Il Fatto Quotidiano

IL MALAVITOSO, IL RAGAZZINO E L’AGNELLO CHE NON SI DONA

Bastian contrario sin da bimbo, si rivolta contro “Sa paradura” - il dono di pecore per aiutare un pastore della comunità in difficoltà - a favore del bandito che forse ha tradito suo padre

- ▶ GESUINO NEMUS

“No! Io l’agnello non glielo porto, a quello lì!”. “Come sarebbe a dire? Tuo babbo t’ammazza! Non farmi questo, per favore”.

“E che mi ammazzi. A parte che babbo uscirà di galera tra dieci anni, ma siamo già morti, comunque”.

Da quando Biante Fonissa era tornato a Telévras, altro non s’era fatto, in quella piccola enclave, che fare a gara per onorare il rito pagano de “Sa Paradura”. Gli si doveva dare un’altra possibilit­à, dopo 15 anni di carcere, perché potesse ricomincia­re a fare il pastore, dato che aveva dovuto vendere tutto per pagarsi gli avvocati e risarcire le vittime delle sue imprese sciagurate. Quindi, in base al proprio censo e alle proprie possibilit­à, ognuno avrebbe dovuto donare un agnello, al limite anche una capretta o una pecora, per consentirg­li la sua palingenes­i agropastor­ale. Il tutto, come regola comanda, senza clamori mediatici, possibilme­nte in silenzio e in forma privatissi­ma. “Dobbiamo farlo, figlio mio. Fallo per tua mamma. Lascia perdere quello che è stato… Sono cose da grandi. Se la vedranno tra di loro”. “No! Quello li scanna, gli agnelli”. “E cosa vuol dire? Certo che li uccide. Fa il pastore, che deve fare?”. Che Marcellino Chilone fosse un ragazzino “strano”, lo si poteva intuire dal fatto che camminasse per le stradine del paese sempre da solo, senza nessun amico e, soprattutt­o, senza il conforto dei suoi 134 cugini che, a vario titolo, s’erano miscelati con lui per via delle imprevedib­ili peripezie genetiche della Sardegna. Tutto era cominciato due anni prima, quando si era rifiutato di cantare nel coro della chiesetta campestre. Fu un vero scandalo e suo padre ne soffrì moltissimo. Aveva una voce bianca davvero notevole e lo immaginava, estraniars­i da solista, a cantare almeno uno strofa di No potho

reposare. Taluni ricordano ancora la discussion­e che ne seguì, tra lui e il suo babbo, nel sagrato. “Io non la canto, quella canzone”. “Cosaaa? Tu invece la canti e la impari tutta a memoria”. “No”. “Sì”. “No”. “Sì”. “Nooo!”. E non la cantò. No potho reposareno­n conobbe mai la meraviglio­sa ugola di Marcellino Chilone. Sentenziò: “È la canzone più triste dell’umanità”. Controbatt­é, suo padre: “È la più bella canzone d’amore mai scritta”. Insisté Marcellino: “Dedicala alla mamma, così ti lascia subito!”.

Ma il vero scandalo fu il “gran rifiuto” nella notte di Natale. La messa di mezzanotte era la funzione religiosa alla quale nessuno poteva mancare, a meno di non essere morti o in galera.

“Allora Marcellino. Tu intoni da solo l’Ave Maria in sardo e tutti noi ti seguiamo quando sali di un’ottava, come faceva Maria Carta” gli disse trionfante il parroco.

“Manco morto”.

“Cosa dici, Marcellino? Questa non la posso sentire. E perché?”. “È orrenda”. Altro non disse.

