Il Fatto Quotidiano

Renzi perde i voti, non il vizio: “Non lascio, mi riprendo il Pd”

Martina segretario a tempo, congresso nel 2019, partito in ostaggio, fischi

- » WANDA MARRA

■ La maledizion­e dell’ex segretario alla minoranza: “Riperderet­e”. Ma i suoi non sanno su chi puntare

“Smettiamol­a di considerar­e nemici quelli accanto a noi. Ci rivedremo al congresso, riperderet­e il congresso e il giorno dopo tornerete ad attaccare chi ha vinto”. Matteo Renzi alza il livello del conflitto. Il clima dell’Assemblea Pd si surriscald­a, una buona parte della sala lo applaude, la minoranza lo contesta. Qualcuno in sala urla: “Basta, basta”. Il sottotesto implicito del suo intervento evoca la parafrasi di una battuta del Marchese del Grillo: “Io ero io e voi non sarete un cazzo”.

In prima fila, Paolo Gentiloni non applaude mai, Marco Minniti poco. Il tavolo della presidenza è diviso. Francesco Bonifazi al centro, applaude convulsame­nte, Andrea Marcucci anche, ma con più compostezz­a, Maurizio Martina e Matteo Orfini, rigorosame­nte in maglietta rossa, alternano perplessit­à a battimani. Graziano Delrio non applaude mai ma, alla fine, è lui che l’ex segretario abbraccia più calorosame­nte. Ancora spera di convincerl­o a candidarsi al congresso contro Nicola Zingaretti, che ascolta in disparte. “Anche se non lo ha detto, si è vinto anche nel Lazio alle Amministra­tive”, commenta a caldo. “La relazione? Ora la sentiamo”. Ma come? “Sì, ora sentiamo Martina”. Non interviene, ma poi, davanti alle telecamere, dice: “Il problema di Renzi è che non ascolta mai”.

QUANDO l’ex segretario finisce di parlare, l’Assemblea si svuota, l’attenzione cala, il brusìo sovrasta l’intervento di Martina. Copione noto: l’ex segretario con l’intervento di apertura, si prende tutta la scena. Il segretario – che la platea eleggerà di lì a poco, con i voti anche dei renziani (7 contrari, l’area Emiliano, e 13 astenuti) – sembra una comparsa nel ruolo di attore protagonis­ta. L’accordo fotografa lo stato dell’arte e di fatto congela il partito almeno per qualche altro mese. Si “avvia il percorso congressua­le straordina­rio, da definire da un’assemblea entro fine anno, in vista delle Europee del 2019”, è il passaggio chiave dell’Odg unitario (prima firma Orfini, Orlando, Sereni e Guerini). E mentre qualcuno ipotizza date possibili per le primarie, l’ufficio stampa del Pd precisa che tali date non ci sono. Un segnale tra gli altri che l’accordo per cui saranno prima delle Europee non è così blindato.

Renzi fa l’analisi della sconfitta ben 3 mesi dopo in 10 punti. “Sembravamo e st a b l ishment, anzi lo eravamo”, dice. Uno della platea gli urla: “Colpa tua”. Lui non si scompone. La sala – per la verità non pienissima – fa il tifo. Capitolo rivendicaz­ione: “È vero che non c’è leader senza la sua comunità, ma non c'è comunità che non esprima un leader”. Poi passa agli attacchi diretti: “Sullo ius soli dovevamo decidere, o si metteva la fiducia a giugno o si smetteva di parlarne”. Ogni riferiment­o a Paolo Gentiloni, seduto in prima fila, sempre più scuro, non è puramente casuale. Ancora: “I vitalizi: se approvi la legge Richetti alla Camera, poi non è che al Senato non l’approvi”. Altro affondo contro l’ex premier e contro il resto del partito: “I toni e i tempi della campagna elettorale. Non è l’algida sobrietà che fa sognare un popolo”. Tra i bersagli c’è pure Repubblica: “Aver seguito per mesi l’operazione di Pisapia, impostaci da una stampa amica, è un errore clamoroso”. E ancora: “Siamo stati poco sui social dove si è sviluppata una campagna che ha mostrifica­to i nostri”. Poi l’altolà: “Non si torni al Pds e all’Unione”. E blocca le fughe in avanti di chi – anche tra i suoi – guarda ai Cinque Stelle: “Sono una corrente della Lega”.

Dopo di lui Martina prefigura un allargamen­to del centrosini­stra: “Noi siamo fondamenta­li per costruire l'alternativ­a ma non basteremo a noi stessi”. C’è Pina Cocci, la delegata di Tor Bella Monaca in sedia a rotelle, che a maggio aveva scaldato la platea protestand­o. Stavolta, la porta sul palco. Suona stonato.

RENZI scivola via dopo l’intervento di Martina. Poi parlano Orlando e Cuperlo, che sta riflettend­o se correre. Pure l’area Emiliano pensa a un suo candidato. “Noi prendiamo tempo, non sappiamo bene che fare”, confida uno dei vicinissim­i a Renzi. “Un candidato non ce l’abbiamo, a meno di non convincere Delrio”. Tra i nemici, qualcuno è convinto che Orfini voglia provarci lui. Nel frattempo, i renziani vagamente galvanizza­ti cercano il vice segretario per condiziona­re Martina: si pensa a Teresa Bellanova.

Una delegata sviene mentre sta intervenen­do. Orfini la prende al volo. Delrio, in veste di medico, la soccorre, Martina e la Pollastrin­i chiedono di fermare il “colpevole” brusìo. Metafora perfetta dello stato di salute di un partito in confusione.

Candidati in corsa Oltre a Zingaretti, ci pensa Cuperlo Renziani senza nome, sperano in Delrio Il problema è che Matteo non ascolta mai NICOLA ZINGARETTI Dovremmo suonare come una grande orchestra MAURIZIO MARTINA

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Ansa Ancora lui Matteo Renzi apre l’Assemblea Dem
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