Lo slalom dell’ambasciatore tra le sabbie mobili
Giuseppe Perrone, passato da Minniti a Salvini e gli equilibrismi fra Sarraj e Haftar
Non deve essere stato facile per Giuseppe Perrone passare attraverso gli ultimi due “datori di lavoro”. Il nostro ambasciatore a Tripoli ha vissuto il cambio di marcia nella strategia sui migranti del Viminale, partita nel giugno del 2017 con l’allora ministro Marco Minniti, e passato poi a Matteo Salvini. Certo ci ha messo anche del suo, come ad esempio il tweet del 13 luglio: “Sarebbe bello rivedere una fiammante Ferrari lungo le strade di Tripoli”, con immagini della Libia ai tempi del colonialismo fascista. Un cinguettio che ha suscitato reazioni su entrambe le sponde. Poi è finito sotto attacco da parte di un membro della Commissione parlamentare per gli Affari esteri del Parlamento di Tobruk che lo ha definito “persona non grata”. Secondo il politico della Cirenai- ca, il nostro ambasciatore si sarebbe esposto, in un’intervista tv, a favore di un rinvio delle elezioni, argomento molto sensibile su tutto il territorio, seppur frammentato, del Paese nordafricano. Parole definite lesive e una chiara interferenza negli affari interni. Perrone ha risposto con una nota ufficiale: “Nell’intervista del 4 agosto all’emittente Libya Channel, l’ambasciatore Perrone non ha mai chiesto di posticipare le elezioni. Al contrario ha affermato che tale decisione spetti solo ai libici, senza ingerenze”.
DAGLI AMBIENTI diplomatici italiani è emerso come si sia trattato di un equivoco, innescato dal membro della Commissione e poi alterato nel passaggio tv. Bomba disinnescata, per ora. Cattivi segnali inviati al Viminale, con l’attuale primo inquilino in visita già due volte in Tripolitania, ma con mire di dialogo anche con la controparte nemica, ossia il generale Khalifa Haftar. Il leader della Cirenaica non ha mai nascosto l’ostilità nel confronto del blocco politico internazionale in appoggio al Fayez al- Serraj che comprende Francia e l’Ue oltre all’Italia. Così come Salvini non ha mai nascosto la simpatia per la Russia di Putin, al contrario principale partner strategico del governo di Tobruk.
I VIAGGI E GLI INCONTRI bilaterali si sprecano: Salvini in Egitto da al-Sisi per mettere una parole buona con Haftar, lo stesso generale in Niger per chiedere al presidente Issifou di non dare retta all’Italia e di fare accordi con lui sulla linea di confine del deserto tra i due Paesi, coinvolgendo pure il Ciad. In mezzo c’è il ruolo del nostro ambasciatore, competente per solo un terzo del travagliato territorio libico. Quello dove si gioca la partita dei migranti. C’era Perrone il 25 giugno ad accompagnare Salvini nella visita al centro di accoglienza profughi di Tripoli. Una sorta di ostello di lusso dove accogliere 460
“casi vulnerabili”, realizzato davanti a una delle prigioni per migranti, Trik al-Sikka, un inferno dove marciscono fino a duemila migranti in condizioni spaventose (stesso discorso per Trik al-Matar, Tajoura e gli altri). Si tratta dell’hub dei centri di detenzione co-gestiti anche da Oim e Unhcr. Nel video diffuso proprio da Salvini si vede l’ambasciatore guidare la delegazione tra letti a castello, frigobar, impianti di aria condizionata e spiegare i dettagli al ministro. Centro pronto già all’epoca e invece, come confermato dai nostri ambienti diplomatici di Tripoli, ancora in attesa di superare gli ultimi ostacoli burocratici. Rappresentanza diplomatica soddisfatta dal lavoro nei centri di detenzione “ufficiali”, grazie anche al grande lavoro delle nostre ong.
Sarebbe bello rivedere una fiammante Ferrari lungo le strade di Tripoli