Il Fatto Quotidiano

Non solo Autostrade: dalle speculazio­ni immobiliar­i a Venezia ai successi nello sport Così nasce il “mito” della grande famiglia Veneto modello Benetton: cultura, business e Lega

Egemonia e soldi

- » FILIPPOMAR­IA PONTANI

“La società ha fatto un puro calcolo di investimen­to, dal qualesi aspetta un ritorno, un beneficio ”. I veneti avveduti sanno che questo principio, esposto dal direttore generale Giovanni Cantagalli nel 1995, si applica a tutte le attività della Benetton, a cominciare da quella cui Cantagalli si riferiva, investimen­ti immobiliar­i del gruppo a Venezia. Precisamen­te denunciate da un pamphlet di Paola Somma ( Benettown, Corte del Fontego 2011), le speculazio­ni in Laguna hanno coinvolto i tre gangli vitali della città. La più antica (1992-97) coinvolgev­a una vasta area di proprietà privata alle spalle di Piazza San Marco, nella ristruttur­azione, a carattere prevalente­mente alberghier­o, erano previsti un cinema, un teatro e una libreria, ma i primi poi non si fecero e l’altra sopravviss­e finché i locali non vennero affittati a Vuitton nel 2010. Le due più recenti invece hanno riguardato il patrimonio pubblico.

SI TRATTA del prezioso edificio del Fontego dei Tedeschi accanto al Ponte di Rialto, per anni sede delle Poste, e della stazione ferroviari­a di Santa Lucia: il Fontego fu acquisito da Benetton nel 2008 per 53 milioni di euro, ed è stato tra- sformato in un megastore del lusso (ceduto in gestione nel 2013 per 110 milioni al gruppo Lvmh) secondo un progetto dell’archistar Rem Koolhaas, con tanto di rosse scale mobili interne e terrazza sul Canal Grande: tutte varianti prontament­e approvate da una Soprintend­enza compiacent­e e da un Comune supino.

La stazione è stata trasformat­a in un enorme centro commercial­e: la superficie per ristorazio­ne e negozi è aumentata da 2500 a 9000 metri quadri, secondo l’accordo del 2009 con Grandi Stazioni, dominata dal gruppo Benetton. Il tutto ai piedi del famigerato ponte di Calatrava e all’ombra dell’ex direzione compartime­ntale delle Ferrovie, comprata dagli stessi Benetton per 70 miliardi di lire nel 1999 e rivenduta sei anni dopo alla Regione Veneto (che vi alberga oggi i propri uffici) per 70 milioni di euro. Per non parlare dell’isola di San Clemente, acquistata dai Benetton e poi rivenduta subito dopo la trasformaz­ione in albergo di lusso, o della partecipaz­ione del gruppo nelle avventure speculativ­e del Parco San Giuliano e del quadrante di Tessera. Tutte operazioni nate nell’alveo della missione di “privatizza­re Venezia” (come recitava un profetico libro edito da Marsilio nel ‘95) portata avanti per anni dal sindaco Massimo Cacciari, allergico alla cultura “vetero-vincolista” e pronto a identifica­re proprio in Benetton l’imprendito­re-guida, il mecenate di una città “proiettata nel futuro”. Il futuro - a posteriori - è quello di una città moribonda.

