“Jihad colpa dei governi”
Come nasce la radicalizzazione in Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad
Se la Libia è l’av ampo sto dell’Europa, il Sahel è l’avamposto della Libia. Prima ancora dello “scatolone di sabbia”– ritornato prepotentemente al centro del dibattito politico italiano ed europeo dopo la caduta di Gheddafi nel 2011 – le porte del deserto si spalancano sul ventre molle de ll ’ Africa, ovvero la prima fascia subsahariana, terra di transito per i migranti e fucina dell’estremismo violento. Non a caso almeno dal 2014 gli occhi della comunità internazionale sono puntati sulle Paesi come Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad – raggruppati da allora sotto la dicitura di G5 Sahel – un coordinamento regionale nato per favorire le operazioni di contro-terrorismo patrocinate principalmente dalla Francia, proprio nella sua mai abbandonata area d’influenza nel continente.
NON DIRETTAMENTE d ei flussi migratori, tema al centro del Consiglio europeo che si è svolto a Bruxelles, quanto piuttosto delle cause dell’estremismo violento si occupa il rapporto appena pubblicato da International Alert, ong con sede a Londra. Scritto da Luca Raineri, ricercatore della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e coordinato da Marco Simonetti, responsabile per l’Africa occidentale dell’organizzazione non governativa, lo studio dal titolo If victim become perpetrators indica come la crescita dell’estremismo violento in alcuni regioni del Sahel centrale (ovvero Mali, Burkina Faso e Niger) rappresenti la reazione all’incapacità dei governi di fornire sicurezza e servizi alle popolazioni locali. La ricerca si basa su numerose interviste a persone di etnia Fulani, gruppo di pastori semi-nomadi diffuso in tutto il Sahel occidentale. I giovani Fulani sempre più si uniscono ai gruppi armati jihadisti, che rappresentano da parte loro il maggior problema per la sicurezza di molte importanti aree di questo territorio.
“Abbiamo analizzato diverse ipotesi, che possono spiegare il perché molti di questi ragazzi si uniscono agli estremisti armati”, spiega Raineri. “Ci siamo chiesti se possa trattarsi della povertà, oppure della radicalizzazione religiosa, o ancora dei conflitti interetnici”.
LO STUDIOarriva alla conclusione che tutti questi fattori sono spesso irrilevanti, tanto che a volte è la parte più ricca o la meno religiosa della popolazione ad aderire ai gruppi jihadisti. “In tutti i casi presi in esame”, continua il ricercatore della Scuola Sant’Anna, “si osserva come la risposta dello Stato non è sufficiente. Il fattore determinante che spinge i giovani all’estremi- smo violento è rappresentato dalla percezione di abusi talvolta banali talvolta drammatici da parte dei governi. Avendo fatto questa scoperta - che conferma risultati di ricerca di altre aree in Africa come quelle interessate da Boko Haram e al-Shabaab – ne consegue che dare assegno in bianco a forze di sicurezza percepite dalle popolazioni locali come abusive rischia di aggravare problema e non di risolverlo”. Come sintetizza un rappresentate della società civile nigerina citato nel rapporto Alert, le ingiustizie “generano maggior frustrazione del jihadismo stesso”.
Si tratta di un atto d’accusa contro un approccio esclusivamente securitario e al tempo stesso di un invito alla cautela rivolto alla comunità internazionale che finanzia i G5 Sahel. A parziale conferma delle indicazioni contenute nel rapporto, le Nazioni Unite hanno ripetutamente denunciato decine di casi recenti di esecuzioni sommarie da parte delle forze armate governative del Mali, impegnate nelle repressione anti- islamista. “L’estremismo violento tocca la vita di milioni di persone nel Sahel, ma essenzialmente la risposta militare ha finora fallito nel tentativo di ridurre la violenza e ha invece indebolito le comunità tradizionali nel loro tessuto sociale”, ribadisce il responsabile dell’area West Africa di Alert Marco Simonetti. “L’opzione militare e repressiva non ha fatto che aumentare la violenza. Se vogliamo stabilizzare la regione è necessario che i governi offrano servizi e sicurezza alle popolazioni locali”.
Risposte errate Affidarsi a forze di sicurezza percepite dalle popolazioni come “abusive” aggrava il problema