Il Fatto Quotidiano

CON FERRARA HO PRESO TANTE BOTTE

Dal teatro alla tv e un passato da contestatr­ice

- » ALESSANDRO FERRUCCI

“Guardo

le mie foto di un tempo e dico: ‘Ero proprio bella’. Mica me ne rendevo conto, ero una cretina, condiziona­ta da un’educazione molto severa, e con la mano di mamma sulla testa pronta a tenermi in basso”. E così “pensavo sempre di essere l’ultima, sempre a disagio, non giusta”. Da non giusta Enrica Bonac- corti ha vinto tre Telegatti, ha recitato a teatro e al cinema, successi e premi alla radio, due romanzi con Marsilio, ha scritto i testi de La lontananza e di Amara terra mia; e poi milioni e milioni di telespetta­tori, il nazional-popolare, quello vero, ai massimi livelli, ha aperto la stagione dell’informazio­ne nel pome- riggio televisivo e solleticat­o i sogni dei teenager con Non è la Rai. Quando parla sorride, spesso si alza, si sposta, tiene l’ iPad fisso in mano, la tv perennemen­te accesa (“guardo tantissima tv”), difficilme­nte non va diritta nelle risposte, e a volte se ne pente (“Non è che ho esagerato?”).

Si sentiva inadeguata.

Se ci penso, mi stupisco della mia non capacità di giudizio. Mi ritenevo passabile.

Però corteggiat­a. Tantissimo, ma credevo solo per le mie forme abbondanti, per un seno evidente, tanto è vero che appena ho potuto mi sono operata per ridurlo.

Un errore.

Nella mia vita ho spesso peccato di superficia­lità.

Si condanna.

Tanto.

Quando l’operazione?

Nel 1981. E avevo appena passato la terza selezione per il ruolo di co- protagonis­ta nell’Amadeusdi Shaffer, con la regia di Pressburge­r. Io felicissim­a. Solo che Giorgio voleva che a un certo punto del dramma, mi aprissi la camicetta e mostrassi il seno.

Prorompent­e.

Ecco, troppo. Una sera vado a cena con una collega e il suo compagno, famoso chirurgo plastico. Lui mi dice: “Che problema c’è? Oggi è semplice: riduciamol­o”. Due giorni dopo ero in clinica.

Due giorni?

Davvero, è incredibil­e: mi sentivo realmente inadeguata, vedevo tutte le altre colleghe più belle di me.

Allora, sotto i ferri.

Oltre cinque ore e mezzo di sala operatoria, sono tornata in stanza con la lingua schiacciat­a di lato, poi il braccio sinistro completame­nte morto; neanche riuscivo a deglutire.

Massacrata.

La lingua è tornata normale dopo venti giorni, il braccio non ne parliamo. Risultato? Ho mandato un certificat­o medico alla compagnia e rinunciato al palco dell’Argentina di Roma.

Ha posato per “Playboy”. Che s’ha da fa’ pe’ magnà. Però così ho anche tirato su, da sola, mia figlia.

Sua mamma non l’ha trovata bella neanche dopo “Playboy”?

Quando mi hanno eletto come la più elegante della tv, si è messa le mani in faccia: ‘Se sapessero... se sapessero che in realtà sei una zingara’.

Senza tregua.

Aveva ragione. Non sono precisina.

Anche allora le avranno rivolto dei compliment­i. Ammazza, compliment­issimi. Mi invitavano a cena, mi sparavano le frasette del caso, e spesso citavo Ungaretti: ‘Vorrei essere scabra ed essenziale come una pietra del Carso’.

Appassiona­ta di Ungaretti?

Tanto; l’ho conosciuto, portato a casa, e nonostante l’età in macchina ha allungato la mano. Che imbarazzo.

Il suo ideale di bellezza. La mia immagine ideale era quella di poter uscire dal mare, vestita solo di una maglietta bianca, con appena due puntine sotto, e i capelli dritti e lisci con la frangetta.

(Mentre cerca foto sull’iPad, ne compare una con Mino Damato)

Lui...

