di morte). In particolare la “’ndrangheta” si è estesa in tutta Italia occupando l’intero territorio lombardo e infiltrandosi pericolosamente nel basso Lazio, in Emilia, nel Veneto e in Piemonte. Quanto alla “camo rra”, essa, attraverso decine di “clan” criminali, ha occupato, capillarmente, i territori della provincia di Napoli e Caserta, inquinando anche gravemente la politica.
Qui la situazione è aggravata dalla micro-criminalità che, attraverso “clan” di giovanissimi, tiene giornalmente la città di Napoli sotto scacco, con scippi, rapine e furti. Ora, se questo fenomeno criminale si è esteso, è evidente che nessun governo, a partire dal Dopoguerra, ha mai fatto seriamente la guerra al crimine organizzato e vi è stata, anzi, spesso connivenza e collusione tra politici, anche di alto livello governativo, e i sodalizi criminali. E, allora, un “cambiamento epocale” evocato dal “premier” Conte, deve necessariamente passare per due strade: la prima è una più incisiva azione repressiva con l’in- vio e la permanenza (non di breve durata, ma per anni) di un massiccio numero di appartenenti alle forze dell’ordine e di militari in quelle zone ad altissima densità criminale (si pensi alle province di Reggio Calabria, Napoli, Caserta, al Lametino) per “riconquistare” il territorio oggi occupato dalla criminalità e per presidiare aziende e imprese i cui titolari sono sottoposti a sistematiche estorsioni o, in caso di rifiuto, a gravi rappresaglie, anche a rischio della vita. La presenza di tali forze dà tranquillità e sicurezza ai cittadini e infonde fiducia verso le istituzioni negli imprenditori motivandoli – sentendosi protetti – alla denuncia e alla collaborazione con le forze dell’ordine e con i magistrati. La loro presenza costante determina una diminuzione, addirittura del 50%, dei reati sicché essa, rendendo difficoltose operazioni di traffico di droga e l’imposizione del “pizzo”, fa venir meno il flusso di denaro che alimenta la vita dei sodalizi mafiosi.
La seconda strada è quella che, contestualmente, bisogna, una volta per tutte, affrontare con determinazione, anche sotto il profilo sociale, culturale ed economico e in sinergia con le regioni e gli enti locali, la “questione meridionale” ove si radica la cultura del favoriti- smo e del clientelismo ove, in definitiva, il fenomeno mafioso si intreccia con la corruzione. Bisogna, in altri termini, liberare le nuove generazioni dal ricatto del bisogno nelle vaste zone ove la dispersione scolastica è record a livello nazionale, ove i giovani vivono la strada e qui entrano in contatto con realtà criminali di ogni genere e ove le organizzazioni tramandano l’arte del crimine di padre in figlio.
PER QUANTOriguarda la prescrizione, sembrava che, durante la campagna elettorale del M5S, fosse prevalsa l’intenzione di non farla più decorrere dalla richiesta di rinvio a giudizio. Oggi, il ministro annuncia “stop alla prescrizione dopo la sentenza di I grado”. Si tratta di una errata iniziativa per due ordini di motivi: il primo è che, come dimostra l’esperienza, la lungaggine (oltre che delle indagini preliminari) del dibattimento, che dura mediamente 3-4 anni e oltre per i procedimenti più complessi, ha portato all’estinzione di migliaia di processi anche di grande rilevanza. Il secondo è che la prescrizione costituisce una ipotesi di rinunzia dello Stato alla pretesa punitiva che attiene all’esercizio d el l ’azione penale. Pertanto, è nel momento in cui il titolare dell’azione penale e, cioè, il pm si rivolge al giudice per ottenere una decisione sulla realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato in ordine a un fatto-reato, che la prescrizione non ha più ragione di essere ed è privo di significato giuridico collegare tale evenienza alla sentenza di I grado.