Il Fatto Quotidiano

La nuova versione di Vanni: “Ce l’ha ordinato il medico”

Sesta puntata dedicata ai delitti di Firenze Anche Lotti, il terzo “compagno di merende”, rivela che un dottore pagava Pacciani per procurarsi i lembi di seno e di vagina delle vittime È Narducci, ripescato nel lago

- » DAVIDE VECCHI (6. continua)

“Io andavo a fa’ delle merende, si faceva delle merende”. Lotti, Pacciani e Vanni apparivano credibili come autori dei delitti del mostro? Gli identikit e i giornali raccontava­no di un medico dotato di un’intelligen­za non comune, capace di sfuggire agli inquirenti per oltre due decenni. Quei tre personaggi improbabil­i al massimo potevano essere semplici guardoni o la manovalanz­a guidata da altre menti. Seconde file. Comparse.

I panni perfetti da indossare anche per l’opinione pubblica li confeziona involontar­iamente Vanni. Durante il processo nei confronti di Pacciani come responsabi­le dei delitti, l’ex postino viene interrogat­o come suo amico. Quando il pubblico ministero gli chiede quale fosse la sua occupazion­e, Vanni risponde: “Io sono stato a fa’ delle merende co’ Pacciani, no?”. Da allora i tre diventano i compagni di merende. Durante i successivi numerosi interrogat­ori l’ex postino non dirà molto altro. E sarà condannato insieme a Lotti come complici di Pacciani nei delitti al mostro. I compagni di merende, appunto. Ma dov’è il chirurgo? E perché sui conti correnti postali del contadino di Mercatale erano stati compiuti versamenti consistent­i sempre pochi giorni dopo i duplici delitti? Da chi arrivavano quei soldi?

NONOSTANTE le condanne a carico dei tre, seppur poi Pacciani otterrà la revisione del processo e morirà prima che sia nuovamente celebrato, la loro responsabi­lità come unici autori ha sempre lasciato dubbi. In primis negli stessi inquirenti che non hanno mai interrotto le indagini ipotizzand­o un livello superiore. Nel 1997 è una testimonia­nza sempre di uno dei compagni di merende a fornire indicazion­i. Giancarlo Lotti nel corso di un’udienza, dopo aver ammesso tra mille reticenze e contraddiz­ioni di aver partecipat­o a 4 degli 8 duplici omicidi, scandisce: un dottore pagava Pacciani per procurarsi i lembi di seno e vagina strappati alle vit- time. Non aggiunge molto. Dice di aver visto questo dottore soltanto una volta in piazza a San Casciano e da lontano mentre parlava con Vanni e che fu proprio Vanni a dirgli che quello era “il dottore che pagava Pacciani” quando decidevano di “fare un lavoretto”.

Il pm fiorentino Paolo Canessa e gli uomini della squadra mobile hanno ritenuto sin da subito fondata l’ipotesi, sulla base, dissero già allora, di numerosi riscontri. Ma sarà il pm di Perugia Giuliano Mignini a individuar­e il nome di un dottore e di altri suoi complici ritenendol­i il “secondo livello”. Si chiama Francesco Narducci, è un medico annegato nel Lago Trasimeno l’8 ottobre 1985, un mese dopo il duplice omicidio degli Scopeti: l’ultimo del mostro.

Nel 2002, nel corso di un’in- dagine della squadra mobile di Perugia sul mondo dell’usura, gli inquirenti ascoltano una intercetta­zione strana. Gli strozzini cercano di convincere una donna a versare quanto deve. Se non paghi, le dicono, “ti facciamo fare la fine del dottore del lago”. Mignini svolge alcune indagini e ritiene fondato il collegamen­to con i delitti del mostro: Narducci viene riconosciu­to da molti a San Casciano. Alcuni raccontano di una sua familiarit­à con il farmacista del paese, Francesco Calamandre­i. Il pm di Perugia si confronta con il collega fiorentino da sempre impegnato sui delitti delle coppiette, Paolo Canessa. E a dare man forte alle nuove indagini c’è un nuovo superpoliz­iotto, Michele Giuttari, a capo di un’altra squadra speciale dedicata ai delitti: il Gides che si insedia all’hotel il Magnifico alle porte di Firenze, una mega opera iniziata per i mondiali di Italia 90 ma, come spesso accade, non terminata in tempo e lasciata inutilizza­ta. Diventa il quartier generale delle ennesime indagini sul mostro. Che hanno continui nuovi impulsi, soprattutt­o dal fronte perugino. Perché la vicenda di Narducci sembra un romanzo.

IL MEDICO l’8 ottobre 1985 si allontana con la sua barca nel lago Trasimeno senza mai fare ritorno. Sarà ritrovato cadavere cinque giorni dopo. Ma dalle testimonia­nze rese all’epoca e da altre nuove si scopre che la ricostruzi­one in base alla quale la morte è stata liquidata come suicidio è decisament­e lacunosa. Non è stata fatta alcuna autopsia, il cadavere non è stato portato in obitorio ma a casa, è stato immediatam­ente tumulato e dalle foto fatte il giorno del ritrovamen­to sul pontile di San Feliciano, dove viene riportato, c’è una ressa di autorità che neanche alla festa della Repubblica: questore e prefetto di Perugia, generali, comandanti. Il medico legale dice di aver subìto pressioni affinché non disponesse l’autopsia. Mignini decide di riesumare Nar- ducci e ritiene che ci sia stato uno scambio di corpi: quello ripescato non è del medico. Così indaga per occultamen­to e sostituzio­ne di cadavere tutti quelli che erano sul pontile e i familiari di Narducci. Nel frattempo la procura di Firenze, dopo accertamen­ti svolti da Giuttari, ricostruis­ce il presunto secondo livello e indaga Francesco Calamandre­i, il farmacista di San Casciano, come mandante.

Pochi mesi dopo, nel giugno 2005, anche la procura di Perugia invia un avviso di garanzia a Calamandre­i: è accusato di aver ordinato l’omicidio di Narducci. Il farmacista, secondo gli inquirenti, insieme al medico, “guidava” i compagni di merende, ma dopo l’ultimo duplice omicidio, Narducci non voleva fermarsi come le altre volte, stava diventando un pericolo. Per questo lo ha fatto eliminare fingendone l’annegament­o nel Lago. Una ricostruzi­one suggestiva. Ma con pochi riscontri. Infatti finisce in nulla. A Perugia vengono tutti assolti. Anche a Firenze le accuse cadono. Calamandre­i viene assolto nel maggio 2008 perché “il fatto non sussiste”.

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