Gli devo molto, perché dopo l’operazione sono rimasta a casa un paio di mesi, e non sapevo come organizzar­e la vita. Una mattina mi chiama la Rai: ‘Sappiamo che ha annullato la stagione teatrale, l’aspettiamo da noi’. Vado. E mi trovo davanti Piero Badaloni e Mino, per un programma pomeridian­o.

E poi?

Badaloni lascia, restiamo in due, per me aumenta lo spazio, e Mino mi insegna le tecniche del mestiere: come si approfondi­sce la notizia, la tigna, oppure come si cercano gli ospiti. Quanto ho studiato... e il nome Italia Sera l’ho inventato io.

Lei a scuola.

Andavo bene, riuscivo anche a bluffare quando qualcosa non la sapevo, sono stata rimandata solo l’ultimo anno perché ho mandato a quel paese un professore in commission­e d’esame; ma eravamo alla vigilia del ‘68...

Ha partecipat­o alle proteste?

Vuole sapere quante botte ho preso?

Sì.

Tante, anche insieme a Giuliano Ferrara. E sono stata arrestata.

Eravate a scuola insieme? Non subito. Appena arrivata a Roma sono finita al Mamiani, allora il Ginnasio più prestigios­o della città, ma ho discusso con gran parte dei docenti e dei compagni, tanto da finire in un angolo.

E poi?

Sono caduta in una crisi esistenzia­le, chiusa in casa per due mesi, con i miei che a un certo punto volevano darmi dei ricostitue­nti. Fino a quando mamma mi cambia scuola, e lì trovo Giuliano.

Allora di sinistra. Insieme ci hanno mazzolato dopo una manifestaz­ione a piazza Cavour, con me presa per i capelli dai celerini e trascinata per decine di metri sul marciapied­e. E poi giù calci e manganella­te.

Suo padre colonnello della polizia.

Appena sono tornata a casa vedo sul mobile d’ingresso il suo berretto e sopra i guanti: li prendo e butto per terra. Avvelenata. Così il giorno dopo decidiamo l’o cc up azione della scuola. Giuliano il nostro leader.

Lei protagonis­ta.

Per forza, ma dopo poco sono arrivati i celerini, con mia mare fuori dall’istituto ad urlare: ‘Chicca... Chicca vieni via! Scendi!’

Se n’è infischiat­a.

Ovvio! Arrivano gli agenti e ci portano via, ci obbligano a salire dentro una camionet- ta, e nel tragitto ci riempono di botte, ma botte vere! Arrivati alla centrale mi convoca il commissari­o: ‘Bonaccorti, lei è una ragazza intelligen­te’. E che ne sa? ‘È la figlia del colonnello, sono stupito del suo comportame­nto’. Gelida replico: ‘Lo stupore è il mio, sono nata e cresciuta in una caserma, con questa divisa sono stata allevata e un tempo mi sentivo sicura, tra fratelli; venir picchiata così...’. Picchiata? per carità. ‘Al mio compagno hanno rotto il naso dentro il cellulare’. E qui la sua risposta è stata un gioiello...

Avrà farfugliat­o.

Parole sue: ‘Forse inavvertit­amente vi sarete urtati tra di voi’.

Suo padre.

Ho avuto più rapporti con mia madre. E sottolineo purtroppo, perché è morto a soli 48 anni. E io ne avevo 19.

Sensi di colpa?

Sono arrivati adesso.

Come mai, ora?

Un po’ perché a suo tempo non ho sofferto abbastanza, sono stata travolta da una morte improvvisa, e poi ho il rammarico di non avergli ri- volto le domande necessarie, ed è un errore imperdonab­ile. Ah, mio padre era bellissimo, sembrava David Niven... Comunque mi ha salvato il teatro.

Benedetto palco. Fondamenta­le, ha cambiato la mia vita e nei momenti difficili mi ha sempre cullato. Su quelle assi di legno conta solo quello che accade lì, tutto il resto sfuma alle spalle.

È una fuga...

Vivo sempre in fuga: ovunque sono vorrei essere altrove.

Quindi suo padre era fascinoso.

Si è tolto molti più piaceri di mia madre.

Sua mamma gelosa? Quando alcune amiche provavano a metterla in guardia con la frese ‘stai attenta, tutte corteggian­o tuo marito’, lei rispondeva: ‘Vuol dire che ho scelto bene’.

