La nuova versione di Vanni: “Ce l’ha ordinato il medico”
Sesta puntata dedicata ai delitti di Firenze Anche Lotti, il terzo “compagno di merende”, rivela che un dottore pagava Pacciani per procurarsi i lembi di seno e di vagina delle vittime È Narducci, ripescato nel lago
“Io andavo a fa’ delle merende, si faceva delle merende”. Lotti, Pacciani e Vanni apparivano credibili come autori dei delitti del mostro? Gli identikit e i giornali raccontavano di un medico dotato di un’intelligenza non comune, capace di sfuggire agli inquirenti per oltre due decenni. Quei tre personaggi improbabili al massimo potevano essere semplici guardoni o la manovalanza guidata da altre menti. Seconde file. Comparse.
I panni perfetti da indossare anche per l’opinione pubblica li confeziona involontariamente Vanni. Durante il processo nei confronti di Pacciani come responsabile dei delitti, l’ex postino viene interrogato come suo amico. Quando il pubblico ministero gli chiede quale fosse la sua occupazione, Vanni risponde: “Io sono stato a fa’ delle merende co’ Pacciani, no?”. Da allora i tre diventano i compagni di merende. Durante i successivi numerosi interrogatori l’ex postino non dirà molto altro. E sarà condannato insieme a Lotti come complici di Pacciani nei delitti al mostro. I compagni di merende, appunto. Ma dov’è il chirurgo? E perché sui conti correnti postali del contadino di Mercatale erano stati compiuti versamenti consistenti sempre pochi giorni dopo i duplici delitti? Da chi arrivavano quei soldi?
NONOSTANTE le condanne a carico dei tre, seppur poi Pacciani otterrà la revisione del processo e morirà prima che sia nuovamente celebrato, la loro responsabilità come unici autori ha sempre lasciato dubbi. In primis negli stessi inquirenti che non hanno mai interrotto le indagini ipotizzando un livello superiore. Nel 1997 è una testimonianza sempre di uno dei compagni di merende a fornire indicazioni. Giancarlo Lotti nel corso di un’udienza, dopo aver ammesso tra mille reticenze e contraddizioni di aver partecipato a 4 degli 8 duplici omicidi, scandisce: un dottore pagava Pacciani per procurarsi i lembi di seno e vagina strappati alle vit- time. Non aggiunge molto. Dice di aver visto questo dottore soltanto una volta in piazza a San Casciano e da lontano mentre parlava con Vanni e che fu proprio Vanni a dirgli che quello era “il dottore che pagava Pacciani” quando decidevano di “fare un lavoretto”.
Il pm fiorentino Paolo Canessa e gli uomini della squadra mobile hanno ritenuto sin da subito fondata l’ipotesi, sulla base, dissero già allora, di numerosi riscontri. Ma sarà il pm di Perugia Giuliano Mignini a individuare il nome di un dottore e di altri suoi complici ritenendoli il “secondo livello”. Si chiama Francesco Narducci, è un medico annegato nel Lago Trasimeno l’8 ottobre 1985, un mese dopo il duplice omicidio degli Scopeti: l’ultimo del mostro.
Nel 2002, nel corso di un’in- dagine della squadra mobile di Perugia sul mondo dell’usura, gli inquirenti ascoltano una intercettazione strana. Gli strozzini cercano di convincere una donna a versare quanto deve. Se non paghi, le dicono, “ti facciamo fare la fine del dottore del lago”. Mignini svolge alcune indagini e ritiene fondato il collegamento con i delitti del mostro: Narducci viene riconosciuto da molti a San Casciano. Alcuni raccontano di una sua familiarità con il farmacista del paese, Francesco Calamandrei. Il pm di Perugia si confronta con il collega fiorentino da sempre impegnato sui delitti delle coppiette, Paolo Canessa. E a dare man forte alle nuove indagini c’è un nuovo superpoliziotto, Michele Giuttari, a capo di un’altra squadra speciale dedicata ai delitti: il Gides che si insedia all’hotel il Magnifico alle porte di Firenze, una mega opera iniziata per i mondiali di Italia 90 ma, come spesso accade, non terminata in tempo e lasciata inutilizzata. Diventa il quartier generale delle ennesime indagini sul mostro. Che hanno continui nuovi impulsi, soprattutto dal fronte perugino. Perché la vicenda di Narducci sembra un romanzo.
IL MEDICO l’8 ottobre 1985 si allontana con la sua barca nel lago Trasimeno senza mai fare ritorno. Sarà ritrovato cadavere cinque giorni dopo. Ma dalle testimonianze rese all’epoca e da altre nuove si scopre che la ricostruzione in base alla quale la morte è stata liquidata come suicidio è decisamente lacunosa. Non è stata fatta alcuna autopsia, il cadavere non è stato portato in obitorio ma a casa, è stato immediatamente tumulato e dalle foto fatte il giorno del ritrovamento sul pontile di San Feliciano, dove viene riportato, c’è una ressa di autorità che neanche alla festa della Repubblica: questore e prefetto di Perugia, generali, comandanti. Il medico legale dice di aver subìto pressioni affinché non disponesse l’autopsia. Mignini decide di riesumare Nar- ducci e ritiene che ci sia stato uno scambio di corpi: quello ripescato non è del medico. Così indaga per occultamento e sostituzione di cadavere tutti quelli che erano sul pontile e i familiari di Narducci. Nel frattempo la procura di Firenze, dopo accertamenti svolti da Giuttari, ricostruisce il presunto secondo livello e indaga Francesco Calamandrei, il farmacista di San Casciano, come mandante.
Pochi mesi dopo, nel giugno 2005, anche la procura di Perugia invia un avviso di garanzia a Calamandrei: è accusato di aver ordinato l’omicidio di Narducci. Il farmacista, secondo gli inquirenti, insieme al medico, “guidava” i compagni di merende, ma dopo l’ultimo duplice omicidio, Narducci non voleva fermarsi come le altre volte, stava diventando un pericolo. Per questo lo ha fatto eliminare fingendone l’annegamento nel Lago. Una ricostruzione suggestiva. Ma con pochi riscontri. Infatti finisce in nulla. A Perugia vengono tutti assolti. Anche a Firenze le accuse cadono. Calamandrei viene assolto nel maggio 2008 perché “il fatto non sussiste”.