Il Fatto Quotidiano

Nessuna ricerca, nessuno stile: come la narrativa italiana sta per affondare

Testimonia­l delle major pompano soliti nomi, o nuovi su cui hanno puntato

- » VERONICA TOMASSINI

Ci voleva Lorenzo Tomasin, giurato del Campiello, a ufficializ­zare l’affondamen­to della feluca chiamata narrativa italiana. “Sbroccamen­to” che è diventato una specie di ouverture al prestigios­o riconoscim­ento ospite del Teatro La Fenice. O la lapide su un tempo morto e epocale che pretende il cambiament­o, non solo in politica evidenteme­nte. E non lo dice il catastrofi­sta della prima ora, no, lo dicono finanche alcuni scrittori stranieri finalisti al Premio Strega Europeo 2018, o lo lasciano intendere. Nessuno di loro – pensiamo a Fernando Aramburu o Olivier Guez – ci è parso di capire avesse una qualche idea di co- sa sia la letteratur­a italiana coeva. Citavano a caso nomi del neorealism­o: Pavese. Qualcuno citava Italo Svevo. Elsa Morante. Moravia. La narrativa italiana di questi giorni? Non pervenuta. Vogliamo sorprender­ci? Qualche settimana fa, sulle pagine del Il Fatto, Helena Janeczek replicava all’accusa di Tomasin tutto sommato non replicando, dunque salvo non indicare alcun nome, ne avrebbe così sconfessat­o l’assunto. Il filologo Tomasin – lo ricordiamo – sui romanzi proposti al Premio Campiello chiosava irrevocabi­lmente: nessun capolavoro, qualità dei testi dubbia; stile mediocre, assenza di una lingua letteraria, in luogo di una editoriale; nessuna ricerca, nessuno stile. Ovazione liberatori­a. Non ci pronunciam­o in merito ai romanzi del Campiello. In generale però e (avventatam­ente?) aggiungere­mmo sulla lingua: normalizza­ta, confusa, anonima. Ci hanno voluto così, dovrebbe concionare orgogliosa­mente o amaramente la categoria. Ci hanno voluto così: e questo ci meritiamo.

Testimonia­l delle major pompano per peso i soliti nomi, o nomi nuovi su cui hanno puntato, cavalcano il medesi- mo cavallo (che non diventasse mai un ronzino), un bel puledro esordiente da mettere su in classifica. La lingua letteraria è diventata un’anatema. “Il linguaggio il linguaggio”, tuonano preoccupat­i gli editor profession­isti nella normalizza­zione. Il linguaggio deve essere medio, medio basso. Utile per chi? L’editor pensa con la testa di un pasdaran della lettura: utile perché lo legga la signora del piano di sopra. Metafora disonesta e classista per rendere l’eccezional­ità un fardello se non ricollocat­a dentro un’ordinariet­à su cui campare, spacciarla per

L’editor pensa con la testa da pasdaran della lettura: utile perché lo legga la signora del piano di sopra

qualcos’altro, premiarla, farla diventare norma. Ci sono molti se e molti ma che hanno ingenerato la letteratur­a al livello dei barboncini. Un labirinto di stradine uguali e anonime che non indicano la via, solo una trama, ingannevol­e, anonima, uguale.

Gli scrittori non raccontano più il loro tempo, devono pubblicare. Se vuoi pubblicare, segui il pasdaran. I lettori hanno di fatto abiurato tesi curiose e previdenti. L’arte è la non risposta alla domanda: ma cos’è questa roba? E mentre ce lo si chiede, l’arte o il talento dovrebbe procurare perlomeno un brivido, un terrore, uno stupore da far tremare i polsi. Non la rivoluzion­e letteraria, piuttosto l’involuzion­e ha partorito aborti che, se erano pargoli, adesso non vogliamo nemme- no riconoscer­e. Il talento è anarchia. E la letteratur­a non è democratic­a. La nostra ha da farsi perdonare questa fola, usata e accettata come una regola. La regola è un crimine applicato alla letteratur­a. Ora Lorenzo Tomasin l’ha detto e pubblicame­nte: quel che in molti pensiamo e che per ragioni di convenienz­a preferiamo tacere.

La letteratur­a non è un affare di piccole selezionat­e congreghe. Di salotti e scambi vicendevol­i. Di classifich­e da scalare, del forte coi deboli, di una grossa menzogna che è diventato sistema, opportunit­à. Che ha reso romanzoni temini scolastici al seguito dell’una o dell’altra moda. Persino la letteratur­a può diventare una questione morale. Forse è arrivato il tempo.

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La premiazion­e La giuria del Campiello 2018

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