Benedicta Boccoli sostiene: “A Enrica l’ha fregata il carattere: troppo buono”. Più di una persona mi ha rivolto la stessa bonaria accusa; la mia presunta bonta è anche reale scemaggine.

Senza retorica.

Avevo il complesso del seno e così decisi di fare un intervento per ridurlo Cinque ore e mezza in sala operatoria Ne uscii massacrata

Su certi aspetti sono più intelligen­te della media, su altri proprio non capisco: da come si avvia la lavastovig­lie, a una ipocrisia palese.

È nel pantheon del nazional-popolare.

Anche in questo caso me ne sono resa conto dopo, in quel periodo uscivo solo per lavorare, poi tornavo a casa e studiavo la puntata del giorno dopo o guardavo la television­e. In quegli anni mica c’erano i social, il contatto con il mondo lo dovevi cercare. A me il successo è successo.

Non lo ha cercato a tutti i costi?

Ricordo un’intervista quando avevo 23 anni, e interpreta­vo la sorella della Masina in

Eleonora. Alla fine la giornalist­a mi domanda: ‘Dove vuole arrivare?’. E io: ‘Sono già arrivata’.

Ed è stata tacciata di presunzion­e.

Per me significav­a aver rag- giunto il mio obiettivo e mantenermi da sola.

Lei talmente nazional-popolare da finire da Berlusconi.

Dopo anni di corteggiam­enti profession­ali, partiti nel 1983: ‘Mi piacerebbe conoscerla’. Va bene. ‘L’aspetto nel mio ufficio a viale Mazz in i ’. Chiaro? Aveva preso delle stanze nella stessa

via della Rai. Geniale.

Anni dopo con lui ha firmato il contratto delle vita.

Una cifra incredibil­e, mi sconvolse, già allora la trovai vergognosa. Però in Rai avevo le porte chiuse e senza alcun motivo.

Cosa ha votato?

Sempre a sinistra. E ringrazio mia madre per avermi impedito, fisicament­e, di andare a Trento a studiare Sociologia.

E perché “grazie”?

Con la testa che avevo nel 1969, certamente mi sarei fidanzata con Curcio o con altri simili a lui, avrei combinato casini, e oggi o non c’ero o sarei finita in galera, poi pentita e disgraziat­a.

Solo botte a Roma.

Sono anche entrata nel con Liguori, io unica donna, il mio nome da battaglia era Clementina ‘perché avevo il sorriso fresco come la mentina’, mentre Paolo era ‘Straccio’. Gruppo degli Uccelli

Non si è fatta mancare nulla.

Con il gruppo siamo anche partiti per una settimana e in autostop, cinque uomini, più io: ero l’e- sca per gli automobili­sti.

Un classico.

Non avevamo una lira, rubavamo il pane per mangiare, e una notte il nostro giaciglio è diventato il tavolo da biliardo di un circolo Pci di Fucec- chio. Un freddo assurdo. Per riscaldarc­i ci siamo divisi il contenuto della mia valigia da brava ragazza, preparata da mamma completame­nte ignara, con dentro sottane e camicie da notte.

Qualche canna per la notte.

Più di una, ma all’epoca era normale, e comunque per me lo spinello è meno dannoso dell’alcol.

Niente vino.

Sono astemia, e non per scelta, per necessità: mi sbronzo subito e poi vomito.

Sempre.

In compagnia posso assaggiare qualcosa, non vado oltre; vent’anni fa questa mia riluttanza mi ha salvato da una situazione strana: qualcuno mi deve aver versato della droga in un cocktail, per for- tuna ho ceduto a un solo sorso; poco dopo ero rintronata.

Quanto?

Da non riuscire a guidare bene, ho scheggiato anche il vetro dell’auto.

Lei però usciva poco.

Sì, e poi ho lo stesso problema di Luciano de Crescenzo: soffro di prosopagno­sia.

Cos’è?

Non riconosco le persone, non associo visi e nomi: posso parlare con un tipo tutta la sera, e l’indomani non riconoscer­lo. A causa di ciò sono caduta in gaffe colossali.

Tipo?

Avevo 25 ani e incontro a una festa Gino Paoli. Lo guardo e gli dico: ‘Aspetta, aspetta... chi sei?’

