Il Fatto Quotidiano

“Io mi smarrisco tra i detersivi e amo la fisica quantistic­a”

L’INTERVISTA MAX GAZZÈ Il musicista in tour con Alchemaya il 30 sarà protagonis­ta della Festa del Fatto

- FERRUCCI

Il tono sussurrato, la leggera zeppola nella pronuncia, la confusione di un bar, complicano, a prescinder­e, qualunque conversazi­one; se poi uno ha di fronte Max Gazzè che tratta gli Esseni con la stessa naturalezz­a riservata a una moderna popolazion­e europea, o i manoscritt­i di Qumran alla stregua di un best seller da classifica estiva, allora tutto questo diventa un mix caotico, a volte spiazzante, in altre surreale. Comunque divertente. Davanti a Gazzè uno deve decidere quale bivio prendere tra una versione in stile conte Mascetti in Amici mi ei , un documentar­io di Piero e Alberto Angela, o se si è preda dei brani storici di Franco Battiato. Non basta. Al bar arriva pure vestito da perfetto motociclis­ta, dopo una gita in Harley Davidson (“In realtà è un transatlan­tico da passeggio. E da quando la posseggo ho imparato il saluto da harleysta”. Qual è? “Indice e medio ben alti, e non all’incontrari­o, altrimenti è vaffanculo all’inglese”. Per carità); piccola pausa in solitaria mentre è in tour con il suo Alchemaya, un’opera “frutto della fusione tra orchestra sinfonica e s in t et i z za t or i ”, con brani dell’ultimo lavoro più i successi storici. È lui il protagonis­ta della seconda serata del Fatto alla Festa della Versiliana (venerdì 31 agosto). Il concerto ha debuttato il 5 agosto a Roma, alle Terme di Caracalla; si è concluso con la standing ovation dei 4mila presenti.

Tutti in piedi.

E mi sono ritrovato davanti al microfono con i brividi sulla pelle e qualche lacrima negli occhi; a cinquanta e passa anni lo stupore è sempre una delle emozioni più belle da poter vivere.

Se le avessero proposto un proge t t o d e l genere trent’anni fa...

Avrei risposto: “Prima devo scrivere qualcosa di decente”.

Levante la descrive così: “Max non cade mai nella retorica dell’uomo impegnato al quale non si può chiedere nulla”.

E perché dovrei tirarmela? Comunque dipende dai contesti, quando sono al supermerca­to evito le classiche distrazion­i da selfie e domande; quando sono lì mi concentro solo sulla spesa.

Lei casalingo.

Compro il latte di capra, i succhi di frutta...

Biologico.

Questo non lo so, evito solo l’acido ascorbico per timore del bruciore di stomaco.

È un cultore dell’es oter ismo.

Già da piccolo ero un topo da biblioteca, soprattutt­o quando Internet ancora non esisteva: mi chiudevo dentro e il mondo restava fuori; poi dai libri partivo per scoprire le mie realtà.

Tipo?

Egitto, Israele, indagavo e indago la mitologia e la storia; il confine tra mitologia e storia, con riflessi esoterici, o i manoscritt­i di Qumran... Insomma, Topolino e Minni...

Aggiungo i Sumeri, l’armonia delle sfere, Pitagora, gli insegnamen­ti della geometria sacra applicata alla musica. E molto lo devo a mio padre, grande studioso di teologia.

Cattolico?

Lui molto, ogni domenica mi portava in chiesa, ma senza impormi alcunché, senza nessuna preclusion­e culturale, tanto da regalarmi dei libri sugli Esseni.

Ora anche gli Esseni?

Ho cercato di conoscere questa popolazion­e ebraica quasi misteriosa, bistrattat­a sia dalla cultura cristiana, che d a q u e l l a ebraica... Cosa ha scoperto? Erano strani, diversi, isolati per scelta, quasi degli eremiti. Affascinat­i dalla loro riflession­e. In queste letture quali risposte cerca? Non leggo per trovare risposte, anzi; leggo col l’occhio della serie televisiva, cerco di

Studio i manoscritt­i di Qumran e il popolo degli Esseni Ma non cerco risposte perché certe sono impossibil­i da scovare (per fortuna)

comprender­e le evoluzioni della storia. I misteri restano tali.

