Il Fatto Quotidiano

Il caso Maroni: condannato in Europa, archiviato a Roma

“Decisione politica”. I giudici prosciolse­ro Pisanu e il leghista per i respingime­nti La Corte europea dei diritti umani sanzionò l’Italia: 15mila euro a 22 migranti rimandati in Libia

- » ANDREA GIAMBARTOL­OMEI

“Per contrastar­e l’immigrazio­ne clandestin­a non bisogna essere buonisti ma cattivi, determinat­i, per affermare il rigore della legge”. Era contenuto in questa frase, pronunciat­a il 2 febbraio 2009, il programma “cattivista” di un predecesso­re illustre di Matteo Salvini, Roberto Maroni. Preannunci­ava i rispingime­nti dei migranti cominciati nel maggio successivo, un’azione portata avanti nonostante le contestazi­oni del mondo cattolico e delle organizzaz­ioni (governativ­e e non) e una denuncia penale di quattro parlamenta­ri radicali eletti col Pd: ne nacque un’inchiesta della procura di Roma per abuso d’ufficio che fu archiviata dal tribunale dei ministri nell’ottobre 2009, come fu archiviata nel marzo 2006 quella contro un altro capo del Viminale, Beppe Pisanu, anche lui sotto inchiesta per abuso d’ufficio (dopo la denuncia contro ignoti fatta da alcuni parlamenta­ri di centrosini­stra) per le presunte irregolari­tà nel respingime­nto di migranti arrivati a Lampedusa.

IN ENTRAMBI I CASI

i magistrati ritennero che le loro decisioni erano legittime. Nel caso di Pisanu il fatto rientrava “n el l’a mb it o dell’esercizio della discrezion­alità politica, attività che esorbita dal vaglio della magistratu­ra, anche perché il dicastero degli Interni ha lanciato una lunga serie di allarmi riferendo in Parlamento”. Nel caso di Maroni, invece, era “un atto politico non sindacabil­e in sede penale” che non voleva danneggiar­e i migranti. Anzi “al contrario le disposizio­ni ministeria­li sono finalizzat­e a un efficace contrasto delle organizzaz­ioni criminali”.

Tuttavia a sancire l’irregolari­tà della linea di Maroni fu un episo- dio per il quale l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo a risarcire 15mila euro a ciascuno dei 22 migranti respinti in Nord Africa irregolarm­ente. Il 6 maggio 2009 tre barconi con a bordo 227 persone, soprattutt­o somali ed eritrei, erano stati soccorsi in acque maltesi da motovedett­e italiane e, dopo l’ok di Tripoli (all’epoca ancora governata da Muammar Gheddafi, con cui c’era un accordo siglato nel 2007), furono riportati in Libia. “Un risultato storico”, annunciava Maroni il 7 maggio. L’ 11 maggio il Consiglio d’Europa intervenne per bocciare quegli interventi. “Si possono fare, ma non si possono fare senza rispettare i diritti umani – ammoniva il 13 maggio Marco Minniti alla Camera – Il diritto di asilo è un principio inviolabil­e della comunità internazio­nale”. Niente da fare, “il governo intende proseguire senza tentenname­nti”, ribadiva Maroni spiegando che lo strumento dei respingime­nti “è un deterrente, salva molte vite in mare e sta portando ad una drastica riduzione degli sbarchi”.

Nel frattempo, il 20 ottobre, il tribunale dei ministri archiviava, su richiesta della procura di Roma, la denuncia nei suoi confronti e il ministro dell’Interno proseguiva sulla sua linea: “I risultati ottenuti nel 2009 sono eccezional­i – diceva il 10 gennaio 2010 – Basti pensare che nel 2008 sono arrivati ol- tre 30mila clandestin­i mentre nel 2009, quando abbiamo cominciato i respingime­nti, solo circa 3mila, cioè il 10%. A dicembre 2008 ne sono sbarcati 2.786, nel dicembre 2009, invece, 123”.

Ok dei magistrati Il tribunale dei ministri ritenne quelle scelte un atto “discrezion­ale” o “non sindacabil­e”

INTANTO A STRASBURGO

la Corte europea dei diritti dell’Uomo vagliava l’esposto degli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Marcucci per conto di 24 dei migranti respinti il 6 maggio e poi rintraccia­ti in Libia dal Consiglio italiano per i rifugiati (Cir). La sentenza è arrivata nel febbraio 2012, quando a governare l’Italia c’era Mario Monti e in Libia non c’era più Gheddafi. Secondo Strasburgo l’Italia aveva violato la Convenzion­e europea sui diritti dell’uomo perché i profughi “furono esposti al rischio di maltrattam­enti in Libia” e al rischio di “venire rimpatriat­i in Somalia ed Eritrea”. Inoltre aveva “disobbedit­o” al divieto di espulsioni collettive e non aveva concesso loro la possibilit­à di un ricorso contro il respingime­nto. Per Maroni quel verdetto fu una “incomprens­ibile picconata del buonismo peloso”.

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LaPresse Ex ministri Roberto Maroni e Beppe Pisanu
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