Il Fatto Quotidiano

Il peggio degli chef scatena Gabanelli e gli “esperti” web

Ossessione Rabbia degli chef e applausi del pubblico per Milena che critica un piatto stellato. Su Internet tutti esperti improvvisa­ti

- » LUCA SOMMI

Milena Gabanelli è troppo credibile. Anche quando scherza viene presa tremendame­nte sul serio. Come le è capitato qualche giorno fa quando, tra il serio e il faceto, ha postato su Facebook la foto di un piatto di un ristorante stellato, con tre microscopi­ci assaggi di qualcosa, commentand­o così: “Questo è un antipasto. Non so cosa ho mangiato perché non sono riuscita a sentire il sapore (merluzzo mantecato c’era scritto). Ma questi chef...?!”. Seguito a ruota da un altro altrettant­o tranchant : “Ero ospite. Comunque il ristorante è piuttosto caro e i tavoli tutti occupati. Significa che le persone gradiscono questa lieve forma di masochismo…”. Apriti cielo: da un lato applausi scrosciant­i dal popolo del web, dall’altro i rimbrotti degli addetti ai lavori – Gambero Rosso su tutti – che le hanno rimprovera­to una superficia­lità dannosa. Diciamo che nell’era di TripAdviso­r, dove tutti commentano tutto senza sapere niente, l’epilogo era scontato: osanna di qua, vade retro di là. La Gabanelli ha poi scritto che il post era un po’ così, per farsi due risate, ma non è bastato, la categoria si è offesa e sono arrivate di corsa le bacchettat­e. Tipo che quello non era un antipasto bensì una muse-bouche – diverti-bocca, letteralme­nte – che è quel piatto spesso offerto da ristorante come benvenuto prima dell’antipasto (a caval donato non si dovrebbe guardare in bocca, questo il senso). E il fatto che lei non abbia citato il ristorante non conta, in Italia scherza coi fanti ma lascia stare i santi, e gli chef. Cose che capitano, soprattutt­o di questi tempi.

COME QUELL’AVVE NTORE del locale di Carlo Cracco che, qualche settimana fa, ha messo sul web lo scontrino con i 41 euro pagati per 3 spremute e 2 bottiglie d’acqua. Il solerte avventore, però, invece degli applausi dal web s’è beccato del coglione, con commenti tipo “Svegliati, prima guarda i prezzi!” o “Se la spremuta la bevevi al bar sotto casa invece che da Cracco spendevi meno”. Ergo: coglione due volte.

E per fortuna che Ferran Adrià ha chiuso il suo El Bulli nel 2011, altrimenti sai i commenti social sulle lingue d’oca che serviva sguarnite nel piatto, quasi invisibili. Ora riapre nel 2019, speriamo abbia messo in conto gli webeti. Perché poi è così, tutti si sentono in grado di giudicare un piatto anche se pochi ne hanno le competenze, al di là del mi piace/non mi piace.

PER VALUTARE UN PIATTO, lo abbiamo ribadito più volte, serve studio: conoscere i gusti primari, gli aromi, la texture, i punti di fusione e via dicendo. Poi il piatto può anche non piacere – de gustibus… – però per capire se è fatto ad arte o meno bisogna studiare. Esattament­e come quando si guarda un’opera d’arte contempora­nea, a molti viene facile dire la sciocchezz­a “questa la facevo anch’io!”: sì, ma guarda caso non l’hai fatta e nulla sai della storia dell’arte. Sarebbe troppo semplice dire che dietro al lavoro di un grande chef ci sono ricerca, idea, studio, ingegno, materie prime, servizio, posate, tovaglie – sì, anche le tovaglie hanno un costo, soprattutt­o se sono di lino com e a ll ’ H a rr y’s bar e, ovviamente, vanno lavate tutti i giorni. Mica come in alcune trattorie, ma anche in alcuni ristoranti di livello, dove per eliminare la voce di costo “lavanderia” hanno eliminato direttamen­te le tovaglie, sostituite da quelle di carta o niente. Oppure se vai dai fratelli Tamani all’Ambasciata di Quistello, dove oltre ai piatti succulenti i tappeti sono veri persiani, le tovaglie di pregio, le posate d’argento e le tazze tutte Royal Albert: queste cose hanno un prezzo, anche se l’analfabeta che poi si scatene- rà a commentare non lo sa. E che ne sa, sempre lui, il leone da tastiera, se nel risotto al vino rosso Gianfranco Vissani magari usa del Romanée-Conti – una volta è successo, elogio alla follia di Vissanone – e non del vino qualunque? Se il gonzo non legge i prezzi figuriamoc­i gli ingredient­i.

E tutti dovrebbero sapere che dietro alle leccornie dei grandi chef non ci sono solo i nomi, talvolta bizzarri, delle portate, ma tanto sacrificio e poco guadagno – se vuoi guadagnare apri una pizzeria, mica un ristorante stellato.

Gianni Brera sosteneva che in qualsiasi bettola della Bassa lombarda si mangiasse meglio che nel più celebre ristorante di Francia. Non era vero, ma oggi il web lo avrebbe osannato. E lui, c’è da giurarci, si sarebbe indispetti­to. Perché lo sapeva, lui cresciuto brado fra i paperi e le oche, di vivere in un Paese “di quasi tutti conformist­i sornioni”.

Le qualità nascoste Nei ristoranti de luxe non si paga solo il cibo, ma l’intero ambiente Questo è un antipasto Non so cosa ho mangiato perché non sono riuscita a sentire il sapore (merluzzo mantecato c’era scritto). Ma questi chef...?!

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Ansa Amusebouch­e L’assaggio fotografat­o dalla Gabanelli (a sinistra)
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