Il grande piano per lo sport: più consulenti che impianti
Nelle mani del Coni Stanziamento da 500 milioni. Dopo tre anni esperti “strapagati” e lavori in ritardo: pronto solo il 10% delle opere
ARoma sono spuntati un paio di playground nei parchi, a Monopoli (Bari) è stata sostituita la pedana di un’associazione ginnica. In entrambi i casi, c’era l’ex ministro Luca Lotti a tagliare nastri, stringere mani, raccogliere consensi. E ancora: una pista di pattinaggio è stata rifatta a Montese (Modena), alla modica cifra di 100 mila euro; a Cortemilia, frazione di Cuneo, è quasi pronto uno sferisterio per la pallapugno da 90 mila euro.
Non c’è tanto di più nel bilancio di “Sport e periferie”, il grande piano per l’impiantistica sportiva dei governi Pd, per cui tra 2015 e 2020 è stato stanziato oltre mezzo miliardo. I soldi effettivamente spesi sono molti di meno, neanche 10 milioni, tra ritardi e pasticci. Il secondo bando è stato azzerato dal nuovo esecutivo, che ha idee un po’diverse dal precedente. Intanto, però, il fondo si è ingrossato. Si è addirittura sdoppiato tra Coni e presidenza del Consiglio, perché ogni istituzione vuole la sua fetta di torta. Ha distribuito laute consulenze.
Il programma nato sull’asse Coni-Pd
“Ho parlato col premier Matteo Renzi e lo ringrazio perché ha messo a disposizione 100 milioni per le infrastrutture”: siamo a fine 2015 e l’elogio pubblico di Giovanni Malagò annuncia il lancio del piano, sull’asse Coni-Pd che ha caratterizzato gli ultimi 5 anni di sport italiano. Tanti soldi per rifare gli impianti fatiscenti del Paese: chi poteva essere contrario? L’iniziativa, però, si è trasformata in un nuovo centro di potere, che per le amministrazioni locali rappresenta una lotteria con cui rifare o costruire gratis stadi e palazzetti, mentre a chi lo gestisce garantisce influenza e prestigio.
Lo dimostra l’esito del primo bando. A novembre 2017 è stata riaperta la pista di atletica di Barletta dedicata a Pietro Mennea: un grande spot a cui erano tutti presenti, Lotti e Malagò, dirigenti locali e nazionali. Stesso discorso per lo stadio di Amatrice, ricostruito dopo il terremoto. Lontano dai riflettori, però, gli altri interventi urgenti sono fermi, non è stata aggiudicata neanche la gara d’appalto. Lo stesso per il piano pluriennale: completati solo 18 su 185 cantieri, il 10%. Dentro c’è un po’ di tutto: luci nuove per l’hockey a Genova, le gradinate dello stadio di Poggibonsi, un impianto di canoa a Verona, un paio di campi da tennis in Piemonte. Non è chiaro qua- le sia lo spirito del programma (piccoli interventi per gli amatori o medio-grandi opere per i Comuni?), né perché debba essere finanziato un mega-palazzetto da 3 milioni a Fasano (Bari), il più caro del lotto. Della rivoluzione sul territorio per ora non c’è traccia. Intanto il Coni ha già incassato tutti i 100 milioni, di cui a bilancio risultano utilizzati 6,5: il resto sono nella pancia del Comitato, in attesa di essere spesi.
Le consulenze tra politica e Aniene
Uno degli aspetti più controversi è proprio l’affidamento voluto da Renzi di un piano così oneroso all’ente presieduto da Malagò. Il governo ha abdicato a una materia di sua competenza, il Coni non si è tirato indietro, muovendosi con la consueta disinvoltura. Nell’a s se g na z i on e delle opere (fuori dal Codice dei contratti pubblici) e degli incarichi. Invece di ricorrere gratis al personale statale ( come previsto dalla legge che ha istituito il fondo), ha distribuito ricche consulenze, rigorosamente per affidamento diretto, senza selezione pubblica: da marzo 2017 a fine 2018, 330 mila euro al “program manager” Piercarlo Rampini, architetto che non è stato pescato nella P.A. ma tra le file del Pd (mandatario elettorale di Roberto Giachetti alle ultime Politiche); 145 mila per il “coordinamento tecnico” a Luca Braguglia, che invece viene dal circolo tanto caro a Malagò, di cui è socio e in parte pure ideatore (ha curato i lavori dell’Acquaniene).
Il bando fa girare un mondo: 50 mila euro per il funzionamento della commissione, 38 mila (a Kpmg, la stessa società che revisiona i bilanci Coni) per uno studio sull’impatto del progetto sul tasso di criminalità, 2 mila euro di noleggio bus, 2.500 per un servizio fotografico a Palazzo Chigi, persino 475 euro di targhe per i nuovi uffici. Gli impianti, invece, non si vedono. La colpa non è tutta del Coni: quando si è trattato di firmare la convenzione, 130 Comuni sono spariti, frenati da carenza di personale, progetti scritti male, documenti mancanti.
Il nuovo governo e il bando conteso
Di fronte a questi problemi, sarebbe stato forse il caso di fermarsi un attimo, per perfezionare la procedura.
Ma a fine 2017 eravamo ormai in piena campagna elettorale e l’ex ministro
Lotti ha accelerato, promettendo altri 175 milioni con cui finanziare a pioggia tutti i piccoli interventi. È rimasto uno slogan: parte di quei soldi è bloccata e il secondo bando è stato fermato dal nuovo governo gialloverde.
Alla base della decisione c’è il cambio delle somme a disposizione, ma anche una certa differenza di vedute sulla gestione: a Palazzo Chigi ora pretendono più trasparenza, forse meditano di riprendersi l’ambito fondo. Del resto l’operazione è già partita alla fine della scorsa legislatura: il 28 febbraio (una settimana prima del voto) una delibera Cipe ha stanziato 250 milioni di euro, stavolta però assegnati all’Ufficio per lo sport.
Il Coni rivede il suo bando, il governo si prepara a lanciarne uno suo. E il“tesoro” continua a lievitare: tra i primi 100 milioni già erogati, e le risorse stanziate (ma non ancora finanziate) in legge di stabilità, fondo per gli investimenti e di coesione sociale, potenzialmente ci sono 540 milioni a disposizione. Ce n’è abbastanza per rimodernare l’impiantistica di base di tutto il Paese. Oppure spartirsi soldi, consulenze e lavori senza cambiare quasi nulla per lo sport italiano.
Cantiere aperto
A fine 2017 spesi 6,5 milioni su 100 Il resto nelle casse dell’ente di Malagò