Il parroco stette molto male, quasi si scinigò, svenne, per la delusione. L’Ave

Maria in limba non si tocca, non si discute. La impari già nella culla. Nessuno s’era mai permesso di definirla “orrend a”. Ma la naturale bellezza d el l’assurdo ha i suoi postulati e le peripezie giudiziari­e di suo padre cominciaro­no, esattament­e, il giorno di santo Stefano, quasi come se Némesis, refrattari­a a qualsiasi tipo di rito apotropaic­o, fosse ridiscesa in terra per punire quel ragazzino saccente e presuntuos­o, che aveva osato denigrare gli dei. Sa giustissia, sotto forma di due camionette stracolme di carabinier­i, venne a prendere il suo babbo. Dicevano che qualcuno, forse lo stesso Biante Fonissa, l’avesse accusato di complicità in una serie di furti di bestiame e, addirittur­a, d’aver coperto la sua latitanza, dopo che Biante fu accusato del sequestro di un ricco possidente della zona. Ma non era questo che importava a Marcellino. Fu come se, quell’arresto, l’avesse reso adulto e balè nte, simultanea­mente e in una sola notte. Si sentì l’unico uomo di casa e, nonostante non fosse ancora adolescent­e, come tale cominciò a comportars­i. Si fece carico delle incombenze quotidiane, della vendita del latte e della lana, cercando di risparmiar­e il suo gregge dalla mattanza di Pasqua. Smise d’andare a scuola, dopo la terza media, perché era figlio unico e sua mamma, sui monti a governare il gregge, non ci poteva andare. Sua madre, però, notò che smise di vendere le bestie, accontenta­ndosi degli scarsi proventi del latte e della lana, tentando di vendere il pecorino che, nel frattempo, aveva imparato a fare benissimo. E glielo disse: “Il prezzo è troppo basso. Il latte o lo trasformi tutto in formaggio o non serve venderlo. La lana non la vuole più nessuno. Abbiamo da pagare ancora l’avvocato. Vendi gli agnelli. In due anni non l’hai mai fatto”.

“Dobbiamo aumentare il gregge. Abbiamo poche bestie. A noi dovrebbero farla, ‘ Sa paradura’. Quando ne avremo almeno un centinaio, comincerò a vendere” le rispose, senza molta convinzion­e. E ora, erano lì, in quella piccola casa in pietra grezza, a ridosso delle montagne, con il giornale sul tavolo che si occupava, incredibil­mente, della loro piccola comunità. Fu sua madre a rompere gli indugi, indicando l’articolo in prima pagina.

“È per questo che non vai a dargli l’agnello? Per la pubblicità? O perché pensi che sia stato lui a fare il nome di tuo padre?”.

“Anche… ”.

“Non credere a quello che si dice. Non è stato lui a incastrarl­o. Non è stupido Biante. E, comunque, anche tuo padre non è un santo. Le cose le ha fatte. Il denaro, sempre i l de na ro… D’altro non parlavano, quei due”.

“Non solo loro due. Tutti parlano solo di quello. Ma non m’importa… ”. “E tu? Pensi davvero che tuo padre lo facesse per fini politici? Per finanziare l’indipenden­za? Sul serio lo credi? Quelli che ho conosciuto, dei suoi amici, si compravano la casa al mare, si rifacevano i denti nuovi… tutti col Suv giravano. Noi manco la Panda c’abbiamo. Sai quanto gliene fregava della loro Terra libera. Tuo padre era solo un manovale ignorante. Gli architetti sono al sicuro… ”.

“Non è per quello, mamma”.

“E allora, perché? Perché mi metti in imbarazzo? Lo capisci che se non vai anche tu, penserà che l’abbiamo condannato ‘per sentito dire’? Ha pagato i sui debiti. E accadrà anche con tuo padre, quando uscirà. Ricomincer­à, anche con l’aiuto della comunità”.

“Non lo voglio il loro aiuto. Fosse semplice dirtelo… ”.

“Ma cosa non è semplice? Cosa? Stai per compiere 14 anni. Hai tutta la vita davanti. Non puoi vivere isolato dal resto dell’umanità. Mangi solo due pomodorini e una foglia di lattuga. L’anno prossimo tornerai a scuola. Basta! Ora decido io. Ti aiuterò al mattino, dovessi massacrarm­i di spine le caviglie. Andremo avanti lo stesso e venderemo gli agnelli, per guadagnare di più”. “Noo, mamma, quello no! Non venderemo mai. Ascoltami”. “Dimmi figlio mio. Qualunque sia il motivo. Però vai anche tu a donargli l’agnello. Me lo prometti, vero? Voglio vivere in pace, per i prossimi anni”. “Mamma… è dura dirtelo. Io sono diventato… ”. “Cosa, figlio mio? Cosa sei diventato?”. “Mamma, perdonami”.

“Ma perché devo perdonarti? Cosa sei diventato? Cosa sei? Dimmelooo!”.

“Mammaaa… Sono veganoooo!”.

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Terra forteUn pastore-ragazzino in Sardegna

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