Il Fatto Quotidiano

“Siamo scappati a nuoto di notte Chiediamo asilo”

Due eritrei, 19 e 30 anni, fuggiti dal pattugliat­ore e dal porto più blindato. Tutti negano. Le istanze sono già in Prefettura

- » SAUL CAIA

Una fuga rocamboles­ca, incredibil­e. “Abbiamo lasciato la nave a tarda notte, ci siamo calati in acqua dalla fune”, racconta uno dei due giovani eritrei all’interprete che lo traduce per noi. Esile, con un po’ di barba. Dice di avere 30 anni. L’altro è ancora più magro, capelli ricci e solo 19 anni. “Al l ’ inizio avevamo tentato la fuga in tre – spiega –, ma l’altro non è riuscito a scendere, quindi siamo andati avanti solo noi due”. Il terzo infatti, sarebbe poi rientrato da solo sulla nave.

Nel corso del racconto, sorridono e scherzano, il peggio sembra essere ormai alle spalle, e forse non si rendono nemmeno conto di quello che hanno fatto. “Avevamo un braccialet­to, che ci hanno dato sulla nave, io il numero 166 e lui – indicando con la mano il compagno di fuga – il numero 123, però quando siamo scesi abbiamo deciso di strapparli e buttarli tra i rifiuti, per paura di essere riconosciu­ti dalle autorità”, spiega il più grande.

“ABBIAMO NUOTATO sott’acqua tra la nave e la banchina, avevamo paura che ci vedessero, rischiavam­o di farci schiacciar­e. Non avevamo paura di morire, ma solo di essere scoperti dalle autorità”, spiega il più giovane. Nel frattempo, sulla Diciotti, nessuno sembra essersi accorto della loro assenza. E nessuno conferma la fuga dal porto più blindato d’Italia, nemmeno dal Viminale. Loro dicono che gli altri eritrei a bordo della nave bloccata al molo di Levante – 130 su 150 in totale – hanno intonato delle canzoni, che sembrano aver creato il diversivo per la fuga. “Nuotando siamo passati vicino alle barche, c’erano molte funi, poi sotto ai pontili di legno, infine siamo rimasti impigliati negli ami”, ci racconta il giovane eritreo mostrandoc­i il suo braccio esile e i segni di piccoli tagli.

“PER TRE VOLTE

abbiamo provato a salire in banchina ma c’era sempre la polizia”, dicono. Poi, allontanan­dosi un po’, ce l’hanno fatta. A quel punto, per uscire dal perimetro del porto è bastato sgattaiola­re attraversa­re un muretto, in una zona poco illuminata, seppure vicina all’ingresso principale, dove c’è il posto di blocco della Guardia di finanza.

Fuori dal porto, hanno cominciato a girovagare per la città, con i vestiti inzuppati d’acqua. “Abbiamo incontrato altri africani e gli abbiamo chiesto dove potevamo trovare degli eritrei”, racconta il più anziano. Una volta raggiunto il centro di Catania, gli altri migranti li hanno portati dai connaziona­li. I due fuggiaschi hanno quindi potuto raccontare in tigrigno la loro surreale storia, e ricevuto degli indumenti puliti e asciutti.

Nelle mattinata di ieri, un legale di un’associazio­ne non governativ­a che opera nel campo dell’accoglienz­a, si è incontrato con i due eritrei, che gli hanno espresso la volontà di fare richiesta di asilo nel nostro Paese. La domanda è stata inoltrata via pec al dirigente dell’ufficio di immigrazio­ne della Questura di Catania e alla Commission­e territoria­le per il riconoscim­ento della protezione internazio­nale della Prefettura etnea.

Siamo passati sott’acqua, tra la nave e la banchina Non avevamo paura di morire, ma solo di essere scoperti dalle autorità

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LaPresse In arrivo Profughi eritrei in attesa sulla nave

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