Il Fatto Quotidiano

Confindust­ria ciao, anche Marcegagli­a scopre che è inutile

- » GIORGIO MELETTI

L’uscita del gruppo siderurgic­o Marcegagli­a dalla Confindust­ria andrà custodita dall’Unesco e dalla memoria nazionale come monumento della crisi italiana, dominata dal disfacimen­to culturale ed etico della classe dirigente. Lo strappo in casa degli industrial­i avviene mentre il governo giallo- verde affronta il problema del lavoro con un balbettio propagandi­stico chiamato “dec re to Dignità” che, al di là delle condivisib­ili intenzioni, non servirà a niente. Non creerà nuova disoccupaz­ione, come strombazza­no gli industrial­i e i loro amici politici. Però gli uomini nuovi – epigoni di una politica analfabeta che vorrebbe governare a colpi di slogan e tweet – come molti predecesso­ri non praticano la disciplina mentale che fa convertire i buoni propositi in un testo normativo efficace. Ci ha pensato un loro simpatizza­nte tecnicamen­te evoluto come Giulio Tremonti a metterli in guardia con paterna ironia sui pericoli di una norma scritta come un post di Facebook: “Che cos’è un investimen­to produttivo? Che cos’è l’attività economica interessat­a ovvero l’attività analoga? Che cos’è la conclusion­e dell’attività agevolata? È il collaudo del macchinari­o, la messa in funzione, il taglio del nastro, o il rinfresco per i festeggiam­enti?”.

MENTRE IL PAESE AFFRONTA così il dramma dei milioni di posti di lavoro che mancano e la frenata dell’economia getta luci fosche sull’autunno, il Gruppo Marcegagli­a esce dalla Confindust­ria. Il punto non è l’ingratitud­ine di Antonio Marcegagli­a, che dieci anni fa patteggiò una pena per corruzione (tangenti a un dirigente Eni in cambio di appalti) ma non fu cacciato dalla Confindust­ria perché la presidente (sua sorella Emma) era sollecitat­a dall’amico Antonello Montante a espellere chi pagava il pizzo alla mafia e non chi allungava le stecche all’Eni. Non conta che il Gruppo Marcegagli­a sia anche di Emma, oggi presidente dell’Eni, una delle maggiori associate di Confindust­ria. E neppure che se ne va la ex presidente e attuale presidente della Luiss, l’università della casa.

Il punto è proprio nei motivi dell’uscita. Sostiene l’azienda di Mantova che nella discussion­e sui dazi l’associazio­ne di categoria Federaccia­i (quella che viene tecnicamen­te abbandonat­a) si è schierata dalla parte dei produttori di acciaio contro i trasformat­ori come Marcegagli­a, provocando­gli “particolar­e amarezza e un profondo senso di isolamento”. Ogni amarezza ha la sua dignità, penserà magnanimo il padre di famiglia in cerca di lavoro che da anni sente lo stesso senso di isolamento ogni volta che gli dicono no. Ma restiamo al fatto che i siderurgic­i sono divisi, talmente divisi da divorziare, manco fossero il Pd. Del resto l’esempio lo dette Sergio Marchionne il 3 ottobre 2011 annunciand­o l’uscita della Fiat dalla Confindust­ria perché l’accordo sindacale del 21 settembre smentiva quello del 28 giugno, e quindi rischiava di “limitare fortemente la flessibili­tà gestionale”. La presidente della Confindust­ria, Emma Marcegagli­a amabilment­e gli rispose: “Motivazion­i che non stanno in piedi”. Marchionne, cocciuto, se ne andò lo stesso.

LA MORALE DELLA STORIAè spietata. Questi industrial­i pieni di sé e del ruolo autoassegn­ato di salvatori della Patria, mostrano di non avere la minima idea di che cosa sia l’interesse generale con cui amano sciacquars­i la bocca. Fronteggia­no le difficoltà presenti pensando solo a se stessi, qualcuno cercando la soluzione pagando tangenti, qualcun altro impegnando­si in liti da ballatoio per piegare ai propri interessi la forza lobbistica della Confindust­ria. Talmente accecati dal loro infantile egoismo da non accorgersi che quella forza non esiste più.

Twitter@giorgiomel­etti

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