L’ultima battaglia del conservatore illuminato
Il Vietnam, il Senato Usa, la malattia: una vita cercando di stare dalla parte giusta
Nel ranch di Sedona, in Arizona, con la sua famiglia, John McCain aspetta la fine: ha interrotto le cure mediche, ma non ha smesso di lottare contro il male, un tumore al cervello, cui è già sopravvissuto più di quanto i medici, un anno fa circa, gli avevano pronosticato. La forza di volontà e la resistenza al dolore non sono mai mancate a quest’uomo che, quando nel dicembre del 1967 due suoi commilitoni se lo videro sbattere nella loro cella in un campo di prigionia vicino ad Hanoi, pensarono non sarebbe sopravvissuto una settimana.
IL 26 OTTOBRE, McCain era stato colpito durante la missione numero 23 nei cieli vietnamiti: si eiettò, finì con il paracadute in un lago, le braccia e una gamba rotte. Ferito, pestato e torturato, non avrebbe più recuperato a pieno l’uso degli arti. Ma sopravvisse a cinque anni e mezzo di prigionia: alla fine della guerra, tornò a casa e a fare l’ufficiale della Marina, pluridecorato ma fisicamente impossibilitato a diventare ammiraglio, come il padre e il nonno, finché non si scoprì la vocazione alla politica. Cinquant’anni dopo essere stato abbattuto, il pilota della US Navy, eletto senatore in sei successive elezioni, è ancora in prima linea ma non tornerà più al suo scranno nel Senato degli Stati Uniti, tenuto ininterrottamente dal 1986, quando la gente dell’Arizona lo scelse per sostituire l’u ltra-conservatore segregazionista Barry Goldwater, candidato repubblicano alla Casa Bianca nel 1964.
Vittima di quella maledizione americana per cui i reduci del Vietnam, marchiati dalla sconfitta, arrivano alla Casa Bianca solo nei film – da Inde- pendence Day ad AirForceOne -, mentre nella realtà ci vanno gli imboscati di quella guerra, come Bill Clinton e George W. Bush, McCain fallì due volte l’attacco alla presidenza: nel 2000, fu ‘fatto fuori’ nelle primarie repubblicane da Bush; nel 2008, ottenne la nomination, ma fu battuto nel voto dal candidato democratico Barack Obama. Nella campagna presidenziale, il Secret Service gli diede il nomignolo, azzeccato, di M av e r ic k , cane sciolto, che gli sarebbe rimasto addosso.
MENTRE COMBATTEVA, s apendo di perderla, la battaglia contro il cancro, McCain è riuscito a fare sentire la sua voce nella politica americana: a fine 2017, il suo ‘no’ fu decisivo per evitare l’affossamento della riforma sanitaria di Barack Obama; in primavera, s’era opposto alla nomina a capo della Cia di Gina Haspel, non ostile al ricorso alla tortura con i terroristi; a luglio è stato critico verso il presidente Trump dopo il Vertice di Helsinki con Vladimir Putin, mentre accoglieva con favore la designazione del giudice Brett Kavanaugh alla Corte Suprema.
L’autorità morale del senatore di 81 anni, esperto di difesa e sicurezza, è sempre andata crescendo, fino a farne, nell’America di Trump, la figura di riferimento dei conservatori illuminati, che detestano l’isolazionismo internazionale e la rozzezza personale del magnate presidente. Con Trump, non c’è mai stato feeling: il senatore è stato fin dall’inizio molto diffidente sull’ascesa al potere del magnate. Nella campagna, Trump mise persino in dubbio che McCain fosse un eroe: “A me piacciono quelli che non si fanno prendere”, ironizzò.
Prima d’interrompere le cure, McCain ha finito di girare un documentario della Hbo e ha pubblicato l’ultimo suo libro, The Restless Wave, dove ribadisce la sua visione repubblicana pro-libero scambio e pro-immigrazione. Di Trump, scrive: “L’apparenza di durezza, o un fac-simile di durezza da reality show, sembra essere più importante dei nostri valori”.