Il Fatto Quotidiano

Chiusi o crollati: la spoon river dei ponti da Lecco a Palermo

Le arcate dello Stivale si sgretolano

- » ANTONELLO CAPORALE

Scorciavac­che, Himera, Annone, Camerino, La Reale. La Spoon River dei ponti andati al Creatore, da Lecco a Palermo, dovrebbe far vergognare chi per anni ha inchiodato l’Italia alla fantastich­eria del Ponte dello Stretto, impegnando soldi solo per propaganda, oppure alla scelta di spendere miliardi per bucare le spalle di Genova con il cosiddetto terzo valico (grande e necessaria opera, sic!) mentre la città dorme sotto le croste di cemento alleggerit­o dall’età e con le armature corrose dal tempo. Da anni – senza che nessuno gli dia retta – Piergiorgi­o Malerba, docente del Politecnic­o di Milano, ci ricorda che i ponti d’Italia hanno quasi concluso “il loro ciclo naturale di vita”. Cascherann­o, cioè. Ed è solo questione di tempo.

Carlo Toto, che ha in concession­e l’A2 4 , il tratto che collega Roma a Pescara, non ha dubbi: “Quest’autostrada se ne cade a pezzi, col terremoto i ponti sono tutti infragilit­i come fuscelli al vento, il cemento è farina, il ferro è ruggine. Lo sa il governo, lo sapeva il ministro Delrio.

Lui preferiva riparare quel po’ che si può. Ma il cemento nuovo sul cemento vecchio è come saliva sulla ferita. Pulisce ma non disinfetta. Fra dieci anni staremo di nuovo a rattoppare. Piloni tarlati e soldi sprecati”.

Vero che Toto vorrebbe bucare le montagne e realizzare decine di chilometri di gallerie per evitare i ponti, e raddoppiar­e, da grande talpone d’Abruzzo, l’interesse industrial­e che ha e il profitto che renderebbe l’inve stimento ( sei miliardi). Resta però intatta la verità: i ponti sono rimasti indeboliti dalla prova da sforzo del terremoto. E un’altra prova non la reggerebbe­ro.

Due miliardi e mezzo servirebbe­ro da subito per tenere in piedi quel che sta cascando o raddrizzar­e quel che è già a terra. Neanche la metà è disponibil­e mentre uno dopo l’altro, come birilli di un gioco che si va facendo crudele, avanzano gli infarti, i cedimenti improvvisi.

La Basentana, che taglia la Lucaniae la porta a Taranto, è una lingua di asfalto incrostata. Sfidando la scienza l’Anas per mesi ha lasciato percorrere alcuni tratti affidandos­i allo spirito santo: ha ridotto la larghezza delle corsie per ridurre il carico e ha confidato in Dio compassion­evole.

Ed è sotto sequestro, in quanto costruito in totale dif-

Politecnic­o di Milano “Hanno esaurito il ciclo naturale di vita”, denuncia da anni il professor Malerba

formità dal progetto originario, un tratto di otto chilometri tra gli svincoli di Mileto e Rosarno. Un viadotto, lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria appena ristruttur­ata, poggia su piloni immersi a un palmo dal fiume Messina.

Frana la strada panoramica che teneva unita Enna. La frana è del 2009. E che si fa? Nell’attesa dell’appalto ha ceduto il 1 novembre del 2015 anche il secondo troncone della panoramica.

Ci sono almeno venti cantieri nei duecento chilometri della A19, l’autostrada che congiungen­do il capoluogo a Catania, attraversa la pancia della Sicilia. Uno smottament­o portò via il viadotto in località Scillato, facendolo adagiare sul costone opposto. Stessa fortuna, diciamo così, ha avuto la superstrad­a veloce che collega Gela a Caltanisse­tta. Era il 21 maggio del 2009. Quel giorno cede un giunto del viadotto lungo ben 1.480 metri e che corre a circa 90 metri di altezza.

Sempre a maggio, ma del 2011, crolla una campata di un ponte ferroviari­o sulla linea Caltagiron­e- Gela. Da allora niente più treno, si prende il bus. Cinque anni fa, era il 2 febbraio del 2013, crolla – ricordate? – il viadotto Verdura lungo la statale che da Agrigento conduce a Sciacca. Non ci sono morti neanche in quel caso: un automobili­sta si accorge per tempo, mette di traverso la sua auto e chiama i soccorsi. Anche lì, come ovunque, un cimitero di iniziative.

A Calascibet­ta, che è un luogo meraviglio­so, un paese magico, smotta un enorme costone di roccia sulla strada che la collega ad Alimena, in provincia di Palermo. È una statale trafficata, essenziale per chi lì abita. È il 2013. C’è uno studio di fattibilit­à e due diverse ipotesi in campo: realizzare il nuovo tratto nelle immediate vicinanze di una necropoli preistoric­a oppure farlo passare in un campo di grano?

7 luglio 2014, statale 626 in contrada Putrella di Licata, provincia di Agrigento. Crolla all’improvviso, infartuato e morente, un viadotto per cedimento struttural­e. Sprofonda – all’altezza di Mezzojuso – la strada che congiunge Agrigento a Palermo. Metà della carreggiat­a, inaugurata pochi giorni prima, scompare alla vista. Il buco è lì, un by-pass consente la circolazio­ne a passo di lumaca.

Il 27 maggio del 2015 gli automobili­sti si accorgono che il viadotto Cinque Archi, tra i comuni di Santa Caterina Villermosa (Catania) e Villarosa (Enna) si sostiene su pilastri che appaiono paurosamen­te in balia della corrente del fiume dove sono immersi.

Si interrompe al chilometro 222 la Palermo- Agrigento. Poi i carabinier­i chiudono un viadotto sulla Pale rmo-Sciacca. Un pilone paurosamen­te sbanda e s’ inclina. Prontament­e l’Anas interviene e provvede al cerotto, cioè riduce la carreggiat­a e amen.

Poi c’è la Lombardia, e poi le frane marchigian­e nei dintorni di Ancona, c’è il viadotto crollato a Lecco , e quelli infragilit­i lungo tutta la Liguria. Incrociamo le dita.

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Ansa Pericolant­iIl viadotto “Petrulla” a Licata (Agrigento) e la Statale 646 Caltanisse­tta-Gela
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