E intanto il Pd lacrima per il titolo in Borsa e le fake news (degli altri)
Lo psicodramma del Pd successivo al disastro del ponte Morandi è tutto in due lanci Ansa. Il primo è delle 11.09, di quelli evidenziati con le tre crocette: “Fischi dai cittadini presenti alle esequie di Stato hanno accolto alcuni parlamentari del Pd, mentre applausi prolungati si sono levati per i rappresentanti del governo”. Di quei fischi hanno fatto le spese una politica genovese di lungo corso come l’ex ministra Roberta Pinotti e, soprattutto, il segretario pro tempore del Pd Maurizio Martina.
Il secondo è delle 16.40 ed è un comunicato del deputato Michele Anzaldi: “Presenterò un esposto alla Corte dei Conti e all’Agcom per sapere se è lecito che il portavoce di Palazzo Chigi, pagato coi soldi degli italiani per curare la comunicazione istituzionale del governo, inondi la stampa di sms per fare falsa propaganda contro un partito di opp os i z io n e”. Anzaldi vuol chiedere conto alla magistratura e all’Authority di un messaggio inviato da Rocco Casalino sulla chat con cui interloquisce coi giornalisti a proposito dei fischi al Pd: “Sono curioso di leggere i giornali di domani”. Inelegante, ma nulla di più. Anzaldi forse non ricorda che la chat a Palazzo Chigi fu un’invenzione del predecessore di Casalino, Filippo Sensi, oggi deputato Pd, cui una volta scappò (per errore) persino un sms di questo tenore: “Proviamo a menare Di Battista sul discorso della Libia ricordandogli l’Isis”.
È SOLO L’ULTIMA reazione irrazionale seguita al crollo di Genova di un partito che riesce ad avere completamente torto pure quando ha parzialmente ragione. Luigi Di Maio, finché non presenterà prove che al momento non esistono, sbaglia quando parla dei finanziamenti alle campagne elettorali di Renzi (l’ultima traccia è del 2006), anche se i rapporti tra Autostrade/ Benetton e il mondo del centrosinistra (e la politica in generale) sono innegabili e Il Fatto ne ha dato conto venerdì. La reazione, al di là dello scontro col capo politico grillino, è una campagna di psicopolizia sui social: “Segnaleremo ogni caso a seconda della gravità a Facebook, all’Agcom, alla polizia postale. Uno per uno”, annuncia Matteo Orfini, che pubblica pure un modulo già pronto per la delazione porta a porta.
Chi ha in odio le fake news, poi, non dovrebbe insistere sulla cosiddetta Gronda, “il progetto alternativo al ponte Morandi” (il deputato Luciano Nobili) osteggiato dai Cinque Stelle: “Il ministro Toninelli ha delle responsabilità per quanto successo a Genova, basta rivedere questo video in cui contempla la cancellazione della Gronda”, twittava il senatore Ernesto Magorno. Da qui la surreale richiesta di dimissioni di Toninelli (“se non se ne va lui, lo cacciamo noi”, ha esagerato Davide Faraone). Basti dire che la Gronda non era affatto un progetto per sostituire il ponte Morandi e che se ne parla dagli anni Ottanta in una Regione a lungo governata dal centrosinistra.
Poi c’è la difesa degli azionisti di Autostrade, francamente ridicola. Prima la revoca della concessione serviva “per assicurarsi i titoli dei giornali” (tra gli altri Marianna Madia), poi è arrivato l’avvio della procedura e allora si tratta di “un regalo” ai Benetton per il presunto maxi-risarci- mento obbligatorio (Matteo Renzi) e comunque farlo senza una sentenza, magari in Cassazione, è una cosa da “gogna medievale” ( Ri ccar do Nencini). La differenza tra reato e inadempimento contrattuale non li sfiora.
NIENTE fa più ridere, però, della questione delle perdite in Borsa seguite al disastro: “Il balletto intorno alla possibile revoca della concessione è molto strano e sicuramente richiamerà l’attenzione della Consob” (Renzi); “il Pd chiederà un’indagine: chi beneficia di queste oscillazioni di prezzo improvvise?”; il deputato Carmelo Miceli twittava addirittura a proposito di un insider trading di “clienti di Conte o Casaleggio” su Atlantia. È appena il caso di ricordare che una indiscrezione di Renzi a Carlo De Benedetti sul decreto Popolari fruttò una bella plusvalenza all’editore di Repubblica e Stampa e costò u n’inchiesta al suo broker. Non pare, poi, di ricordare richieste di interventi della Consob quando a inizio gennaio 2016 l’allora premier Renzi parlò di Mps come di “un affare” facendo schizzare il titolo del 43%. Il senso del ridicolo non è tutto, però aiuta.
Ridicole amnesie
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MICHELE ANZALDI
Il balletto sulla revoca della concessione è molto strano e sicuramente richiamerà l’attenzione della Consob
MATTEO RENZI