COME SI FERMANO I FALÒ DI RIFIUTI IN TERRA DI MAFIA
Gli incendi negli impianti di raccolta spesso servono per coprire smaltimento illecito. Le mani della criminalità e i buchi nei controlli. A partire dai meccanismi della differenziata
Puntualmente, con l’estate aumentano gli incendi negli impianti di rifiuti. Ma forse qualcosa sta cambiando. Perché finalmente, a fronte dell’ultimo, gravissimo rogo di San Vitaliano ( Napoli), il ministero dell’Ambiente, grazie al cambio di gestione, sembra intenzionato a intervenire con decisione.
Il nuovo ministro, generale Costa, infatti, non solo ha subito attivato il Noe dei carabinieri per le dovute indagini, ma ha messo sul tappeto due importanti proposte strutturali: da un lato ha richiesto che tutti i provvedimenti relativi alla Terra dei fuochi (soprattutto in tema di bonifiche) passino sotto la competenza del suo ministero; e dall’altro che in tutta Italia i siti di stoccaggio dei rifiuti siano considerati “sensibili” e rientrino, quindi, nel piano coordinato di controllo del territorio gestito dalle Prefetture con tutte le forze dell’ordine.
Esattamente l’opposto del suo predecessore, il quale si era limitato a una “circolare” (non vincolante per nessuno) del tutto inutile, per ricordare (male) le norme applicabili agli impianti di stoccaggio rifiuti.
Eppure ormai nessuno può negare il gravissimo fenomeno di questi incendi in impianti di rifiuti: più di 250 in meno di tre anni, con un vertiginoso aumento dal gennaio del 2015 all’agosto del 2017, come accertato dalla Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a esse correlati; cui si aggiungono almeno altri successivi 128 incendi come documentato sul suo blog dall’on. Claudia Mannino.
Ma quali sono le cause di un fenomeno così rilevante e in deciso aumento? Purtroppo, quasi mai sono state esperite indagini approfondite in proposito. Anzi, come risulta dalle risposte delle varie Procure della Repubblica alla Commissione bicamerale, almeno un terzo di questi incendi non è stato neppure segnalato alla magistratura; ma, anche quando segnalazione vi è stata, il tutto si è concluso con l'archiviazione (quasi sempre perché ignoti gli autori) e solo nel 13% dei casi si è esercitata l'azione penale; non tanto però per il delitto di incendio, doloso o colposo (solo 5 casi), quanto – ed è significativo – per altri reati, di tipo ambientale, derivanti da irregolarità nella gestione degli impianti.
Ed è altrettanto significativo ricordare, in proposito, che Roberto Pennisi, magistrato della Direzione distrettuale antimafia, ha recentemente dichiarato che “l'autocombustione non esiste” e che dietro questi incendi “vi sono solo interessi criminali” in quanto “si brucia per coprire altri reati”.
Del resto, sempre la Commissione bicamerale ha evidenziato tra le cause del fenomeno “la possibilità, determinata da congiunture nazionali e internazionali, di sovraccarico di materia non gestibile, che quindi dà luogo a incendi dolosi ‘liberatori’”; richiamando la circostanza che dal 2017 la Cina ha imposto un drastico giro di vite alle importazioni di rifiuti, specie italiani.
Ed è ancora più significativo, a questo punto, evidenziare che molti degli impianti andati a fuoco erano in rapporti commerciali da e con soggetti già indagati o condannati per reati relativi alla violazione della normativa sui rifiuti: in particolare per il delitto di traffico illecito.
Appare, quindi, fondato il sospetto che buona parte di questi incendi servano a risolvere situazioni di illegalità divenute ingombranti o pericolose per le stesse imprese andate a fuoco.
Le motivazioni più probabili sono quelle collegate alla elusione dei costi connessi con una corretta gestione dei rifiuti che sono stati accolti negli impianti a fronte di un corrispettivo, spesso molto cospicuo; tanto più se si verte in un quadro di illegalità ambientale.
E questo non riguarda solo i casi più eclatanti, quando i rifiuti derivano da un traffico clandestino. Ma anche e soprattutto il caso di chi agisce in un apparente quadro di legalità, ma non può permettersi di subire controlli sulla quantità dei rifiuti ricevuti e sulla qualità della sua gestione.
Un incendio, ad esempio, può servire a evitare controlli sul combustibile da rifiuti prodotto al di fuori delle specifiche di legge, per cui l’impresa ha, tuttavia, già percepito contributo all’ingresso del rifiuto. O a evitare che si scopra che l’impresa ha ricevuto contributi o, comunque, compensi, per rifiuti non riciclabili o non autorizzati fatti figurare in ingresso con falsi codici.
In questo quadro, appare certamente rilevante e meritevole di approfondimento la circostanza che molti degli impianti andati a fuoco rientravano nell’ambito dell’accordo Anci-Conai per il riciclo e il recupero, dietro corrispettivo pubblico, dei rifiuti urbani raccolti dai Comuni. Riciclo che, ovviamente, richiede come presupposto una buona qualità della raccolta differenziata. Sotto questo profilo, non sempre i Comuni che si presentano come “raccoglioni” sono anche “ricicloni”. Se, infatti, come spesso avviene nel nostro Paese, la raccolta differenziata è di qualità scarsa, difficilmente i rifiuti potranno essere correttamente riciclati; tanto è vero che, in questi casi, devono essere mandati in discarica, in evidente contraddizione con le finalità della raccolta differenziata.
E, si badi bene, il nodo dei controlli è di fondamentale importanza anche per quanto riguarda la prevenzione degli incendi. Le indagini della Commissione bicamerale sull’incendio del 2017 all’impianto di rifiuti della Eco X di Pomezia hanno evidenziato che l’impianto non aveva avuto controlli sull’attività – nonostante un (giustamente) preoccupato esposto degli abitanti della zona –, aveva in deposito quantità di rifiuti ben superiori al consentito; vi erano rifiuti che non era autorizzato a ricevere; e, soprattutto, non aveva presidi antincendio né alcun piano di emergenza come prescritto dalla legge. Anzi, era stato addirittura diffidato a mettersi in regola dai vigili del fuoco e non aveva ottemperato, senza altra conseguenza che una “multa” irrisoria.
Ecco perché l’iniziativa del ministro Costa proprio per incentivare i controlli sugli impianti di rifiuti è da condividere senza riserve.
Speriamo solo che venga subito messa in opera. Altrimenti è facile essere profeti e pronosticare che nei prossimi giorni alcuni impianti oggi traboccanti di rifiuti prenderanno fuoco improvvisamente. Non a caso, dopo Napoli, sono già andati a fuoco altri due impianti di rifiuti a Macerata e a Muggiano.
ANTIMAFIA
Il pm Pennisi: ‘L’autocombustione non esiste’, ‘dietro questi incendi vi sono solo interessi criminali’, ‘si brucia per coprire altri reati’
GOVERNO
Costa vuole che le misure sulla Terra dei fuochi siano di sua competenza E che i siti di stoccag gio siano sotto il controllo delle Prefetture