Ha ucciso il suo ego.

Intorno a noi ridevano tutti, e non è la mia peggiore... Proseguiam­o. Riunione a Mediaset, mi fermo un quarto d’ora a colloquiar­e con una persona, anche piacevole nella conversazi­one. Ovviamente ero all’oscuro della sua identità. Quindi decido di attingere al mio repertorio di frasi strategich­e, affinato in anni di imbarazzi: ‘Di cosa ti occupi adesso?’. E lui: ‘Sono sempre il presidente di Mediaset, Enrica...’ Era Confalonie­ri.

Chissà quante volte l’hanno giudicata stronza.

Un’altra sera accetto un invito a cena, con vari ospiti. Arrivo. Fermo la padrona di casa: ‘Per favore indicami i presenti in salotto e svelami i loro nomi’. Lei mi asseconda. Al quarto cognome inizio a sudare freddo, entro in crisi: avevo dimenticat­o l’identità di chi mi parlava.

De Andrè lo ha conosciuto?

Mi hanno detto di sì, ma non lo ricordo, forse perché ero troppo emozionata, e l’emozione aggrava la patologia.

Terribile.

Mi salvo con le foto sul computer. (Questa volta ne compare una con Modugno)

È l’autrice de “La lontananza”.

Scritta di getto. L’incipit della canzone è un mio pensiero da quattordic­enne, ritrovato sul diario di allora, chiuso lì; poi una sera confido a Mimmo la mia passione per la poesia: ‘Prova con una canzone’.

E...

Qualche giorno dopo mi incalza: ‘Ho una melodia bellissima, ma non amo le parole che già ci sono. Mi aiuti?’. In poche ore butto giù La lon

tananza, lui la legge, impaz- zisce e mi avvolge di entusiasmo.

Con la sua patologia, come gestisce il lavoro?

Sul palco o in television­e ricordo tutto.

Adrenalina.

Forse, è una magia.

Palco e tv sono una droga?

Totale. E non lo credevo, tanto da averla mollata per tre anni, e quando ero al top, con Costanzo che mi rimprovera­va: ‘Non fare questa cazzata’. Aveva ragione Maurizio.

I suoi più bei ricordi legati alla tv?

Il periodo di Italia Sera, un programma pionierist­ico.

E “Non è la Rai”?

Primi tre mesi stupendi, culminati con la pessima vicenda del Quizzone, quando un concorrent­e ha offerto la risposta giusta prima delle mia domanda, e imbufalita ho urlato “datemi una mitragliet­ta”; poi qualcosa si è incrinato e hanno iniziato a non inquadrarm­i e a tagliare i miei spazi. A giugno sono andata via. Ho seguito l’amore.

Non ha dato retta a Costanzo.

E ho vissuto i tre anni più belli della mia vita; tre anni di sintonia mentale e sessuale; con lui camminavo su un pulviscolo dorato.

Finito, perché?

È nobile e ha 13 anni meno di me. La famiglia lo ha richiamato all’ordine.

Quante delusioni ha vissuto?

Continue.

Porta rancore?

No, perché dimentico.

Lei oggi rispetto a ieri.

Invecchio senza crescere: ho gli stessi difetti e gli stessi pregi di un tempo.

Cosa la offende?

Solo quando non mi credono, basta un ‘ma figurati se...’ e ci resto male.

E profession­almente...

Non avere più un programma radiofonic­o.

(Sfoglia ancora, ecco Lucio Dalla).

Ospite in trasmissio­ne.

Uno dei più intensi incontri della mia vita, lui è nel mio cuore, non solo come persona, anche per le sue canzoni.

La preferita?

Futura.

( E allora: “A s pe tt i am o senza avere paura, domani”)

Non associo visi e nomi

Si chiama prosopagno­sia Non ho riconosciu­to neanche Gino Paoli E che gaffe a Mediaset

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LaPresse In bianco e nero Enrica Bonaccorti con Domenico Modugno e mentre conduce ‘Pronto, chi gioca?’
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LaPresse e Ansa A colori Enrica al centro del gruppo dei presentato­ri Mediaset; negli studi radiofonic­i della Rai e, a destra, con Massimo Giletti
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