“Il suo tratto unico era la leggerezza della profondità”
Virgilio Sieni
“Era un maestro di vita”. Così Virgilio Sieni – coreografo e danzatore toscano tra i più importanti rappresentanti internazionali della danza contemporanea – ricorda Lindsay Kemp.
Quando il vostro primo incontro?
Vidi Flowers (lo spettacolo ispirato allo scrittore Jean Genet) per la prima volta in Olanda, negli anni ’70 e ne rimasi colpito immediatamente. Pur essendo distante dalla ricerca che perseguivo, di
Flowers mi colpì la leggerezza trascinante e visionaria, come anche Peter Gabriel. Negli anni a venire ci siamo incontrati molte volte: nel 2010, a
Roma al Teatro dell’Opera condividemmo una serata ciascuno con i rispettivi spettacoli. E poi, anche negli ultimi anni a Livorno, dove Lindsay ha trovato degli amici che lo hanno saggiamente accompagnato in questo ultimo periodo. Qual è la traccia che ha lasciato Kemp nel panorama della danza mondiale?
Ha dato un contributo che ha a che vedere con l’istinto, con l’immediatezza, un segno capace di andare oltre il senso strutturale del gesto e del corpo, del movimento inteso di per sé. Ha introdotto e sviluppato un suo attaccamento a un immaginario riconoscibile, unicamente suo.
Rimarranno unici anche i suoi personaggi: Jean Genet, Picasso, Pierrot, la Regina Elisabetta per citarne solo alcuni?
Per quanto allegorici ed estremi fossero, non erano mai sganciati dal proprio vissuto, proprio perché nel ‘far apparire’Kemp operava una trasfigurazione dell’essere umano attraverso delle figure primarie, che quindi appartengono a lui come all’intero genere umano. E per fare questo bisogna avere un atteggiamento leggero e profondo insieme.
Di nuovo la leggerezza, quindi.
Era la sua firma, una leggerezza impareggiabile perché ispirata da una profonda malinconia. I suoi personaggi erano intimamente umani e malinconici. Così la sua danza diventava primordiale, ab origine, ed era capace di dialogare con gli idoli.