Il Fatto Quotidiano

Ubi Banca, alla sbarra i vertici dell’istituto e Giovanni Bazoli

In passato le inchieste hanno interessat­o questori e forze dell’ordine. Ma ora tocca ai big della banca e a Bazoli

- » GIANNI BARBACETTO

Città di soldi, banche e chiese, Bergamo. Gli scandali, quando emergono, sono ovattati, i circoli dei potenti difendono bene la loro reputazion­e. Ogni tanto scoppia il caso, come quello della “Panda nera”: un gruppo di carabinier­i e vigili urbani giravano per la Bassa bergamasca, nel fine settimana, picchiando e derubando spacciator­i extracomun­itari. Qualche volta a restare impigliato nelle reti della giustizia è un pesce grosso. Tipo il questore della città, Dino Finolli, condannato in primo grado per storie di corruzione: accompagna­va un imprendito­re, Giovanni Cottone, ex marito di Valeria Marini e in passato in affari con la famiglia Berlusconi, a chiedere favori che non si devono chiedere. Anche il predecesso­re di Finolli, il questore Vincenzo Ricciardi, è stato indagato, ma per storie che vengono da lontano: la Procura di Caltanisse­tta lo ha tirato dentro l’inchiesta sul depistaggi­o della strage di via D’Amelio ( ma senza alcun risultato).

C’ERANOun vescovo e tre magistrati di Bergamo, invece, a tavola, in una bella festa organizzat­a in provincia, a Bonate. Peccato che i padroni di casa, secondo quegli impiccioni degli investigat­ori, fossero i figli del boss Pasquale Locatelli,

n a rc o s alla bergamasca, per anni latitante in Costa Azzurra e in Spagna, ricercato per i suoi fiorenti commerci di cocaina con i cartelli colombiani. Storie vecchie, dimenticat­e in fretta. Oggi però un processo sta per portare alla sbarra la crema della città, i più eccel- lenti banchieri bergamasch­i, convocati in aula insieme con i loro colleghi-alleati-avversari di Brescia. Prima udienza, 25 luglio. Trenta imputati, tra cui l’amministra­tore delegato di Ubi Banca Victor Massiah, il presidente Andrea Moltrasio, i vicepresid­enti Mario Cera, Flavio Pizzini e Armando Santus, oltre al presidente emerito di Intesa Giovanni Bazoli e a sua figlia Francesca.

Sono stati quei guastafest­e di Fabio Pelosi, pubblico ministero a Bergamo, e del suo capo, il procurator­e Walter Mapelli, a guastare il clima sereno che si respira in città. Hanno mandato a processo i vertici della banca, accusati di ostacolo agli organismi di vigilanza e di indebite influenze sulla formazione dell’assemblea. Sarà il primo processo che si celebra in Italia non a ex banchieri ormai caduti in disgrazia, ma all’intero gruppo dirigente in carica della terza banca italiana. Tutto iniziò proprio qui, a Bergamo, nel 2007, quando si celebrano le nozze tra l’istitu- to di credito locale, la Banca Popolare di Bergamo, e la bresciana Banca Lombarda. È così che nasce Ubi Banca, sotto lo sguardo attento dei due gruppi fondatori: i bergamasch­i di Emilio Zanetti e i bresciani di Bazoli. Il matrimonio s’aveva da fare, per non cadere preda degli stranieri. Ma s’avevano da conservare anche gli equilibri tra le due “famiglie”, gelose dei loro campanili, ma soprattutt­o del loro potere. Ecco allora che Zanetti e Bazoli costruisco­no una macchina perfetta per controllar­e nel tempo la banca, stipulano un patto raffinatis­simo che permette ai due gruppi fondatori di decidere tutte le cariche sociali e di spartirsel­e, alternando­si al co- mando e tenendo fuori gli altri azionisti. A decidere i vertici, secondo l’accusa, non sono gli organi sociali dell’istituto e il comitato nomine, ma la geometrica e simmetrica potenza delle due associazio­ni di azionisti che riuniscono i soci fondatori: i bergamasch­i “Amici di Ubi” guidati da Zanetti; e i bresciani dell’“Associazio­ne Banca lombarda e piemontese” presieduta da Bazoli.

“Abbiamo fatto tutto per il bene della banca”, ripetono gli imputati. E il patto funziona senza intoppi fino al 2013, quando all’assemblea dei soci si presentano due liste alternativ­e, quella di Andrea Resti e quella di Giorgio Jannone, ex parlamenta­re di Forza Italia. Di fronte al pericolo, il patto stretto da Bazoli e Zanetti mette il turbo e fa scattare un piano d’emergenza per vincere a tutti i costi l’assemblea – sostiene l’accusa – con presentazi­one di firme false, deleghe in bianco, voti raccolti impiegando militarmen­te i dipendenti e le agenzie, oltre alla potentissi­ma Compagnia delle Opere di Bergamo e all’a s so c i az i on e degli artigiani Confiab.

GLI “ESTRANEI” sono respinti, ma scattano le proteste dell’Adusbef, le denunce di Jannone. Alla fine, Pelosi ritiene di aver trovato le prove del patto occulto, nascosto al mercato, a Bankitalia e alla Consob, per mantenere il controllo di Ubi ed escludere “dalla gestione della banca soggetti estranei alle due associazio­ni”.

I giudici deciderann­o se gli eccellenti­ssimi imputati sono colpevoli. Certo che un processo così a Bergamo non si era mai visto.

tra cui l’ad dell’istituto Victor Massiah, il presidente Andrea Moltrasio e due vice

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Terza in Italia La sede di Ubi a Bergamo. A sinistra, Giovanni Bazoli L’accusa dei pm Si parla di ostacolo agli organismi di vigilanza e indebite influenze sulla formazione dell’assemblea

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