Fin quando c’è una conoscenza non conosciuta, e poi esistono delle risposte impossibil­i da scovare. E aggiungo: per fortuna. Nel qual caso...

Per me più si alza il livello di conoscenza e di coscienza, e più gli orizzonti delineati si allontanan­o, più resto affascinat­o; è come salire in cima a un albero e ammirare l’orizzonte, mentre c’è chi si accontenta di affacciars­i da una finestra di un piano basso. Più conosce meno sa.

Senza la possibilit­à di raggiunger­e la parola fine. Con i suoi figli ne parla?

Dipende dall’atmosfera e dalla condizione giusta, mica posso torturarli a pre- scindere; cerco sempre di inserire nei miei discorsi delle storielle più semplici, mi attacco a degli esempi... Ce ne dica uno.

Tipo il pensiero taoista, gli parlo di Lao Tze (antico filosofo cinese), gli racconto degli Esseni, senza perdere di vista il dato fondamenta­le: sono ragazzi. E in quei casi penso sempre alla massima orientale: “I passi del maestro sono udibili solo per chi è pronto ad ascoltarli”. L’obiettivo.

Mettere in discussion­e alcune presunte certezze acquisite dalla nostra storia; ciò che è stato interpreta­to e poi scritto non è una verità assoluta, spesso le interpreta­zioni sono errate. Viene mai frainteso?

Il più grande fraintendi- mento sono alcune verità storiche, e mi dà molto fastidio. In concreto.

In molti scritti antichi il problema è legato all’interpreta­zione dei linguaggi, riscritti svariate volte nei secoli. La storia è stata distrutta e ricostruit­a troppe volte, fin dai tempi di Gengis Khan. O la biblioteca di Baghdad o quella di Alessandri­a d’Egitto. Noi non conosciamo neanche l’un per cento di quanto è avvenuto nei millenni. Un dialogo tra lei e Battiato, com’è?

Tanti anni fa, con mio padre, sono andato a un suo concerto, portava in scena la saga del Gilgamesh (1992) e in quel momento stavo studiando tutto il poema della Creazione che si chiama Enûma Eliš... Vi siete parlati?

Quella volta no, ma nel 1996 ho aperto i concerti della sua tournée; poi un paio di anni fa siamo finiti dentro una bellissima conversazi­one a due: abbiamo dedicato un’ora solo al concetto “dell’anima che non ha tempo”. Perfetto.

Anche per gli antichi egizi il tempo era il luogo del cambiament­o; non è il tempo che cambia ma è la coscienza che si muove attraverso il tempo; poi abbiamo affrontato la materia, le interpreta­zioni, l’illusione. Questo dialogo lo ha trascritto o registrato?

E perché dovevo?

Per non perderlo.

Talmente bello da non poterlo fissare, avrebbe sminuito il suo senso, e il suo senso non è la sola parola, ma la parola amplificat­a dal messaggio subliminal­e, veicolato attraverso uno stato di contemplaz­ione reciproca. Niccolò Fabi sostiene che lei sia la parte ironica, surreale e giocosa del trio composto anche da lui e Daniele Silvestri. Noi tre siamo veramente molto diversi, ma c’è un affetto fraterno che consente di vivere le esperienze con un occhio comune; ognuno ha il suo ruolo, e con loro sono la parte goliardica del buongiorno. Resta il dubbio se teme mai di non venir capito...

In realtà non lo so, perché non ho nulla da dimostrare. Neanche da ragazzo?

Anche allora cercavo solo il senso delle azioni, poi se arrivano mi fa piacere. Lei è cattolico come suo padre?

Credere in qualcosa apre le porte a quella realtà. Non credere a niente implica lo stesso sforzo che credere in qualcosa. E...

Non rispondo a certi adattament­i legati a una forma mo- narchica bizantina in cui riconosco il Re dei Re, il trono, il regno dei cieli; se fosse andato avanti il vero significat­o del cristianes­imo, forse avrei seguito maggiormen­te il percorso. In “Basilicata coast to coast” Rocco Papaleo le ha assegnato un ruolo silenzioso “perché è difficile farla stare zitto”. (Ride) E certo, ma solo perché Rocco è musulmano.

Allora Papaleo ha ragione. È stata una scelta molto divertente, perché chi ha ispirato il mio personaggi­o è uno storico amico di Rocco, ed è stato bello costruirlo senza una parola, solo sulla musica, sull’ intenzione, sull’espression­e; senza cadere nella mimica esagerata. Camminava con stile particolar­e...

Con il baricentro leggerment­e spostato indietro: sono entrato talmente tanto nel personaggi­o da non parlare neanche fuori dalle riprese, io ero lui, mi muovevo come lui, quasi pensavo come lui. Però quel film è veramente delizioso. Nei primissimi anni Novanta è stato il componente di un gruppo formato da esuli iraniani. Dei rifugiati dall’Ayatollah Khomeini, e insieme siamo anche stati in tournée; ah suonavo pure con un gruppo punk, e un altro jazz. Sì, ma gli esuli...

Parlavamo in inglese e francese, ed era bellissimo perché la loro musica era molto melodiosa, un misto persiano-arabo con una spruzza- tina di Pink Floyd, e grazie a loro ho girato mezza Europa, dalla Germania alla Scandinavi­a, e ovunque arrivavano i rappresent­anti della comunità esule. L’emozione era vedere queste persone parlare e riallaccia­re i reciproci ricordi. Da giovane ha spesso frequentat­o lo studio di Mario Schifano. Grazie a mia moglie, conosciuta ai tempi del Locale (il disco- pub dove sono cresciuti musicalmen­te anche Fabi e Silvestri, oltre a Papaleo); era lei a conoscere Mario, ed è stata lei a presentarm­elo. Tipo particolar­e.

Mia moglie gli dava una mano, specialmen­te in alcuni momenti di sua difficoltà. Quando non era molto lucido...

Ecco, appunto. Diciamo così: lui proseguiva nei suoi percorsi mentali, e mia moglie lavorava concretame­nte; purtroppo quando ti ritrovi nelle condizioni psicofisic­he dello Schifano di quel periodo, è normale perdere le motivazion­i a iniziare la tua opera. È morto nel 1996.

Il legame tra noi era così forte che doveva diventare il padrino di nostro figlio. Lei sente lo stress d’artista?

No, sono molto sereno.

Sempre.

Vado in crisi solo al supermerca­to quando devo scegliere il detersivo. Fermo sempre qualche signora, specialmen­te adulta, e cerco soluzioni al mistero delle varie marche spiattella­te sullo scaffale. Neanche a Sanremo sente la tensione?

Lì un po’, ma a causa di tutto quello che ti circonda, visi perennemen­te preoccupat­i, angosciati, atteggiame­nti di panico; quindi lì importo questo benedetto stress. È tecnologic­o?

Mica tanto, preferisco la biologia quantica, la fisica quantistic­a... Va bene. Piero e Alberto Angela li segue?

Non accendo la television­e da circa vent’anni.

Zero.

Ogni tanto la Formula1, qualche partita di tennis e dei film. Poi basta. Roger Federer o Rafa Nadal?

Insieme formano due raggi di un bellissimo diametro.

Cosa vuole dalla vita?

Vivere coltivando l’amore per le cose, la curiosità, la passione, veder crescere i figli; vivere senza resistere ai cambiament­i.

(Canta Battiato: “Gesuiti euclidei, vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori. Della dinastia dei Ming...”).

Conversand­o con Battiato Un paio di anni fa siamo stati a parlare per un’ora del concetto che ‘l’anima non ha tempo’

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LaPresse e Ansa Festival e Concertone A sinistra Max Gazzè al Festival di Sanremo del 2000. A destra sul palco del 1° Maggio 2018 con costume ispirato all’esoterismo. In basso oggi senza maschera
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Ansa Film e trioIl cast di ‘Basilicata coast to coast’: Papaleo, Gazzè, Mezzogiorn­o, Briguglia e Gassman In basso Max con Silvestri e Fabi

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