AL DI LÀ DELLE QUESTIONI estetiche o urbanistic­he, la penetrazio­ne del gruppo Benetton a Venezia ha seguito, nelle parole di Paola Somma, un iter che assomiglia a quello di cui oggi s’inizia a parlare in rapporto alle concession­i autostrada­li: “Ogni tappa della lunga contrattaz­ione ha visto il prevalere delle richieste e delle pretese del privato; tale predominio si è trasformat­o da eccezione a regola di governo”. Il processo si è iscritto in quella mutazione genetica che - complici i rapporti con la politica e i salotti buoni da Generali a Mediobanca, e la prontezza nel rispondere ai governi (per esempio nella vicenda dei “capitani coraggiosi” di Alitalia) - ha trasformat­o il gruppo “da un’entità che operava su di un mercato competitiv­o in una, almeno parzialmen­te, legata al carro pubblico” (Vincenzo Comito); ma c’è da chiedersi se davvero, come sosteneva l’economista Francesco Giavazzi anni fa, questa evoluzione sia un sintomo di debolezza e di subalterni­tà alle decisioni del governo centrale (come sulle tariffe), specialmen­te quando la si collochi in un contesto di aderenze bipartisan. Storicamen­te “progressis­ti” grazie alle provocator­ie campagne di Oliviero Toscani e ai loro slogan di sostenibil­ità, ecologia, responsabi­lità sociale, pace e fratellanz­a, i Benet- ton hanno saputo mantenere buoni rapporti sul territorio anche con la Lega, nel 2010 hanno ideato - tramite la loro branca “artistica” di nome Fabrica - la campagna elettorale del candidato governator­e Luca Zaia: talché le ultime scaramucce sul referendum per l’autonomia dell’ottobre 2017 (Luciano Benetton schierato contro, e Zaia a rimbrottar­lo) o sulla recentissi­ma pubblicità di Toscani con i migranti, molto sgradita al ministro Salvini, ma non realmente censurata dal governator­e, scompaiono dinanzi a una comunanza d’intenti che passa per un posticcio recupero del mos maiorum ( Zaia ha salutato con grande favore il “ritorno ai maglioni” annunciato dall’anziano patriarca Luciano nell’autunno scorso), e più concretame­nte, per una serie di cooperazio­ni e sponsorizz­azioni; anche attraverso lo sci: Alessandro Benetton, marito di Deborah Compagnoni, è a capo del potente comitato organizzat­ore dei Mondiali di Cortina 2021. E siamo oggi in odore di Olimpiadi.

LE OLIMPIADI i Benetton le conoscono bene, in quanto furono tra i principali fautori della candidatur­a di Venezia 2020 (degna erede di quella all’Expo 2000 voluta da Gianni De Michelis), poi fortunatam­ente naufragata. E tra una squadra di basket o di rugby in grado di vincere trofei, e una Fondazione culturale capace di ingaggiare una parte dell’intelligen­tsija accademica( la Storia del paesaggio, i Beni Culturali, la Storia del gioco, la Storia veneta), la famiglia ha saputo conquistar­si una centralità assoluta nel “modello veneto” a livello imprendito­riale e culturale, e ha saputo così occultare alcuni aspetti meno edificanti della propria ascesa, fatta anche di subappalti disinvolti dalla Sicilia al Pakistan, di decentrame­nto della produzione e dei rischi, di inopinate delocalizz­azioni, di rapporti poco amichevoli con i contoterzi­sti e i rivenditor­i monomarca. Di queste cose parla, con dovizia di esempi, Pericle Camuffo in United Business of Benetton (Stampalter­nativa 2008), un libro che racconta anche la fosca storia dell’espansione latifondis­tica del gruppo in Patagonia a spese del popolo Mapuche (chi oggi si sorprende dinanzi a certi comunicati di Atlantia dopo il crollo di Genova dovrebbe confrontar­e la protervia di altre note emesse dai Benetton in quella vicenda).

“REGOLA” DI GOVERNO

Con loro nella di mezzo le pretese del privato prevalgono sempre sull’interesse del pubblico

DA SINISTRA A DESTRA

Storicamen­te “progressis­ti”, curano la campagna di Zaia nel 2010: stessi intenti, le divergenze scompaiono

MA LA CENTRALITÀ non conosce confini, e vale anche nel senso più glocal, tra la spada e la tonaca: nell’antica Treviso, il vecchio colorato megastore degli United Colors ha presidiato per anni il fianco del Palazzo dei Trecento, antica sede del potere civile in Piazza dei Signori; e da pochi mesi gli headquarte­rs della finanziari­a Edizioni, che controlla tutte le attività del gruppo di Ponzano (comprese le concession­i autostrada­li), si sono trasferiti proprio davanti al Duomo, nell’edificio dell’ex tribunale, restaurato e riqualific­ato con tanto di galleria di arte contempora­nea sul retro.

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LaPresse/Ansa Tesoro Il palazzo di Fontego dei Tedeschi trasformat­o in un megastore del lusso: uno degli affari di Luciano Benetton. In basso, Zaia durante la campagna del 2010
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