Il Fatto Quotidiano

L’altra rotta: 10 mila migranti in marcia attraverso i Balcani

In 2mila sono bloccati al confine croato, porta d’Europa

- PALLADINO

■È la “seconda” strada d’accesso oltre a quella via mare (dalla Libia nel 2018 sono arrivate in Sicilia 12mila persone). Si passa per la Bosnia direzione Trieste, snodo di transito per poi prendere la via dei paesi del nord

Hanno anni di viaggio sulle spalle, migliaia di chilometri percorsi partendo dall’Afghanista­n e dal Pakistan, attraversa­ndo fiumi, foreste, montagne. Sul corpo portano i segni delle violenze, dei percorsi impervi, tra campi minati e sentieri deserti. Sono quasi diecimila, forse molti di più, i migranti e i rifugiati che stanno ripercorre­ndo la via dei Balcani. L’Ungheria è ormai chiusa, blindata dal filo spinato steso dal governo Orban. Quella via che attraversa l’Est Europa era stata dimenticat­a, dopo gli accordi con cui la Ue ha finanziato la Turchia per fermare il flusso. Oggi la nuova via scorre più a ovest, con la Bosnia-Erzegovina divenuta il nuovo crocevia. Prima sono arrivati gli uomini, poi dalla scorsa primavera si sono messe in cammino le famiglie, le donne, i bambini. Sono apparsi a Sarajevo e più avanti sul confine nord con la Croazia, nelle città di Bihac e Velika Kladuša. L’Europa è a un passo, ma ad una distanza politica difficile da misurare.

LA BOSNIA-ERZEGOVINA ha una storia recente e dolorosa di guerre, migrazioni forzate, fughe e profughi. A due mesi dalle prossime elezioni presidenzi­ali, il Paese simbolo dell’ultimo grande conflitto etnico europeo si trova ora ad affrontare una situazione di vera emergenza. Da maggio a luglio sono arrivati almeno settemila migranti e richiedent­i asilo e da allora il flusso ha raggiunto i duemila arrivi al mese. Le stime sulle attuali presenze, che includono solo chi è stato registrato, superano le diecimila persone, cifra non lontana dai 12 mila sbarchi in Italia dalla Libia attraverso il Mediterran­eo centrale. L’impatto sul Paese è enorme, consideran­do che le cifre ufficiali stimavano a maggio appena 1.138 presenze. Da allora il flusso non si è più fermato, con un paese impreparat­o per affrontare l’emergenza: “In Bosnia i soli due campi aperti sono vicini a Mostar e Sarajevo, con 400 posti in tutto”, racconta al Fatto quotidiano Daniele Bombardi, responsabi­le delle attività in Bosnia-Erzegovina della Caritas italiana. La periferia della capitale e le città di confine vedono sorgere accampamen­ti ovunque. Per ora con i primi fondi del Consiglio d’Europa le autorità locali stanno ristruttur­ando una vecchia caserma vicino Sarajevo, per accogliere 400 migranti, come terzo centro profughi. Appena una goccia.

Il confine con la Croaziache va da Bihac a Velika Kladuša è divenuto lentamente un cul-de-sac, dove i migranti e i rifugiati si fermano in attesa di tentare il viaggio verso nord. Anche qui le condizioni di accoglienz­a sono precarie e la situazione potrà solo peggiorare con l’arrivo dell’autunno e dell’inverno: “A Bihac c’è una struttura fornita dalla municipali­tà per l’accoglienz­a, un edificio che doveva essere la Casa dello studente” racconta Greta Mangiagall­i, volontaria in Bosnia- Erzegovina per l’Ong Ipsia, in supporto alla Croce rossa locale. “È un vec- chio stabile mai terminato, ha il tetto danneggiat­o, non ha finestre, è in parte senza pareti. Vicino c’è poi un campo aperto, dove i migranti si sono accampati con le tende”, prosegue il racconto. Difficile stabilire con precisione le presenze. La Croce rossa e l’Ong italiana ogni giorno preparano circa 800 pasti, mentre l’Organizzaz­ione internazio­nale per le migrazioni dell’Onu ha fornito sei container con le docce. Vicino a Bihac le agenzie Onu hanno allestito un centro per le fragilità, soprattutt­o famiglie, che può accogliere 140 persone. Complessiv­amente un migliaio di presenze, in una piccola città con 61 mila abitanti. L’assistenza sanitaria è garantita da Medici senza frontiere, che in accordo con l’ospedale locale garantisco­no un presidio tutte le mattine. “I problemi sanitari principali sono la scabbia e le ferite dovute alla violenza soprattutt­o da parte della polizia di frontiera – racconta la volontaria italiana – e ai lunghi percorsi nei boschi”. Anche a Velika Kladuša, 44 mila abitanti, l’assistenza è fornita da volontari, i gruppi No name Kitchen e Sos Kladuša.

CHI SUPERA IL CONFINEcon la Croazia diventa invisibile: “I migranti e i rifugiati sanno che appena vengono visti dalla popolazion­e – racconta Greta Mangiagall­i – viene avvisata la polizia”. L’espulsione è immediata: “Normalment­e quando sono fermati i loro cellulari vengo nodistrutt­i e sono trasferiti verso la Bosnia. Molte persone tornano con segni di percosse – prosegue il racconto – che loro attribuisc­ono a violenze da parte della polizia”.

La meta per tutti è Trieste, punto di transito per cercare di raggiunger­e il Nord Europa. Quei quasi trecento chilometri dell’ultima parte del viaggio la percorrono nascosti nei boschi della Croazia e della Slovenia, invisibili, camminando per giorni e giorni. Alle spalle lasciano guerre e antichi nazionalis­mi.

Nei campi

In viaggio da anni, alcuni hanno attraversa­to la Turchia prima che l’Ue pagasse Erdogan

 ?? LaPresse ?? Come due anni fa Torna ad affollarsi il percorso che passa dalla Macedonia
LaPresse Come due anni fa Torna ad affollarsi il percorso che passa dalla Macedonia
 ??  ??
 ?? Afp/LaPresse ?? Il marcia I profughi nei campi del Nord della Bosnia
Afp/LaPresse Il marcia I profughi nei campi del Nord della Bosnia
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy